Notiziario: L’affondamento del Piroscafo Tripoli

L’affondamento del Piroscafo Tripoli

Il Radiotelegrafista Carlo Garzia, quella drammatica notte tra il 17 e il 18 marzo 1918 decise di non abbandonare la sala radio, nonostante la nave dove fosse imbarcato, a seguito di un siluramento da parte di un U-Boot tedesco, stesse affondando. La sua morte permise ad altre navi di accorrere e recuperare i naufraghi, caduti in un mare buio al largo di Capo Figari, promontorio a nord della Sardegna. Anche il Vice Brigadiere dei Carabinieri Angelino Anedda affondò con l’imbarcazione, nonostante in un primo momento fosse riuscito a mettersi in salvo: scorte due naufraghe alla deriva, seminude, si offrì di andare a cercare nelle cabine alcune coperte e indumenti per le povere donne, non riuscendo più a salire e trovare la salvezza per le tonnellate d’acqua che entravano dalla falla. Garzia e Anedda trovarono la morte a bordo del Piroscafo Tripoli, un postale in servizio in tempo di pace sulla rotta Golfo Aranci-Civitavecchia, di proprietà della Società di Navigazione Generale Italiana, assieme ad altre 286 persone. Ma la sciagura più grande fu la tragedia che colpì direttamente la Brigata Sassari, che utilizzò il Piroscafo per il trasporto dei propri soldati: a bordo, stando ai resoconti dell’Agenzia di Navigazione di Golfo Aranci, erano imbarcate 489 persone, di cui 63 membri dell’equipaggio appartenenti alla Marina Mercantile, 379 militari (per la maggioranza sassarini) e 47 civili.

Il siluramento e il conseguente affondamento del Tripoli fu la conseguenza di gravi errori. Primo tra tutti la mancanza di una adeguata scorta: infatti, dalle ore 22.00, la Nave Armata Principessa Mafalda comunicava che veniva lasciato il “servizio di scorta a nave postale in navigazione da Golfo Aranci alla volta di Civitavecchia per lo stato del mare”. Nonostante la presenza a bordo del Piroscafo di un cannone a tiro rapido per la difesa antisommergibile, il Tripoli aveva i minuti contati. L’SOS venne lanciato alle 22.30 del 17 marzo 1918, pochi minuti dopo l’avvenuto siluramento da parte del sommergibile tedesco: colpito sul lato di dritta, il siluro centrò in pieno il compartimento della sala macchine, lasciando il Piroscafo nella completa oscurità. Impiegò quasi quattro ore ad affondare, con i naufraghi in acqua in pieno inverno: la mancanza di scialuppe, la temperature poco al di sopra dei 4°C e il mancato coordinamento dei soccorsi contribuirono all’evolversi della tragedia. Soli, completamente abbandonati nell’oscurità del Mar Tirreno, i superstiti poterono contare solo su sé stessi: c’è chi lasciò il proprio posto sulle scialuppe ai civili e alle donne imbarcate, chi rimase a bordo coordinando i soccorsi, chi non abbandonò la sala radio inviando segnali morse e radio per le altre navi in zona.

Come abbiamo ricordato all’inizio, due uomini si distinsero in maniera particolare quella notte. Furono il Marinaio Radiotelegrafista Carlo Garzia e il Vice Brigadiere dei Carabibieri Reali Angelino Anedda: sacrificarono le proprie vite cercando di salvare quelle degli altri e per questo furono decorati postumi della Medaglia d’Argento al Valor Militare. In qualità di operatore radio, Garzia, “di fronte al nemico e al pericolo, dava mirabile prova di sangue freddo, tenacia e cosciente abnegazione, rimanendo fino all’ultimo al proprio posto per lanciare segnali di soccorso che permisero ad altre navi di accorrere al salvamento dei naufraghi della propria nave irremissibilmente perduta. Scompariva con la sua nave, dando generosamente la vita nel compimento del proprio dovere. Paraggi di Capo Figari, 17 marzo 1918”. Allo stesso modo, il Vice Brigadiere Anedda, “di notte, in servizio di tradotta sul Piroscafo Tripoli, nonostante che la nave silurata dal nemico fosse in procinto di affondare, rimase in coperta ad incuorare e aiutare tutti quelli che, per la depressione dello spirito, non erano capaci di alcuna risoluzione. Viste in una zattera slegata sulla tolda due donne seminude che, quasi assiderate, imploravano soccorso, offrì la propria giubba ad una di esse e, conscio del pericolo, scese nelle sottostanti cabine in cerca d’indumenti per l’altra, trovandovi la morte con la nave che si inabissava. Mirabile esempio di abnegazione, di filantropia e di non comune sangue freddo. Acque del Tirreno, 18 Marzo 1918”