Museo del Genio o del genio? Il pur facile gioco di parole si presta a descrivere bene una delle realtà museali più interessanti d’Italia (visitabile su richiesta). Si tratta dell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio, un colosso in travertino da 4400 mq situato sul Lungotevere della Vittoria, a Roma. Al suo interno sono conservate le testimonianze della più alta espressione dell’inventiva italiana applicata all’uso militare, ma non solo. Dalle Guerre d’Indipendenza fino al secondo conflitto mondiale, troviamo la prima radio da campo di Marconi, il prototipo di telefono di Meucci, le mongolfiere da osservazione, i modellini di mirabolanti teleferiche e di fortini coloniali “portatili”, il primo aereo di uso bellico, i mimetismi per cannoni e, ancora, insieme alle fotografie realizzate dai piccioni viaggiatori, un’intera colombaia militare perfettamente conservata. Materiali di una straordinaria tecnologia pre-digitale tutta tesa a superare i limiti imposti dalla terra, dall’aria e dall’acqua.
Un museo da record
Lo stesso Museo, voluto per accogliere le prime collezioni curate, fin dal 1906, dal Gen. Mariano Borgatti in Castel Sant’Angelo, è il frutto di un “superomistico” cimento costruttivo dato che fu edificato in soli due anni, dal 1937 al 1939. Il Ten. Col. Gennaro De Matteis, che lo progettò, ebbe l’intuizione di creare uno dei primi edifici museali appositamente costruiti con criteri espositivi. La sua pianta, a percorso circolare, è ideata in modo da guidare il visitatore attraverso le varie sale secondo un percorso coerente e continuo. Oltre a ricordare le glorie conquistate sui campi di battaglia, il Museo testimonia l’intima connessione che vi è sempre stata tra società civile e Genio militare, l’arma tecnica per eccellenza, che, nelle recenti emergenze sismiche e meteorologiche, si è particolarmente distinta. Nonostante sia poco conosciuto in Italia, architetti, storici dell’arte e ingegneri di tutto il mondo vengono a visitare questo museo anche per la sua raccolta di progetti architettonici antichi, alcuni dei quali risalenti al 1600. Va ricordato, infatti, che l’Architettura stessa nacque, di per sé, per fini militari, applicandosi alla costruzione di ponti, fortezze, castelli.
Arruolati i non vedenti
Tra i mille cimeli conservati, spicca l’unico esemplare di Aerofono ancora esistente, l’antenato del radar che fu usato soprattutto durante l’ultima guerra.
E’ uno strumento consistente in due enormi “orecchie” metalliche, padiglioni che servivano per captare in lontananza il sopraggiungere di aeroplani nemici e localizzare, con ottima approssimazione, la loro direzione. Questo dava modo al personale contraereo di indirizzare fasci di luce verso gli apparecchi in arrivo e, agli artiglieri, di direzionare opportunamente il tiro dei cannoni. La cosa più interessante è che gli aerofoni venivano gestiti da soldati ciechi i quali, grazie al particolare sviluppo dell’udito, riuscivano a identificare modello, distanza, e perfino quota dei velivoli nemici. Nel 1939, una legge - voluta da Mussolini in persona – aveva consentito ai non vedenti di arruolarsi nella Milizia Contraerea e nell’Artiglieria costiera in questo ruolo speciale. L’addestramento si svolgeva tramite un apparecchio simulatore, sempre conservato nel Museo, che riproduceva registrazioni dei motori degli aerei dell’epoca. Molti reduci che, durante la Grande Guerra avevano perso la vista, si arruolarono con entusiasmo e al provvedimento fu dato un certo risalto propagandistico, con lo stile tipico del periodo: “Con le pupille spente, appuntate sincronicamente sulle invisibili strade del suono, i ciechi sembrano implorare nelle deprecate tenebre che nuovamente si abbattono sull’Europa il rapido avvento di quella giustizia che il Duce ha, da tanti anni, annunziata e cui, infallibilmente, il suo genio ci guida”. Furono 832 i non vedenti arruolati e svolsero i loro compiti contraerei fino alla fine della guerra, considerato che l’Italia non valorizzò in modo adeguato i pur fruttuosi esperimenti sulle onde elettromagnetiche che i nostri ricercatori avevano compiuto fin dai primi anni ’30, né il prototipo di radar che la Germania ci aveva messo a disposizione.

Quelle visioni diventarono opere d’arte
Un referto medico descrive le visioni sonore di queste “sentinelle uditive”: il rombo lontano dei velivoli produceva nella loro immaginazione una sorta di codice composto da macchie e forme colorate. Il giovane artista abruzzese Alessandro Cicoria si è ispirato a questo fenomeno e, in giugno, esporrà presso l’Istituto di Cultura Svizzero, a Roma, una serie di opere ispirate alle immagini interiori degli aerofonisti. Per trasferire sulla carta le rarefatte sensazioni visive dei soldati non vedenti, l’artista ha fabbricato da solo dei gessetti colorati particolarmente friabili.
La colombaia militare
Di grande interesse è anche la colombaia del Regio Esercito, conservata nel cortile del Museo, che fu usata in entrambe le guerre mondiali. Come spiega il Prof. Giacomo Dell’Omo, ornitologo che, tutt’oggi, utilizza una colombaia militare (svizzera) per i suoi studi sui piccioni viaggiatori: ”L’uso di questi uccelli è, come noto, antichissimo, ma si è protratto anche fino alla seconda guerra mondiale poiché a differenza delle trasmissioni radio, i colombi non potevano essere intercettati. Un soldato addetto (il colombofilo) doveva passare almeno tre ore al giorno in compagnia dei volatili, affinché questi prendessero, con l’uomo, la dovuta dimestichezza. Bastavano due settimane di ambientamento perché una colombaia semovente, spostata in qualsivoglia posizione sul territorio, potesse essere riconosciuta come base di ritorno dai colombi e consentire alle retrovie di ricevere i messaggi dalle prime linee”.
L’aereo Bleriot
Il capostipite di tutti gli aerei militari italiani è lì, in una delle sale: il monoplano monoposto Blériot XI, con cui il Capitano di artiglieria Carlo Piazza compì il primo volo operativo su truppe nemiche il 28 ottobre 1911, durante la Guerra di Libia. Il velivolo, con le sue ruote da bicicletta, i tiranti a vista e la carlinga in tela e compensato appare spaventosamente fragile, ma offre, allo stesso tempo, un’idea delle capacità e del coraggio del suo pilota. Nonostante il vento impetuoso e la nebbia fitta, l’impresa di Piazza dimostrò che l’aereo permetteva l’osservazione delle mosse del nemico con un enorme profitto tattico.
Le vrtrate di Ciambellotti
Il sacrario, vero fulcro simbolico del Museo, è illuminato dai colori delle vetrate disegnate da Duilio Cambellotti (1876-1960) l’eclettico artista pioniere dell’Art Nouveau italiana. La finestratura dell’abside riprende episodi della vita di S. Barbara, protettrice dell’Arma e, in basso, scene realistiche delle varie specialità operative dei genieri. Invenzione, simbolo e pura stilizzazione per illuminare di colori irreali un ambiente dedicato alla memoria dei Caduti del Genio militare.