L’eroica morte del generale Tellera
Il 6 febbraio 1941 nel corso dell’ultima battaglia che portò all’annientamento della X armata italiana in Cirenaica, trovava la morte il suo comandante il generale Giuseppe Tellera. Fu il più alto grado italiano caduto in combattimento nella seconda guerra mondiale.
Giuseppe Tellera nasce a Bologna il 14 marzo 1882 e dopo aver frequentato il Liceo Classico, a diciotto anni fu ammesso nell’Accademia militare di Modena, da cui uscì nel 1902 col grado di sottotenente. Nel 1905 fu promosso tenente e nel 1909 fu accettato alla Scuola di Guerra. Capitano a scelta, svolse l’esperimento pratico di stato maggiore a Chieti.
Poco dopo lo scoppio della guerra, nel giugno 1915, Tellera fu comandato nella zona del Carso di Monfalcone, di fronte alle postazioni nemiche di Monte Sei Busi, Vermegliano e Selz. Rimase sul Carso per dieci mesi e partecipò alle prime tre battaglie dell’Isonzo. Sul Carso meritò una medaglia d’argento al valor militare che gli venne conferita per le operazioni dal giugno 1915 al marzo 1916 con la seguente motivazione:
«In molteplici ricognizioni eseguite in località battute dal fuoco di artiglieria e fucileria nemico, nell’intervenire di iniziativa per ricondurre al fuoco reparti disgregati e per ristabilire l’ordine tra sbandati, nel disimpegnare il proprio servizio sotto al bombardamento nemico, diede prove e mirabile esempio di animo fiero e valoroso, di sprezzo del pericolo, di fattiva intelligenza e di completa dedizione di se stesso per il trionfo delle nostre armi.»
— Vermegliano – Selz – Monfalcone, giugno 1915 – marzo 1916
Nell’estate del 1916, Tellera, promosso maggiore, ebbe l’incarico di Capo di stato maggiore della divisione Tanaro, di stanza in Albania. A lui si deve l’organizzazione dell’azione che portò all’occupazione di Porto Palermo sulla costa albanese, che avvenne senza alcuna resistenza.
Tellera passò poi a Capo di stato maggiore del comando truppe dell’Albania meridionale, incarico che tenne per diciotto mesi. Poiché la situazione militare non destava troppe preoccupazioni, egli si dedicò alla realizzazione di opere civili, quali la rotabile Santi Quaranta – Korka, la costruzione dell’acquedotto di Argirocastro e l’assistenza medico-ospedaliera per i soldati e i civili.
Nel marzo del 1918 Tellera lasciò l’Albania in quanto destinato sottocapo di stato maggiore del VI Corpo d’armata (della IV armata) responsabile della difesa del Grappa. Dopo la battaglia del Piave, Tellera divenne capo di stato maggiore della XXII divisione, prima col grado di tenente colonnello e poi di colonnello (a soli 36 anni). Per le operazioni sul Grappa fu insignito di una medaglia di bronzo al valor militare.
Alla fine della grande guerra venne destinato dapprima alla zona di Postumia, in seguito a Bologna, e a Bergamo. Assunse poi il comando delle Scuole centrali militari di Civitavecchia, dove ottenne la promozione a generale di brigata. Nel novembre del 1935 divenne generale di divisione ed ebbe il comando della 14ª Divisione fanteria “Isonzo” di Gorizia, sede periferica ma prestigiosa in quanto al confine con la Jugoslavia.
Nel settembre del 1937 fu inviato in Libia al comando della 60ª Divisione fanteria “Sabratha”, dove nel luglio del 1938, Italo Balbo governatore della Libia, lo scelse come Capo di stato maggiore del Comando Superiore delle forze armate dell’Africa Settentrionale da lui presieduto. Nei primi mesi del 1940, quando ormai l’entrata in guerra era imminente, si impegnò presso Balbo per segnalare le gravissime insufficienze di armamento e di addestramento delle truppe italiane in Africa settentrionale.
Queste prese di posizione di Tellera sono documentate, tra l’altro, da una lunga lettera-testamento, che egli inviò alla moglie, affidando la stessa al tenente colonnello Celotti, che rientra in Italia, e fa in modo che la lettera sfuggisse all’ufficio censura di Roma, il 31 dicembre 1940. La missiva, restata inedita per quasi 70 anni, è stata recentemente studiata dallo storico Angelo Del Boca, che ne ha pubblicato per primo ampi stralci. Tellera scriveva, tra l’altro:
“Come sai, per avertene parlato, noi siamo entrati in guerra (10 giugno) con una integrale e totale impreparazione. Fu detto, scritto, ripetuto – fu strepitato – lettere scottanti, telegrammi offensivi, tanto che Badoglio ebbe ad assicurare che non saremmo entrati in guerra prima del ’42 o ’43 (lo disse a me personalmente). Mancavano totalmente o quasi: mezzi corazzati, anticarro, contraerei – scarsi gli aeroplani, artiglierie vecchie etc. etc.”
