Notiziario: L’eccidio di Kos, la piccola Cefalonia “dimenticata”: così 103 ufficiali italiani vennero trucidati dai tedeschi

L’eccidio di Kos, la piccola Cefalonia “dimenticata”: così 103 ufficiali italiani vennero trucidati dai tedeschi

Pochi giorni fa un lancio di agenzia ci ha colpito più di altri. Siamo abituati al traffico di notizie, ma non perdiamo di vista il bisogno di fermarci. Il Comitato caduti di Kos è tornato a scrivere, tra settembre e ottobre scorsi, numerose lettere al Presidente della Repubblica e al consigliere per gli Affari militari della presidenza per chiedere il riconoscimento dello Stato italiano per i 103 ufficiali uccisi dai tedeschi sull’isola egea (l’italiana Coo), anche con una lapide. Senza ottenere risposta. A darne notizia Mario Angiulli, tesoriere del Comitato e nipote del sottotenente Francesco Custodero, tra le vittime dell’eccidio, a seguito della visita a Capo Sunion, in Grecia, dell’equipaggio della Nave Palinuro e, poi, di Sergio Mattarella per rendere omaggio ai 4.200 naufraghi della nave Oria (ne avevamo scritto qui). Quello che manca, da parte delle istituzioni è però un riconoscimento ufficiale per quanto accadde nell’ottobre 1943 a Kos. Il Presidente Giorgio Napolitano nel suo discorso del 25 aprile 2014 aveva dato la speranza che una personalità di rango si sarebbe recata sull’isola a rendere i dovuti onori militari a quegli uomini, poco più che ventenni, che scientemente accettarono di andare incontro alla morte pur di mantenere fede al giuramento alla Patria. Ma anche le ultime lettere inoltrate sono rimaste prive di attenzione. Ma cosa accadde?

LA STORIA DI KOS – Kos e le isole del Dodecaneso (Sporadi meridionali) costituivano, “temporaneamente” dal 1912 e ufficialmente dal 1923, il Possedimento Italiano delle Isole dell’Egeo. Appartenenti all’Impero Ottomano e occupate dall’Italia durante la guerra di Libia, erano state un pegno concesso dall’Intesa per la partecipazione del nostro Paese alla Grande Guerra, e successivamente – in spregio ai desideri della popolazione greco-ortodossa che abitava in maggioranza quei territori – annesse dall’Italia approfittando della debolezza dello stato greco dopo la guerra persa contro la Turchia nel 1919-1922L’occupazione italiana del Possedimento vide l’avvicendarsi di numerosi governatori militari e civili. La fase migliore coincise con il governatorato di Mario Lago, che rispettò, per quanto possibile, le autonomie delle varie comunità presenti nelle isole. La fase peggiore si aprì con l’inizio, nel 1936, del governatorato del triumviro Cesare Maria De Vecchi – che impose la totale “italianizzazione”, e quindi “fascistizzazione” del Possedimento – e proseguì con lo scoppio della guerra, l’armistizio italo-alleato del settembre 1943, l’occupazione tedesca. Le leggi razziali vennero estese al Dodecaneso, le autonomie limitate o abolite, l’italiano resa lingua obbligatoria in pubblico, mentre parlare in greco divenne un reato. Il Possedimento fu militarizzato e affidato a governatori militari.

KOS DOPO L’8 SETTEMBRE – Le truppe italiane stanziate nell’isola di Kos all’8 settembre 1943 ammontavano a circa 4.000 uomini appartenenti al 10imo reggimento di fanteria della divisione “Regina”, e comandati dal colonnello Felice Leggio. Il reparto dipendeva dal comando di Rodi, capoluogo, ed era affiancato da un gruppo misto di artiglieria, piccoli reparti di marina, aeronautica, carabinieri, finanzieri e camicie nere. L’isolamento fisico si era velocemente trasformato in “isolamento psicologico”, una condizione che fu aggravata dagli eventi dell’estate: lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la caduta del fascismo provocarono uno “sbandamento generale , che divenne “shock” la sera dell’8 settembre, quando sull’isola giunse la notizia dell’armistizio. I pochi tedeschi, presenti a Kos da poco tempo e in servizio nella località di Antimachia, furono disarmati, e nella notte tra l’8 e il 9 settembre sull’isola furono lanciati volantini alleati che invitavano alla resistenza contro le truppe germaniche. La notte successiva giunse a Kos la missione Arabic, organizzata dallo Special Operation Executive, per prendere contatti con il comando italiano. In quelle stesse ore avevano luogo i brevi combattimenti tra gli italiani di Rodi, circa 35.000, e i tedeschi, circa 7.000. L’11 settembre Kos fu bombardata dalla Luftwaffe per la prima volta. Le truppe del Commonwealth guidate dal colonnello Kenyon cominciarono a sbarcare a Kos il 13 settembre. L’ordine era di “cooperare” con gli italiani per mantenere Kos in possesso alleato: l’importanza dell’isola era data dalla presenza dell’aeroporto di Antimachia. Anche le truppe germaniche ritenevano quella postazione indispensabile per il controllo dell’area. Fu così che la “piccola” storia di Kos entrò nella grande storia degli interessi delle potenze belligeranti della Seconda guerra mondiale. Fin da prima dell’armistizio, il premier britannico Winston Churchill aveva sostenuto che l’Egeo dovesse essere inserito tra le priorità degli Alleati. A Kos italiani e tedeschi fecero una delle prime prove di quella che, dalla metà dell’ottobre 1943, sarebbe stata la cobelligeranza.

