Notiziario: L’epica resistenza italiana sulla sella di Culqualber

L’epica resistenza italiana sulla sella di Culqualber

L’epica resistenza italiana sulla sella di Culqualber

Il bollettino n° 539  del Quartier Generale delle Forze Armate del 23 novembre 1941 così riportava la notizia della caduta del presidio di Culqualber_Fercaber, arresosi alle forze britanniche dopo un erpica resistenza, protrattasi dal 6 agosto al 21 novembre 1941:

«…gli indomiti reparti di Culqualber-Fercaber, dopo aver continuato a combattere anche con le baionette e le bombe a mano, sono stati infine sopraffatti dalla schiacciante superiorità numerica avversaria. Nell’epica difesa si è gloriosamente distinto, simbolo del valore dei reparti nazionali, il Battaglione Carabinieri, il quale, esaurite le munizioni, ha rinnovato sino all’ultimo i suoi travolgenti contrattacchi all’arma bianca. Quasi tutti i Carabinieri sono caduti».

Alla bandiera dell’Arma dei Carabinieri per l’epica difesa venne concessa la medaglia d’oro con la seguente motivazione:

«Glorioso veterano di cruenti cimenti bellici, destinato a rinforzare un caposaldo di vitale importanza, vi diventava artefice di epica resistenza. Apprestato saldamente a difesa l’impervio settore affidatogli, per tre mesi affrontava con indomito valore la violenta aggressività di preponderanti agguerrite forze che conteneva e rintuzzava con audaci atti controffensivi contribuendo decisamente alla vigorosa resistenza dell’intero caposaldo, ed infine, dopo aspre giornate di alterne vicende, a segnare, per ultima volta in terra d’Africa, la vittoria delle nostre armi».«Delineatasi la crisi, deciso al sacrificio supremo, si saldava graniticamente agli spalti difensivi e li contendeva al soverchiante avversario in sanguinosa impari lotta corpo a corpo nella quale comandante e carabinieri, fusi in un solo eroico blocco simbolico delle virtù italiche, immolavano la vita perpetuando le gloriose tradizioni dell’Arma».

Vediamo ora nel dettaglio come si svolsero le operazioni militari sulla sella di Culqualber. Dopo la caduta di Cheren nel marzo 1941 e la conseguente perdita dell’Eritrea e la perdita della capitale Addis Abeba conseguente alla caduta dell’Amba Alagi con la resa del vicerè Amedeo d’Aosta nel maggio del 1941, le operazioni militari in Africa Orientale Italiana si spostarono verso la regione dell’Amhara.

Il Generale Guglielmo Nasi
Il Generale Guglielmo Nasi

Qui il generale Guglielmo Nasi, governatore della provincia e dal 6 luglio vicerè dell’Africa Orientale Italiana, si era attestato nel sistema difensivo costituito dal ridotto centrale di Gondar e da una serie di capisaldi intorno ad esso. Gondar era l’ultimo baluardo dell’Africa orientale su cui sventolasse ancora la bandiera italiana.

Il terreno circostante era caratterizzato da una serie di alture ad andamento irregolare, con sommità a cono o piatta, intersecate da profondi burroni di difficile percorribilità. Nella zona venne individuata la posizione chiave per la difesa di tutto il sistema, nel ridotto di Culualber e di Fercaber, di cui il primo a sbarramento della sella omonima sulla strada Debra Tabor . Gondar ed il secondo sul passo di Fercaber, presso il lago di Tana.

Dalla  Sella di Culqualber, passava una rotabile a tornanti che era l’unica via di transito utilizzabile dal nemico per raggiungere Gondar con le artiglierie e i reparti corazzati. Ai primi di agosto il ridotto aveva una forza complessiva di circa 2.900 uomini, 2.100 nel primo e 800 nel secondo, tra nazionali e coloniali

Del caposaldo di Culqualber facevano parte 3 battaglioni:

  •  il CCXL Battaglione Camicie Nere della MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, forte di 675 legionari, al comando del seniore Alberto Cassoli;
  • il I Btg. CC.RR (Carabinieri Reali) mobilitati dell’A.O.I. forte di 200 nazionali e 160 eritrei, al comando del Maggiore Serranti;
  • il LXVII Btg. coloniale forte di 620 uomini su 4 compagnie al comando del Maggiore Carlo Barbieri.

Nel caposaldo erano schierate anche 2 batterie di artiglieria di cui una nazionale e una coloniale, un plotone misto del genio e un ospedaletto da campo.

