Notiziario: L’Arsa, un disastro minerario all’ombra della Seconda Guerra Mondiale

L’Arsa, un disastro minerario all’ombra della Seconda Guerra Mondiale

L’Europa, nel febbraio 1940, si trovava in guerra già da cinque mesi. Da quel settembre 1939, quando le forze armate del Reich tedesco scatenarono la Blitzkrieg contro la Polonia, l’Italia di Mussolini aveva dichiarato la propria non belligeranza. Nell’intera penisola la vita continuava a scorrere tranquilla, anche se iniziavano a spirare i primi venti di guerra: “l’ora delle decisioni irrevocabili” doveva ancora scoccare ma ben altre tragedie avrebbero riempito le prime pagine dei principali quotidiani di allora. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, il Regno d’Italia entrò in possesso del bacino carbonifero dell’Arsa: con un forte fabbisogno di carbone, la produzione annua superò le 100.000 tonnellate. Via via lo sfruttamento del bacino minerario andò sempre più aumentando, a scapito però della sicurezza: due gravi incidenti, avvenuti nel 1937 e nel 1939, causarono complessivamente la morte di venti minatori. L’Arsa subì in breve tempo un completo mutamento: venne costruita ex-novo una città mineraria, capace di ospitare fino a settemila operai, capaci di estrarre oltre un milione di tonnellate di carbone. All’inaugurazione del polo minerario fu presente lo stesso Benito Mussolini che volle cimentarsi egli stesso con pala e piccone.

Arrigo GrassiMa il 28 febbraio 1940 accadde l’impensabile. Era notte inoltrata, alle 04.35, quando ai livelli 15, 16, 17 e 18 un incendio di polvere di carbone causò un’esplosione di immani proporzioni: i gas compressi, per cercare una via di fuga, seguirono i cunicoli e le gallerie, spazzando con un’onda d’urto calda  e mortale tutto ciò che incontravano sul proprio cammino. Presto, i vapori sprigionatisi dall’esplosione e dall’incendio saturarono la miniera, così che non ci fu scampo per chi si trovava all’interno: dalle gallerie, in una corsa contro il tempo, furono estratti 185 minatori morti, mentre altri 150 furono i feriti gravi e gli intossicati, che si portarono per il resto della propria vita i segni indelebili di questa tragedia. Subito la catena dei soccorsi si mise in moto: tra i primi ad accorrere sul luogo dell’esplosione, furono gli stessi minatori liberi dal turno di lavoro o che si trovavano ad estrarre il carbone in altri livelli non interessati dall’evento. In tantissimi si calarono all’interno senza protezioni e maschere, con il solo intento e scopo di tirare fuori chi si era ritrovato intrappolato. Tra questi, Arrigo Grassi, meccanico di miniera, trovava la morte nel vano tentativo di estrarre un compagno rimasto intrappolato. Per il suo gesto altruistico venne insignito dalla Medaglia d’Oro al Valor Civile alla Memoria: “In occasione del grave scoppio avvenuto nella miniera carbonifera dell’Arsa, che causò la morte di molti operai, penetrava ripetutamente, sprovvisto di maschera, nelle gallerie invase da gas letali e, con tenace azione, riusciva a salvare dieci minatori. Accortosi infine che un suo compagno mancava all’appello, scendeva di nuovo nella zona pericolosa; ma trovava la morte accanto a colui che aveva voluto salvare. Esempio mirabile di generoso, indomito ardire. Arsa, Pola, 28 febbraio 1940”.

Minatori dell'ArsaLo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, però, non permise di fare piena luce sulla causa dell’immane tragedia. Di certo c’erano i turni massacranti a cui erano sottoposti gli operai e le gravi carenze nella sicurezza: molte furono le relazioni dell’epoca che, ben prima della tragedia, mettevano in luce lo sfruttamento selvaggio del bacino carbonifero dell’Arsa, richiamando più volte la dirigenza a implementare le dotazioni di sicurezza, come ad esempio maggiori estrattori, che avrebbero permesso una minor dispersione del pulviscolo di carbone nell’aria, essendo altamente infiammabile. Anche la stessa refrigerazione delle pareti delle gallerie al momento del brillamento delle mine fu spesso messa in evidenza: gravi carenze che, se non furono la causa principale, rappresentarono certamente delle concause non meno determinanti. Con la fine del secondo conflitto mondiale, poi, e il Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 che determinò il passaggio dell’Istria alla Jugoslavia, e con essa la regione dell’Arsa, questa tragedia all’ombra della guerra venne presto dimenticata.