“Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Alcuni risero, altri piansero, i più rimasero in silenzio. Mi ricordai del verso delle scritture Indù, il Baghavad-Gita. Vishnu tenta di convincere il Principe che dovrebbe compiere il suo dovere e per impressionarlo assume la sua forma dalle molteplici braccia e dice: adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi. Suppongo lo pensammo tutti, in un modo o nell’altro”. Queste le parole che furono pronunciate dal fisico statunitense Robert Oppenheimer l’indomani del test di Los Alamos del 16 luglio 1945, quando gli Stati Uniti testarono con successo il primo ordigno nucleare della storia, soprannominato Trinity. Meno di un mese dopo, due città giapponesi, Hiroshima e Nagasaki, furono devastate dai bombardamenti atomici del 6 e del 9 agosto 1945: un Giappone ormai in ginocchio, stremato da quattro anni di guerra, era costretto a chiedere l’armistizio alle forze alleate, dal momento che, dopo la fine della guerra in Europa, oltre un milione e mezzo di soldati russi avevano aperto le ostilità tra la Siberia e la Manciuria, tenendo fede ad un accordo siglato con gli Anglo-Americani. L’Unione Sovietica di Stalin, esattamente un minuto dopo la mezzanotte del 9 agosto, rompeva il patto di non aggressione siglato con il Giappone nell’ormai lontano 13 aprile 1941. Le vittime dei due bombardamenti, per la grande maggioranza civili, sono stati stimati tra 100.000 e 250.000, molti dei quali deceduti nei giorni, settimane e mesi dopo a causa dell’alta dose di radiazioni assorbita.
Autorizzati direttamente dal Presidente USA Harry Truman per costringere l’Impero Giapponese ad una capitolazione senza condizioni, è oggi opinione diffusa che i due bombardamenti nucleari segnarono l’inizio della Guerra Fredda, molto prima del famoso discorso di Churchill sulla “cortina di ferro calata da Stettino, sul Baltico, a Trieste, sull’Adriatico”. Infatti, per costringere il Giappone alla resa, sarebbe stato sufficiente l’intervento sovietico, che avrebbe al tempo stesso alleggerito il fronte del Pacifico degli Anglo-Americani: ma ciò che non volevano gli Stati Uniti, in realtà, era dividere anche il teatro asiatico con lo scomodo alleato comunista, come già avvenuto per l’Europa e la Germania, divisa poi in zone di occupazione. Inoltre, nei quattro anni di guerra, i bombardamenti convenzionali con bombe esplosive ed incendiarie causarono molte più vittime dei due bombardamenti atomici (il bombardamento di Dresda o di Tokyo ne sono l’esempio lampante): l’utilizzo dell'”arma del giudizio” fu un monito all’ormai ex alleato sovietico che gli Stati Uniti si ergevano a potenza mondiale. Di li a pochi anni, sarebbe calata la cortina di ferro e il mondo diviso in zone di influenza come una grande partita a risiko, giocata sul destino di milioni di uomini.
Se è vero che i due bombardamenti atomici impressero una rapida accelerazione alla resa del Giappone, è altrettanto vero che una buona parte del mondo scientifico e accademico insorse contro l’uso dell’arma nucleare. Fisici del calibro di Albert Einstein e Leo Szilard si schierarono apertamente contro la decisione del Governo Americano. Szilard a proposito dirà: “Se i Tedeschi avessero gettato bombe atomiche sulle città al posto nostro, avremmo definito lo sgancio di bombe atomiche sulle città come un crimine di guerra e avremmo condannato a morte i tedeschi colpevoli di questo crimine a Norimberga e li avremmo impiccati”. A quanti si opposero, si unì anche il Generale Dwight Eisenhower, che nelle sue memorie scriverà: “Nel 1945 il segretario alla guerra Stimson, visitando il mio quartier generale in Germania, mi informò che il nostro governo stava preparandosi a sganciare una bomba atomica sul Giappone. Io fui uno di quelli che sentirono che c’erano diverse ragioni cogenti per mettere in discussione la saggezza di un tale atto. Durante la sua esposizione dei fatti rilevanti fui conscio di un sentimento di depressione e così gli espressi i miei tristi dubbi, prima sulla base della mia convinzione che il Giappone era già sconfitto e che sganciare la bomba era completamente non necessario; e in secondo luogo perché pensavo che il nostro Paese dovesse evitare di sconvolgere l’opinione pubblica mondiale con l’uso di un’arma il cui impiego era, pensavo, non più obbligatorio come misura per salvare vite americane”.