Del caposaldo di Fercaber facevano parte:

  •  il XIV Battaglione Camicie Nere della MVSN al comando del seniore Lasagni;
  • unità minori di cui una batteria nazionale, una compagnia mitaglieri coloniali, un plotone del genio.

I due caposaldi erano riuniti in un unico ridotto comandato dal Ten. Colo. Augusto Ugolini, comandante di grande tempra e con lunga esperienza coloniale

I reparti sopracitati erano tutti presenti nella zona ad eccezione del I btg. mobilitato dei  Carabinieri che, venne inviato il 6 agosto 1941  dal generale Nasi. Il reparto, articolato su due Compagnie nazionali con circa 200 uomini ed una di zaptiè i carabinieri indigerni forte di 160 uomini, aveva combattuto brillantemente sulle alture di Blagir e dell’Incet Amba, distinguendosi in particolare nella difesa del fortino di Celgà.

Presa visione della situazione, i Carabinieri decisero di attestarsi sul Costone dei Roccioni (che con i suoi ciglioni a strapiombo si protendeva ad ovest della rotabile per Gondar) e lungo il retrostante Sperone del km 39, il più avanzato a sud dal lato di Dessié-Debra Tabor. Sul Costone dei Roccioni vi era ancora tutto da fare quanto ad apprestamenti difensivi. I Carabinieri, sorretti dalla volontà di resistere ad oltranza, vi si dedicarono col massimo impiego. Trassero dai burroni pesanti tronchi d’albero per rinforzare i ripari, sforacchiarono la roccia e realizzarono sul Costone posti scoglio a feritoie multiple per assicurare continuità di fuoco su tutte le direzioni.

A settembre gli inglesi, per prepararsi all’attacco finale, si attestarono lungo il vicino fiume Guarnò e sulle alture del Danguriè minacciando direttamente le posizioni dello Sperone del km 39. A quel punto l’apprestamento difensivo dei Carabinieri era ormai completo ma il contemporaneo afflusso di forze nemiche anche nella vallata del Gumerà isolò i difensori di Culqualber dal resto dell’apprestamento difensivo italiano dando inizio ad un lungo assedio.

Per alleggerire la pressione nemica e rifornirsi di viveri e armi furono organizzate varie sortite, da ricordare quella del 4 settembre, quando 3 compagnie di àscari e 2 di Camicie Nere effettuarono una sortita notturna assaltando l’accampamento abissino e conquistando molte armi e munizioni. Gli abissini lamentarono circa trecento perdite,  mentre gli inglesi reagirono con un pesante bombardamento sulle posizioni italiane.

Con l’assedio, il rifornimento viveri era cessato. Cominciò allora il periodo degli stenti: granaglie, biade, mangime per quadrupedi e taff (minutissimo cereale) venivano ridotti, per mezzo di pietre, in grossolana farina che, impastata e cotta tra sassi roventi e brace, costituiva la «bargutta», cibo principale e spesso unico di ogni pasto.

Ma più grave della fame si fece la sete. I due fiumiciattoli, l’Arnò-Guarnò ed il Gumerà, ai quali il caposaldo aveva sino allora attinto l’acqua, si trovavano ormai fuori del raggio di azione delle nostre artiglierie ed i rifornimenti costavano perdite.

Il 18 ottobre venne organizzata una nuova sortita, voluta dal comandante della difesa per sondare gli apprestamenti nemici verso Nord e per distruggere quelli in allestimento sull’altura di Lambà Mariam, a 15 km. circa dalle nostre linee, che fu la più importante e cruenta fra le molte condotte nel corso della resistenza di Culqualber. Essa ebbe il preminente contributo dei Carabinieri e consegui risultati di insperato rilievo per perdite inflitte al nemico, cattura di armi, munizioni, materiali vari, vettovaglie e successo manovriero dei reparti.

Sfruttando prontamente gli effetti della sorpresa, i Carabinieri mossero d’impeto all’assalto frontale, incalzando i nemici fuggiaschi ed eliminando all’arma bianca, senza spreco di munizioni, le superstiti resistenze. Lambà Mariam e l’intero complesso degli apprestamenti e depositi avversari, obbiettivo della puntata, fu presto nelle nostre mani. Un immediato rientro appariva imprudente per la possibilità di contrattacchi, ma il comandante della difesa sapeva di poterlo tentare, facendo perno sulla saldezza dei Carabinieri.

