Ne parlava nelle sue memorie di guerra il Capitano Amedeo Tosti nel volume Le gesta e gli Eroi, dato alle stampe nell’ormai lontano 1928: “Con formidabile violenza, tra le prime luci del mattino del 15, s’iniziò la preparazione austriaca dell’offensiva generale, dagli altipiani al mare, ma contemporaneamente, ed ancora prima in taluni settori, si scatenò il nostro fuoco di contropreparazione, che non pochi danni recò all’avversario. Sotto il furioso grandinare dell’artiglieria nemica, intanto, crollavano da ogni parte le nostre trincee; protette quindi da cortine di gas e di nebbie artificiali, le colonne d’assalto avversarie balzavano avanti, facilmente soverchiando i pochi nuclei di prima linea, annichiliti dalla tormenta di fuoco e dai tossici”. Aveva così inizio, nel giugno 1918, quella Battaglia del Solstizio che permetterà, a costo di gravi perdite, di bloccare ogni intento offensivo austriaco, contribuendo a determinare quella sconfitta che sarà definitiva nel novembre 1918 con la battaglia di Vittorio Veneto: combattuta tra il 15 e il 23 giugno essa rappresentava l’ultima speranza per l’Impero Austro-Ungherese di vincere la guerra, ma si trasformò in una pesante sconfitta militare, per un impero ormai al collasso economico. Ma anche per il Regno d’Italia rappresentò una vittoria amara: elevatissimi i morti e i feriti, tanto da compromettere le operazioni future. Fu solo grazie alla leva obbligatoria dei Ragazzi del ’99, spesso neanche diciottenni, che cinque mesi dopo il Comando Supremo poté sviluppare l’ultima offensiva.
E durante le giornate del Solstizio d’Estate del 1918, si combatté davvero, come descritto dal Capitano Tosti, dagli Altipiani al mare, dal Monte Grappa a Musile di Piave. E tanti furono i militari italiani che caddero, meritandosi ricompense al Valore per gli atti compiuti, spesso alla Memoria. Ne abbiamo raccontati tanti. E tanti sono ancora da raccontare. Tra questi il Capitano Pantaleone Rapino, già reduce della Guerra di Libia, e il suo parigrado Ottorino Tombolan Fava, caduti entrambi all’inizio dei combattimenti. Il Capitano Rapino, originario della cittadina di Ortona, dove era nato nel 1889, durante la Battaglia del Solstizio era Comandante del I Battaglione del 120° Reggimento Fanteria, Brigata Emilia, dislocato sul Monte Grappa, in prossimità della Quota 1292. Quando si scatenò l’offensiva nemica, la sua posizione, dominante e di primaria importanza, venne investita in pieno dal nemico, che a più riprese cercava di conquistarla. Per diverse ore i difensori riuscirono a respingere, con il fuoco delle mitragliatrici e dei fucili gli attacchi nemici, fino a quando la postazione del Capitano Rapino non veniva circondata. Sebbene ferito in maniera grave, non volle arrendersi: in un successivo assalto condotto all’arma bianca, rimaneva trafitto da una baionetta nemica, mentre al suo posto di combattimento continuava ad incitare i suoi uomini alla resistenza. Venne decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria: “Comandante di Battaglione in posizione avanzata esposta a violenti attacchi del nemico che da venti giorni lo premeva con forze soverchianti, si ergeva a campione di una difesa epica, infondendo, con alto esempio di valore, saldo spirito di resistenza nelle sue truppe. Ferito gravemente, rimaneva sul campo, continuando ad animare i suoi. Circondato dagli avversari, nell’impossibilità di difendersi, veniva pugnalato nel luogo ove giaceva, dimostrando al nemico, con eroico contegno, tutto il suo sprezzo e la sua fierezza. Porte di Salton 15 giugno 1918”.
Dall’altra parte del fronte, nella piana di Musile, si trovava dislocata la 7a Batteria del 34° Reggimento Artiglieria da Campagna: la comandava un giovane Capitano che proveniva dalla provincia di Venezia, Ottorino Tombolan Fava. Reduce dei combattimenti sul Carso, da Sottotenente nel luglio 1915 si guadagnò una Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Sottocomandante di Batteria, dirigeva il fuoco dei propri pezzi con calma, coraggio e valentia, esponendosi ripetutamente all’aggiustato e intenso fuoco nemico. San Zanut, 1° luglio 1915”. Trasferito nei settori di Oslavia e di Doberdò, tornò poi sul Carso e da qui sui Fiumi Tagliamento e Piave. Quando si sviluppò l’offensiva nemica, con la 7a Batteria avrebbe dovuto coprire il settore di Musile, dove gli Austriaci erano riusciti in alcuni tratti a superare le linee italiane. Caduti numerosi serventi, si sostituì ai suoi uomini, quando alcuni reparti di arditi nemici cercavano di effettuare un colpo di mano contro la posizione tenuta: Tombolan Fava pose i pezzi ad alzo zero, intensificando il tiro. Esaurite le munizioni, continuò a combattere con il lancio di bombe a mano e con il fuoco del moschetto, fino a quando l’esplosione di una bomba non ne stroncava la vita. Anche alla sua memoria venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Comandante di una delle Batterie da Campagna più esposte del settore, conscio dell’alto compito d’onore assegnatogli, predisposta ogni cosa per la resistenza, attese sereno il momento dell’attacco. Nell’istante supremo, ricevuto l’ordine della difesa ad ogni costo e assalita la batteria da forze preponderanti, fulgido esempio di cosciente sacrificio, primo fra i primi correndo da pezzo a pezzo per incitare i suoi soldati, prima sparando a zero e poi difendendosi con le bombe a mano e col fucile, assicurò col sacrificio della sua Batteria il ripiegamento dei pezzi di medio calibro, impegnando coi nemico violenta lotta corpo a corpo finché, colpito da una bomba a mano in pieno petto, cadeva da eroe sul pezzo ultimo rimastogli, col fucile ancora spianato verso il nemico e col nome d’Italia sulle labbra. Musile, 15 giugno 1918″.