I due italiani che salvarono la vita a Winston Churchill

Ci sono voci divergenti su come andò quel giorno. Io credo che dopo il deragliamento del treno corazzato sul quale viaggiava, colpito in pieno da una granata al vagone di testa, e dopo gli spasmodici sforzi per difenderlo, le parole – “Sono un giornalista.. E mi arrendo.” – Siano state forse le ultime ad uscire dalla bocca di quel giovane ed irrequieto inglese. Era il 15 novembre dell’ultimo anno del XIX secolo, Winston era in procinto d’essere preso prigioniero dagli afrikaner lungo la strada ferrata che collegava Estcourt e Ladysmith, in Sud Africa, teneva le braccia ben alzate e non aveva alcuna via di fuga.E’ in corso la Guerra Anglo-Boera, lui ha 24 anni, è al seguito di un distaccamento di 150 uomini dell’esercito britannico diretti nelle zone occupate dai ribelli. Indossa una divisa d’ordinanza, ma questa volta non ha i gradi come in Sudan, e imbraccia un taccuino: dove annota tutto ciò che intenderà riferire al Mornig post del quale è inviato. Ha portato con se una rivoltella Webley* (errata corrige, una Mauser C 96 di fabbricazione tedesca acquistata privatamente), sì. La porta legata al collo con un cordoncino, come era solito fare quando era ufficiale di cavalleria – Non si è mai troppo prudenti – e ha con se due caricatori di proiettili dum-dum, anche se la convenzione dell’Aja li ha proibiti. Non riuscirà ad usarla tuttavia, nemmeno quando due boeri a cavallo lo inseguiranno mentre è in cerca di un riparo e le pallottole gli sfrecciano ai fianchi.Quando nei giorni seguenti scrive al ministro della guerra boero, Louis De Souza, di essere rilasciato poiché “non prese parte attiva alla difesa del convoglio in quanto inviato speciale”, De Souza non ne vuole sapere. Le tesi sulla vicenda sono discordanti, e lui deve rimanere prigioniero del Transvaal. Questo, è quel che si legge nella sua autobiografia. Ma come vi ho detto, ci sono voci divergenti riguardo i fatti di quel giorno. E’ vero: le pallottole fioccavano lungo la strada ferrata, i vagoni deragliati venivano difesi alla strenua dall’imboscata dei boeri; ma ciò che non viene citato è che quando il giovane Winston Churchill, futuro leader politico della Gran Bretagna, venne sorpreso in un vagone nel tentativo di disfarsi di quei proiettili ad espansione proibiti e sopratutto della sua rivoltella, fu un giornalista italiano: l’avventuriero e soldato Camillo Riccardi, a persuadere i boeri dal giustiziare quel suo giovane collega, e quindi a rendergli salva la vita. Di lì Churchill verrà tradotto a Pretoria, dove nei giorni seguenti prenderà parte ad un rocambolesco tentativo d’evasione assieme a due commilitoni. Solo Churchill riuscirà nell’intento: scavalcando il muro di cinta dal lato delle latrine e inteso a saltare in corsa su un treno che da Pretoria lo porterà al confine con il Mozambico portoghese. Scoperta la sua evasione viene diffusa immediatamente la notizia che si ricercava un giovane inglese: un uomo alto 1 mt e 73 cm, dalla camminata leggermente curva, colorito pallido, con i capelli rossi scuri e i baffi quasi impercettibili, voce nasale, che non sapeva parlare olandese e pronunciava male la lettera “s”. Tenuto al sicuro da un fattore inglese al quale svelò la sua identità, con una pistola Mauser regalatagli da ques’ultimo e 2 bottiglie di thè freddo, riuscirà a raggiungere Loureço Marques e di lì l’Inghilterra. Tornerà in Sud Africa poco tempo dopo, arruolato nuovamente con i Light Horse e prenderà parte alla liberazione di Ladysmith, la metà alla quale era diretto originariamente. Il resto è storia..

E la stessa storia, o il caso, ammesso che voi ci crediate, lo porterà nel 26 agosto del 1944, quando era ormai  Primo Ministro dalla Gran Bretagna in guerra contro l’Asse, a visitare l’Ottava armata; distaccata in Italia ai comandi del generale George Alexander e in procinto di prendere parte all’Operazione Olive per penetrare la Linea Gotica. Diretto lungo la strada principale a Montemaggiore, nella valle di Foglia, sarebbe senz’altro finito vittima di un solitario cecchino tedesco, se, un partigiano socialista della Brigata Garibaldi, tale Bruno Lugli, non lo avesse prima sorpreso, disarmato, e consegnato alle autorità canadesi, mettendo al sicuro la zona. Per quando nel il giovane, ne il vecchio Churchill abbiano mai nutrito particolare stima per noi italiani, non c’è che dire: salvandogli due volte le penne abbiamo sicuramente influito sulle sorti dell’ultimo conflitto mondiale.

di Davide Bartoccini