Affidate al maggiore Serranti le posizioni occupate, inseguì con reparti coloniali l’avversario in rotta, ricacciandolo sin oltre il Gumerà. Senonché, mentre si riportava a Lambà Mariam, la posizione venne attaccata sul fianco Est da gruppi avversari. I Carabinieri furono pronti a respingere il nemico. Il rientro a Culqualber poté così avvenire con i reparti protetti sul tergo dagli stessi Carabinieri, che operarono alla perfezione benché al termine di una notte di marcia, seguita da una giornata di combattimenti, con morti e feriti barellati e i piedi sanguinanti.

Per la suddetta operazione che diede atto della brillante vittoria riportata in condizioni estremamente delicate, con lievi perdite nostre (36 caduti e 31 feriti), ma gravi per il nemico, i Carabinieri furono premiati con la Menzione Onorevole nel Bollettino del Quartier Generale delle FF.AA. n. 505,

L’efficace operazione consentì al caposaldo di Culqualber un temporaneo respiro dalla pressione avversaria; inoltre, il bottino di viveri migliorò per diverso tempo il razionamento e rese con ciò possibile l’ulteriore resistenza. Ma la tregua fu di breve durata. Nei giorni successivi affluirono reparti corazzati e rinforzi nemici d’ogni genere, nonché decine di migliaia di irregolari al comando di ufficiali britannici.

Contemporaneamente avviarono una guerra psicologica, con lanci di manifestini e intimazioni di resa intervallati da martellamenti di artiglierie e bombardamenti aerei. Mandarono anche dei sacerdoti copti per indurre i difensori alla resa, inutilmente. Più volte inviarono una camionetta con la bandiera bianca, che fu sempre respinta. A quel punto il comandante Serranti rinviò i messaggeri, avvertendoli che la sua risposta sarebbe stata portata dalle armi.

Dal 21 ottobre constatata la volontà degli italiani di resistere, i britannici cominciarono ad esercitare sul presidio una pressione che si fece sempre sempre più asfissiante con continui attacchi di terra e aerei. A novembre iniziò una serie di attacchi britannici che avrebbe portato alla loro vittoria finale:

  • 2: l’ospedaletto da campo è distrutto da un bombardamento. Anche il cimitero è fatto oggetto di bombardamento.
  • 5: la 1ª Compagnia Carabinieri blocca un massiccio attacco operato sul settore meridionale del caposaldo e per il suo comportamento riceve un encomio dal comandante della difesa.
  • notte del 12: i britannici iniziano un formidabile attacco che, nelle loro intenzioni, doveva essere risolutivo.
  • 13: dopo alcuni intensi bombardamenti i britannici attaccarono per tutta la giornata, anche con sanguinosi scontri all’arma bianca. La battaglia si concluse solo a sera con la piena vittoria difensiva degli italiani che ricacciarono nei burroni del Costone dei Roccioni le bande di mercenari Uollo e le truppe regolari sudanesi e kikuyu che i britannici avevano lanciato all’assalto del caposaldo. Alla fine della giornata il CCXL Btg. CC.NN. aveva già perduto il 45% dei suoi effettivi.
  • 14: dopo la cocente sconfitta, gli assalitori si concedono una giornata di tregua. I militar italiani impiegarono questa giornata per soccorrere i feriti, per tumulare i caduti (compresi quelli avversari) e rifocillarsi con il primo pasto caldo da diversi giorni.
  • 1519: gli inglesi, con l’aviazione bombardano e spezzonano continuamente le posizioni italiane mentre via terra reiterano i loro attacchi riuscendo anche a conquistare alcune posizioni. I Carabinieri e gli Zaptié, pur nettamente inferiori in uomini e mezzi, rispondono colpo su colpo e con furiosi contrattacchi e scontri corpo a corpo riconquistano ogni volta le posizioni perse. Tra l’altro il 18 ben nove aerei sono abbattuti dal tiro delle mitragliatrici. In quei cinque giorni i difensori mostrano una grande saldezza di spirito e tutti si offrono volontari per infiltrarsi nello schieramento avversario e portare azioni di disturbo per alleggerire gli attacchi. Viene presentata una nuova proposta di resa onorevole, anch’essa respinta.
  • 20 novembre: 57 velivoli attaccano dal cielo mentre centinaia di camionette, ingenti forze corazzate e non meno di 20.000 uomini si preparano ad avanzare verso la Sella di Culqualber.
  • 20 novembre Alle tre del mattino scatta l’assalto finale. Grossi nuclei nemici iniziano l’avvicinamento alle posizioni italiane, ferocemente investite dal fuoco da ogni direzione. I combattimenti raggiungono subito livelli di incredibile violenza. Tra attacchi e contrattacchi e sanguinosi scontri all’arma bianca:
    • la 1ª Compagnia, impegnata nella difesa del km 39, si batte con valore. Anche quando gli inglesi sono ormai padroni del caposaldo e tutto è ormai perduto li impegnano in furiosi combattimenti difendendo ogni palmo di terreno. Quasi tutti perdono la vita.
    • la 2ª Compagnia Carabinieri, del capitano Azzari posta a difesa del fronte del Costone (meno protetto da apprestamenti difensivi), non è da meno ed anche loro per tutta la giornata contrattaccano per difendere le proprie posizioni o riconquistare quelle perse, ricorrendo alle baionette ed alle bombe a mano quando ormai le munizioni sono esaurite. Anche loro si immolano quasi al completo.
Tra gli altri, il 21 muoiono tutti e tre i comandanti: Carlo Garbieri cade alle 12:30 colpito a cuore; Alfredo Serranti alle 15:00 trafitto all’addome; Alberto Cassoli alle 15:30 colpito in fronte (comandante del 240º Battaglione Camicie Nere d’Africa, che si immolò quasi interamente sul campo). 

