Notiziario: Il I Battaglione d’assalto Paracadutisti della Regia Aeronautica in Tunisia

Il I Battaglione d’assalto Paracadutisti della Regia Aeronautica in Tunisia

Nel post odierno parliamo del I Battaglione Paracadutisti della Regia Aeronautica, uno dei tre battaglioni inquadrati nel 1º Reggimento d’assalto “Amedeo d’Aosta”. L’unità forte di circa 1.500 uomini era costituita oltre che dal il 1º Battaglione d’Assalto Paracadutisti, dal Battaglione Eiattatori “Loreto”, e dal battaglione ADRA (Arditi Distruttori Regia Aeronautica).

In realtà la costituzione del Battaglione Arditi Distruttori il cui compito era di effettuare e missioni di sabotaggio con esplosivi, avvenne però solo nel febbraio 1943, sette mesi dopo l’emanazione della circolare di nascita e il Battaglione passa poi alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore Aeronautica.

Nella primavera del 1942 i comandi militari italiani lavorano febbrilmente alla preparazione dell’Esigenza C3, l’invasione dell’isola di Malta, da sempre importante base navale britannica e spina nel fianco per le nostre navi impegnate a rifornire i combattenti in Africa settentrionale. In questo contesto, la Regia Aeronautica è chiamata a svolgere un importante parte del piano con gli aerei da trasporto , necessari a lanciare sull’isola gli uomini della Folgore per rifornire i reparti impegnati di vari materiali, oltre a fornire la componente dei velivoli da combattimento.

Lo Stato Maggiore dell’Arma azzurra, però vuole partecipate attivamente con proprio personale, nasce così l’idea di costituire due reparti speciali, il I Battaglione d’Assalto Paracadutisti e il Battaglione Riattatori “Loreto”. Ben duemila aviatori di tutti i gradi e di tutte le categorie, fanno richiesta di arruolamento nei nuovi reparti, che offrivano a tutti, anche a quelli che non volavano, la possibilità di combattere.

Ne vengono selezionati circa cinquecento, tutti volontari che vengono sottoposti ad un duro e severo addestramento comprendente lanci, tiri, marce, combattimento terrestre, corso guastatori e corso cacciatori di carri, il tutto in vista dell’operazione di invasione di Malta. Erano stati tre mesi di duro lavoro, ma ora erano pronti ad entrare in azione.

Il I Battaglione d’Assalto Paracadutisti venne costituito ufficialmente a Tarquinia, presso la Scuola Paracadutisti il 12 maggio 1942, con una consistenza organica di circa 400 uomini, articolati su tre compagnie, più i plotoni comando e servizi. Comandante del battaglione, viene designato il tenente colonnello Edvino Dalmas.

Nato a Zara, Dalmazia il 3 ottobre 1895 Dalmas, lasciava la città natale, allora in territorio austroungarico, per trasferirsi in Italia, dove entrava a far parte del Regio Esercito come ufficiale di complemento esule come tanti Istriani, Fiumani e Dalmati nella Grande Guerra. Non appena venne costituita l’arma aerea, ne entrava a far parte. Promosso capitano nel 1928 e maggiore nell’ottobre del 1937, diveniva tenente colonnello nel 1941, partecipando attivamente al progetto di realizzazione dell’ADRA (Arditi Distruttori della Regia Aeronautica).

Come abbiamo visto in un nostro precedente post, le forze dell’Asse il 21 giugno del 1942 conquistarono la piazzaforte di Tobruch, in seguito a questi fatti, Rommel riusci a convincere Hitler e Mussolini sull’utilità di accantonare i piani di invasione di Malta e proseguire l’inseguimento degli inglesi in rotta e conquistare l’Egitto. L’esigenza C3 viene rimandata e successivamente definitivamente abbandonata, è il 23 giugno del 1942 e tutte le forze addestrate per l’Esigenza C3 vennero dirottate su altre operazioni..

Seguirono le dure battaglie di El Alamein, la seconda e decisiva viene vinta dagli Alleati, che mettono in campo una schiacciante superiorità in uomini e mezzi. La dura battaglia si conclude il 4 novembre e quattro giorni dopo, mentre era in pieno svolgimento la ritirata dall’Egitto, truppe anglo-americane sbarcano in forze in Marocco e Algeria, scarsamente contrastate dalle forze della Francia di Vichy formalmente alleata con l’Asse. Le truppe italo-tedesche devono combattere su due fronti.

Lo Stato Maggiore italiano reagì prontamente, già il 10 novembre ven­tinove Macchi 202  avevano atterrato sul campo di Tunisi, sollevando le proteste dei francesi che miravano a guadagnar tempo fingendo di voler collaborare coi tedeschi. Questi in un primo tempo avevano creduto alla fin­zione, e avevano chiesto il ritiro del nostro reparto, ma poi si erano visti sparare addosso dai francesi e avevano dovuto rispondere.