Le polemiche di Tellera sull’impreparazione provocarono risentimenti nei comandi militari a Roma, e ci fu un tentativo di rimuoverlo dal comando, compiuto dal sottosegretario di Stato alla guerra, generale Umberto Soddu, e dal Capo di Stato Maggiore Generale Pietro Badoglio. Ma Balbo difese Tellera e, nel mese di maggio 1940, si recò più volte in Italia, sia da solo che in compagnia dello stesso Tellera, cercando di ottenere maggiori armamenti e di rinviare il conflitto.
La guerra venne tuttavia dichiarata il 10 giugno 1940. Il 28 giugno, quando l’apparecchio di Balbo fu abbattuto dalla contraerea italiana a Tobruch, Tellera si trovava al seguito nel secondo velivolo, che fu colpito ma riuscì ad atterrare in un altro campo.
Rodolfo Graziani, nuovo Governatore della Libia e nuovo Comandante Superiore delle Forze Armate Italiane in Africa settentrionale, confermò Tellera Capo di stato maggiore e il 22 dicembre 1940 lo nominò comandante della 10ª Armata, dopo aver rimosso il generale Mario Berti. Nel suo successivo memoriale difensivo, Graziani avrà a dire che si tratta di
«soldato di grande mente e di grande cuore, perfettamente orientato sulla situazione ed all’unisono con me»
Nell’assumere il comando della grande unità, già logorata nei combattimenti di Sidi el Barrani e nella precipitosa ritirata sulla piazzaforte di Bardia, il generale Tellera così confidava ad un collega:
«So di andare a morire, ma avrei almeno gradito di guidare un’armata da me addestrata»
La situazione in quel 22 dicembre appariva già molto critica. Gli inglesi avevano lanciato la controffensiva denominata operazione Compass e dopo la dura battaglia del campo trincerato di Nibeiwa, avevano ripreso Sidi Barrani e le loro esigue, ma altamente meccanizzate e corazzate forze parevano inarrestabili.
Tellera non ebbe però la responsabilità intera delle operazioni, ma fu sempre sottoposto alle direttive, spesso contraddittorie, di Graziani e ciò provocò numerosi contrasti tattici fra i due. Dopo la caduta di Tobruch il 22 gennaio 1941, la situazione pareva perduta, il 2 febbraio 1941 Rodolfo Graziani abbandonò la Cirenaica, in preda a una forte crisi nervosa, lasciando Tellera a gestire il ripiegamento in direzione di Agedabia e della Sirte.
Tellera chiuse la ritirata, e si mosse da Bengasi per Agedabia solo alle 17.30 del 5 febbraio, quando il grosso delle truppe era già partito. Già dalle 15.00 circa, le forze corazzate inglesi avevano bloccato la via Balbia all’altezza del 40 km da Agedabia, dopo aver tagliato il deserto da oriente. Lungo la Balbia si era così venuta a creare una caotica coda di mezzi militari e civili, facile preda degli attacchi dei mezzi inglesi.
Per due volte, Tellera raccolse e si mise personalmente al comando di gruppi di carri M 13 ancora funzionanti, per tentare di forzare il blocco. Durante il secondo di questi assalti, nella tarda mattinata del 6 febbraio, il carro su cui si trovava Tellera fu colpito, e il generale venne gravemente ferito a un polmone. Morì qualche ora dopo, in un posto di medicazione di Suluq, presso Agedabia.
La sua morte segnò la fine della X Armata, e la resa, in quella che fu poi conosciuta come battaglia di Beda Fomm. Fu seppellito a Bengasi, e gli inglesi gli tributarono un funerale “with full military honors “.
Gli fu conferita una medaglia d’oro al valor militare, consegnata alla figlia nel corso di una solenne cerimonia a Roma, all’altare della patria, ma la morte di un ufficiale di grado così alto, e per di più in una battaglia finita in catastrofe, rappresentò un grave imbarazzo per la propaganda di regime:
«Capo di Stato Maggiore del Comando Superiore Forze Armate Africa Settentrionale, fu organizzatore fattivo e previdente, specie nel periodo che condusse le nostre armi alla vittoria di Sidi El Barrani. Assunto, in una situazione particolarmente critica il comando di un’armata, conservava durante il forzato ripiegamento del Gebel Cirenaico, la calma più serena, dando luminose prove di alta capacità di comando e di eminente valore personale. Nella battaglia del Sud Bengasino, quando il nemico aveva già reso impossibile la ritirata delle nostre truppe su Agedabia, arrestava, in due giorni di asprissima lotta, l’irruenza dell’avversario e gli infliggeva gravissime perdite, obbligandolo a desistere dalla sua spinta nella Sirtica. Riunite le truppe superstiti in estrema difesa in una località particolarmente importante, tentava ripetutamente, con grave rischio personale, di raccogliere gli ultimi mezzi per aprirsi un varco e rompere l’accerchiamento nemico. In tale supremo eroico tentativo cadeva gloriosamente sul campo, degnamente, suggellando una vita d’intera dedizione alla Patria.»
— Sidi El Barrani – Africa Settentrionale settembre 1940 – Agedabia 6 gennaio 1941.