Raccolto l’ultimo pugno di soldati, il maggiore Serranti e il seniore Cassoli del CCXL Btg. CC.NN. balzano ad un estremo contrassalto, insieme Ascari, Carabinieri, Camicie Nere e Genieri ingaggiano l’ultima furibonda battaglia. Alle 15,00 trafitto all’addome muore il maggiore Afredo Serranti. Come lui muoiono anche gli altri due comandanti, Carlo Garbieri cade alle 12:30 colpito a cuore; Alberto Cassoli alle 15:30 colpito in fronte.

La sera del 21 novembre 1941 si spense, dopo tre mesi e mezzo di epica battaglia, l’ultima resistenza del caposaldo di Culqualber – Fercaber.

L’eroica superba estrema difesa è costata, le seguenti pesantissimi perdite:

1.003 morti (513 italiani, 490 ascari)
1.900 prigionieri di cui 804 feriti (404 italiani e 400 ascari)

Su circa 1.580 nazionali: i caduti furono 513 e i feriti 404, non meno eroico fu il comportamento delle nostre truppe coloniali, su circa 1.200 militari i caduti furono 490, i feriti 400. Da ricordare inoltre il sacrificio delle moglie degli ascari, molti di essi come sempre è stato costume nelle nostre truppe africane, avevano mogli e figli al seguito. Le donne erano circa 200 ed anch’esse si comportarono egregiamente nello svolgimento dei compiti logistici loro assegnati. Circa cento di loro pagarono con la vita la loro dedizione.

Gli inglesi, catturate le posizioni, colpiti dal coraggio dei nostri militari tributarono loro l’Onore delle Armi. Al Tenente colonnello Augusto Ugolini comandante del presidio e unico ufficiale sopravvissuto, il generale James, comandante delle truppe sudafricane, gli concesse di portare la sua pistola durante tutto il successivo periodo in cui rimase prigioniero di guerra.

Il generale Nasi propose per la Medaglia d’Oro al V.M. il comandante Ugolini ed i tre comandanti di battaglione. L’alta ricompensa fu concessa ad Ugolini vivente, ed alla memoria del maggiore Serranti dei CC.RR. ed al maggiore Garbieri del LXVII Btg. Coloniale, mentre ingiustamente nessuna ricompensa verrà concessa al Seniore Cassoli, comandante del CCXL CC.NN. che si immolò quasi completamente nella durissima battaglia.

Prima di chiudere, vogliano citare la canzone che tutte le truppe schierate nel ridotto, avevano fatta loro “una cantata dei legionari” composta dal comandante della 1a compagnia del CCXL Btg. CC.NN. il Centurione Calabrese che diceva:   

Contro l’inglese, contro l’Eiopia tutta,

Italia mia, da sol combatterò per te,

mangerò l’angerà e la burgutta,

soffrirò, lotterò, morirò per te;

pur se la vittoria é una chimera

io non mi arrenderò,

alzo la mia bandiera

e per l’onore sol combatterò!

Queste strofe passeranno alla Storia come la “Canzone di Culqualber”.