Il 12, due piroscafi e cinque caccia-torpediniere italiani avevano sbarcato a Biserta il primo consistente nucleo di forze per occupare la Tunisia. Si trattava di un migliaio di uomini, appartenenti al 10° Bersaglieri, al 92° Fanteria, LDVI I gruppo semoventi da 75/18, CI e CXXXVI Battaglioni carro da 47/32 e 1800 tonnellate di materiale.

Pochi giorni dopo e precisamente il 16 novembre 1942, a Biserta da due piroscafi arrivati in mattinata e accolti su­bito da un bel bombardamento, stavano sbarcando alcune centinaia di paracadutisti che, sotto il giubbotto mimetizzato, indossavano l’uniforme di panno grigio- azzurro dell’aeronautica italiana. Quando furono tutti inquadrati sulla banchina, l’ammiraglio Biancheri salì su un bidone di benzina e rivolse loro pochissime parole che suonavano così:

« Ragazzi, qui tutti ci guardano: italiani, tedeschi, francesi, inglesi, americani e tunisini.
E’ una buona occasione per farvi onore. Sotto, dunque, e viva l’Italia! »

La situazione era tale da non consentire ordini di operazioni elaborati e direttive precise. Bisognava farsi onore e l’occasione era buona. In quei giorni un gruppo misto italo-tedesco, comandato dal maggiore Witzig, colui che nel 1940 aveva conquistato il forte di Eben Emael in Belgio,  si era spinto oltre Mateur ed era entrato in contatto con gli Inglesi e necessitava urgentemente di truppe di rincalzo. Le punte più avanzate del gruppo misto Witzig erano giunte il 17 a contatto con le avanguardie inglesi a Gebel Abiod.

Il 17 in uno dei salienti più esposti, il Gebel Abiod, il reparto tedesco venne raggiunto dal I Battaglione Paracadutisti della Regia Aeronautica, un reparto formato esclusivamente da volontari che erano stati preparati ed addestrati per partecipare all’azione di Malta. Si trattava di 308 uomini, il cui comando era stato affidato dal capo di stato maggiore del- l’aeronautica, generale Fougier al colonnello Edvino Dalmas, che proveniva dai bersaglieri.

Il 17, dopo un incontro tra il generale Benigni, il generale Nehring, l’ammiraglio Biancheri e un rappresentante francese, il Battaglione ebbe l’ordine di requisire qual­che camion e di portarsi a sud-ovest di Biserta per af­frontare le colonne avversarie che si stavano minaccio­samente avvicinando alla base. Quando i paracadutisti giunsero verso il nodo stradale di Menzel Djemir, situato a sei chilometri a sud-est di Biserta, si sapeva poco della situazione generale.

Si sapeva solo che non c’era tempo da perdere, il compito affidato ai paracadutisti era semplice: se vedevano carri armati nemici dovevano trovare il modo di fermarli, se no la Tunisia era perduta e la morsa si sarebbe chiusa sulle forze italo-tedesche che ripiegavano dall’Egitto. Mai consegna era stata più chiara. Il reparto raggiunse il settore che gli era stato assegnato e si attestò a difesa come era stato ordinato.

Era in pratica una gara di velocità, fra le forze dell’Asse che tentavamo di imbastire una linea di difesa e gli anglo-americani che puntavano  disperatamente verso i porti tunisini, ci si dovesse fermare ad attenderlo. Passato Mateur e raggiunta la zona collinosa di Gebel Abiod, arrivarono le prime cannonate e i no­stri incontrarono il piccolo reparto del maggiore Witzig attestato con due carri armati davanti al villaggio oc­cupato dagli inglesi.

Dalmas e Witzig si intesero subito; appreso dall’uf­ficiale tedesco che gli inglesi erano appoggiati da molti pezzi di artiglieria, il colonnello Dalmas fece attestare il suo battaglione su una collinetta antistante il villaggio di Gebel Abiod, avendo cura di suddividere gli uomini a due per due in buche distanziate di una ventina di metri l’una dall’altra. Infatti, non essendovi la possi­bilità di controbattere il tiro avversario, questo era il solo sistema atto a limitarne le conseguenze.

La situazione, data l’esiguità del reparto e il suo totale isolamento, era quanto mai precaria; ma i nostri, pur non sapendo allora che le forze che li fronteggiavano avevano fatto una lunga tirata da Bona a lì ed erano state raggiunte soltanto da un nucleo dei paracadutisti che erano stati lanciati sul campo di Souk-el- Arba, ebbero la sensazione che anche gli inglesi avessero il fiato grosso. Perché non approfittarne per tentare di occupare il villaggio e trasformarlo in un caposaldo difensivo?