EGEO COME OBIETTIVO – L’Egeo era, nella strategia tedesca, il quarto obiettivo del piano riguardante il Mediterraneo, dopo Cefalonia, Corfù e Spalato: l’arco temporale compreso tra la conquista di Rodi (11 settembre) e l’attacco definitivo a Kos (3 ottobre) aveva visto l’eliminazione della resistenza italiana a Cefalonia e Corfù e l’attacco vittorioso alle isole Cicladi. I tedeschi, in tutto circa un migliaio, sbarcarono a Kos nelle prime ore del 3 ottobre, e colsero italiani e britannici di sorpresa. Fecero centinaia di prigionieri, mentre altri soldati, sia italiani sia britannici, abbandonavano le proprie postazioni e cercavano scampo sui monti o verso le coste turche. All’alba del 3 ottobre, alcuni reparti guidati dal generale Friedrich Wilhelm Müller, comandante della 22a divisione di fanteria e già soprannominato “macellaio di Creta”, sbarcarono sull’isola. In breve tempo la battaglia volse a favore dei tedeschi, che ebbero la meglio sulla debole e disorganizzata resistenza dei difensori italiani e inglesi. Mentre questi ultimi sono avviati a una prigionia dura ma tutelata dalle convenzioni di guerra, gli italiani sono considerati traditori, alcuji fucilati per rappresaglia. La lunga occupazione tedesca di Kos, brutale ed efferata, ha come vittima principale, oltre ai soldati italiani, la popolazione, in particolare la comunità ebraica, interamente deportata nei campi di sterminio. Le richieste di aiuto rivolte a Lero e a Cipro, nonostante le numerose promesse, non furono soddisfatte. Nessun mezzo, né nautico né aereo, giunse in sostegno. Sulle truppe italiane che avevano resistito a Kos si affacciava a quel punto lo spettro di Cefalonia, così com’era stato minacciato dagli stessi tedeschi durante le ore di combattimento. Un volantino lanciato sull’isola dagli aerei della Luftwaffe recitava infatti:

“ITALIANI, la resistenza che i vostri camerati, per la sconsigliatezza dei loro Comandanti, hanno fatto a Cefalonia e Corfù, contro i soldati tedeschi, è stata infranta decisamente e con perdite sanguinosissime da parte italiana. Anche a Coo, come a Cefalonia e Corfù, le truppe hanno dovuto pagare col sangue la loro vana, inconsulta resistenza”.

I tedeschi, che persero durante i combattimenti 15 uomini ed ebbero 70 feriti, ottennero a Kos un ricco bottino in armi, munizioni, mezzi italiani e inglesi. I prigionieri furono ben 4.533, di cui 1.388 inglesi e 3.145 italiani. Una vittoria facile e un risultato insperato. Il destino venne tratteggiato dallo stesso Churchill:

“Dì agli italiani – scrisse a Wilson il 3 ottobre, mentre a Kos si combatteva – quale terribile sorte li attende se cadono nelle mani degli Unni. Saranno fucilati in massa, soprattutto gli ufficiali, e i superstiti saranno trattati non come prigionieri di guerra ma come schiavi lavoratori per la Germania”.

Gli ufficiali italiani furono infatti considerati traditori. Fin dalla sera del 4 ottobre furono separati dai propri sottoposti, che vennero concentrati nel castello di Kos Town e nel campo di aviazione di Antimachia, e subito impiegati in lavori, malmenati, tenuti a digiuno per giorni e puniti, anche con la fucilazione, per la minima disattenzione o accenno di protesta. Gli ufficiali furono sottoposti a un processo di discriminazione, basato sull’aver partecipato o meno ai combattimenti appena conclusisi. Alcuni riuscirono a dimostrare di non aver preso parte alla battaglia; altri, entrati nelle grazie dei tedeschi, furono esclusi dalla fucilazione; altri ancora si salvarono perché i propri sottoposti si assunsero in modo esclusivo la responsabilità della scelta di lotta. Tuttavia, in alcuni casi, la decisione tedesca fu totalmente arbitraria. Sicuramente la verità era nota agli inglesi, e allo stesso Churchill, che già il 10 ottobre scriveva di aver saputo che i tedeschi avevano fucilato a Kos “89 ufficiali”, del 10° reggimento di fanteria della divisione Regina, comandato dal colonnello Felice Leggio. Le fosse di Linopoti furono scoperte nell’aprile 1944 ma i corpi non poterono essere esumati prima del marzo 1945. La notizia della strage degli ufficiali fu sepolta, insieme a tante altre, nel famigerato “armadio della vergogna”, e nessuno pagò mai, né venne cercato, per ciò che era successo a Kos nell’ottobre 1943 e nel periodo successivo. Tutti i protagonisti, vittime e carnefici, furono volutamente dimenticati, e Kos divenne ciò che è oggi, una meta di viaggio ambita da italiani, tedeschi e inglesi, turisti spesso inconsapevoli.