I due comandanti, l’italiano e il tedesco, avevano lo stesso temperamento e la mancanza di ordini non costituiva un motivo per rimanere passivi. Il 21, a sud della posizione da loro occupata, un altro reparto italo-tedesco aveva preso contatto con pattuglie avversarie provenienti da Béja; quindi non c’era tempo da perdere e si decise di attaccare nella stessa notte: tre nostri plotoni per conquistare tre collinette che fiancheggiavano il paese, mentre i tedeschi dovevano puntare direttamente sull’abitato.

La manovra di avvicinamento ripeteva un tema già fatto più volte da tutti durante la lunga fase addestrativa. Si erano preparati per questo momento e lo avevano atteso e sognato per mesi, anche se lo avevano immaginato diverso. Prima dell’alba i tre plotoni scattarono contemporaneamente e sorpresero l’avversario le cui posizioni furono conquistate d’impeto, senza che quello facesse in tempo ad abbozzare un tentativo di resistenza; un centinaio di prigionieri, tra i quali un capitano, furono catturati ed avviati verso le nostre posizioni.

Ma i paracadutisti stavano ancora rastrellando il terreno quando la reazione nemica si scatenò con una violenza indicibile. Un uragano di fuoco si scatenò sulle nostre posizioni di partenza, su quelle conquistate e sull’avvallamento intermedio, dove i tedeschi rimasero bloccati senza poter avanzare verso l’abitato. Granate da 155 esplodevano dappertutto, senza che vi fosse da parte nostra alcuna possibilità di reagire; gli uomini non avevano altra difesa che quella di rimanere rintanati nelle buche, in attesa del contrattacco che si sarebbe certamente scatenato non appena l’artiglieria avesse allungato il tiro.

Uno dei primi a morire fu il paracadutista triestino Giovanni Raengo, straziato dall’esplosione di tutte le bombe che aveva nel tascapane. Poi cadde Bargellesi e molti altri furono feriti; tra questi l’aviere paracadutista Giacomazzi, colpito al ventre, morì dissanguato prima che potessero soccorrerlo. Come c’era da aspettarsi, a quel punto i reparti inglesi passarono al contrattacco in forze.

Fu in questa fase che rifulse il valore del primo aviere Enzo Albertazzi, di Savona: per quanto assegnato al Comando, quando aveva saputo che la sua squadra avrebbe partecipato all’attacco, aveva chiesto di unirsi ai suoi compagni, ed aveva conquistato con loro la posizione avversaria. Quando si profilò il contrattacco, si sistemò al riparo di una roccia e, con brevi raffiche di mitra, abbatté tutti quelli che gli si presentarono a tiro. Poi fu circondato, si difese con il lancio di bombe a mano e fu visto l’ultima volta mentre, impegnato in una lotta a corpo a corpo, si difendeva manovrando il mitra come una clava.

Pari a lui in valore fu il tenente Michelangelo Mes­sina che si batte sino a quando non fu colpito da una raffica al ventre; trascinato al riparo da alcuni com­pagni chiese loro che gli accendessero una sigaretta e poi spirò. Anche il colonnello Dalmas fu ferito; si era portato in posizione avanzata per osservare meglio lo svolgi­mento dell’azione da una buca occupata da due para­cadutisti: vi arrivò dentro una granata che determinò l’esplosione di una quarantina di bombe a mano e il conseguente ferimento dei tre occupanti.

Il tenente Riello, accorso sotto il tiro da una buca vicina per soccorrere i feriti, fu salvato da questo suo atto generoso perché un colpo avversario esplose subito dopo proprio nella buca che lui aveva abbandonato. Dopo la prima sommaria medicazione, il colonnello Dalmas poté ricostituire la linea e continuare la resistenza.

In questa fase, altre belle prove di valore furono date dal personale medico del reparto e da molti arabi che appoggiarono sponta­neamente e coraggiosamente l’azione dei nostri soldati. Purtroppo le perdite del Battaglione furono gravi; ciò nonostante il reparto il cui comando fu in seguito assunto dal capitano Aldo Molino, resiste’ all’azione nemica per altri sei giorni, dopo di che ebbe l’ordine di ripiegare su Mateur.

Si deve però all’azione di Gebel Abiod se nelle retrovie i reparti fatti affluire in fretta dall’Italia ebbero il tempo di costituire quella linea di difesa che consentì alle forze dell’Asse, passate poi al comando del generale Messe, di resistere in Tunisia sino a metà del maggio 1943.

I 308 uomini del colonnello Dalmas, pur catapultati in un’azione improvvisata,  stupirono gli avversari sia gli alleati tedeschi.  La loro resistenza, con i reparti arrivati nel frattempo dall’Italia, permise di costruire quella linea di difesa che consenti la resistenza delle truppe italo-tedesche in Tunisia fino a metà del maggio 1943.