Notiziario: HARUKICHI SHIMOI : UN POETA SAMURAI AL COSPETTO DEL REGNO D'ITALIA

HARUKICHI SHIMOI : UN POETA SAMURAI AL COSPETTO DEL REGNO D'ITALIA

Harukichi Shimoi, non viene citato o ricordato spesso nelle pagine o gruppi inerenti alla Grande Guerra/Prima guerra mondiale, ancora meno a livello storico o nazionale, ciononostante per via della singolarità della sua storia e origine e del suo attaccamento al paese e partecipazione affianco delle forze militari italiane, egli è di certo una di quelle figure che vale la pena conoscere e capire. Come per Domenico Mondelli, tra i primi aviatori al mondo e sopratutto primo aviatore di colore italiano di origine abissina che combattè durante la Grande Guerra, divenendo in seguito Generale delle forze armate italiane alla fine degl'anni 60, Harukichi e Mondelli assieme ad altri ufficiali di colore ed etnia diversa, prima e dopo la Grande Guerra, diedero dimostrazione attraverso l'azione e devozione al paese dimostrazione che non era necessario essere di pelle chiara o italiani stessi per poter difendere qualcosa che si ama, qualcosa come la Patria italiana per cui diedero la vita. Simboliche figure della Storia italiana sempre dimenticate per un motivo o per l'altro e mai raccontante.
Biografia (fino al primo dopoguerra) :
Harukichi Inoue, nato a Fukuoka, in Giappone nel 1883 da un’antica e nobile famiglia samurai. Gli Inoue, la famiglia di origine samurai del padre, furono protagonisti dei movimenti per la restaurazione dell’impero Meiji che tra il 1866 e il 1869 videro l’abolizione del bakufu, il governo shogunale con sede a Edo e alla restaurazione del potere imperiale. Un movimento che catalizzò le energie del Giappone verso scelte politiche di modernizzazione e di industrializzazione, che portarono la nazione ad assurgere al rango di potenza economica e militare. È a Tokyo che Harukichi Inoue conosce quell’Amore che risulterà essere la costante della sua vita. Quello per lo studio della letteratura, che farà di lui un ottimo studente alla “Koto Shihan Gakko”, ma anche per gli ideali romantici di avventura che lo spingeranno verso organizzazioni di destra del primo novecento giapponese. Ma soprattutto l’amore che gli consentirà di conoscere gli scritti di Dante Alighieri. Lo stesso che lo porterà a sposare Fuji Shimoi nel 1907, da cui prenderà il cognome, e ad imparare perfettamente l’inglese che userà per leggere le uniche traduzioni di Dante presenti in Giappone. L'amore per la letteratura dantesca porterà Harikichi a raccoglie numerosi iscritti e iscriversi al corso serale di italiano presso il dipartimento di lingua italiana dell’università di Tokyo, laureandosi solo lui nel 1913. Alla cerimonia di laurea dopo aver tenuto un discorso in italiano contestando l'università per non avere incentivato lo studio della lingua italiana, conobbe Alfonso Gasco (1867-1936), agente diplomatico della Regia ambasciata d’Italia, li presente, venendo raccomandato per la prestigiosa Università Orientale di Napoli come professore di lingua giapponese. Così nel 1915, Harukichi Shimoi si imbarca alla volta della città di Napoli a trentadue anni. Con lo scoppio della Grande Guerra, il Regno d’Italia entrò nel conflitto il 24 maggio del 1915 e Shimoi decise quindi senza pensarci troppo di arruolarsi come volontario. Gli fu dato un posto da ufficio presso lo stato maggiore, ma non era soddisfatto. Prese coraggio e andò a dal generale Caviglia, il comandante delle truppe, e chiese di essere mandato in prima fila dove combattevano tutti gli altri, in trincea. Vista la conoscenza nelle arti del combattimento corpo a corpo attraverso il Bushido e l'uso della Katana come da tradizione familiare samurai li venne consegnata divisa e mandato al fronte. Nel 1917, in piena Grande guerra segue il conflitto da corrispondente del giornale Asahi Shinbun arruolandosi volontario nelle truppe scelte, gli Arditi. Combatte sul fronte dell'Isonzo, insegnando il Bushido e Karate ai propri commilitoni dimostrando quanto un uomo di cosi bassa statura potesse avere tanto forza e disciplina ne combattimento.
Non ricevette alcuna onorificenza, naturalmente (Ernest Hemingway, invece, anche lui straniero, fu decorato con la Medaglia d'argento al Valor militare), ma raccontò le sue imprese in un pugno di lettere che diventarono in seguito un opuscoletto, "la guerra italiana vista da un giapponese", uscito per le edizioni Diana nel 1919 e poi dimenticato, anche dagli storici. Il 3 novembre del 1918, è fra i primi ad entrare in Trento liberata, con la coccarda tricolore sul petto, e si reca subito a visitare il monumento di Dante:
“Mezzanotte era passata, venne la pioggia sottile sottile. Nel cielo oscuro il monumento sorgeva nero e altero. E sul marmo lucido del suo piedistallo si inginocchiò e si inchinò reverente, un piccolo giovane che è venuto dall’Estremo oriente, lasciando lontano i suoi cari, sfidando il mar tempestoso, guidato solo dalle divine parole del Poeta”.
Fu proprio durante la permanenza nel corpo speciale degli Arditi che nacque l’amiciza fra il poeta nipponico e il Vate Gabriele D’annunzio, i due si trovavano al fronte per dare prova mettendo a rischio la loro incolumità fisica di credere fino in fondo all’ideale del “poeta guerriero”.
Fedele ai suoi ideali segui il suo amico e comandante D’Annunzio, dopo la fine della Grande Guerra, nell'impresa di Fiume. Shimoi fu accolto con entusiasmo dai legionari e di fronte ad essi il Vate pronunciò in suo onore un discorso di benvenuto, augurando un avvenire luminoso al Giappone: “Da Fiume d’Italia, porta d’Oriente, salutiamo la luce dell’Oriente estremo”. D'Annunzio era grande ammiratore del mondo orientale e amante della cultura giapponese collezionando innumerevoli cimeli da lui conservati al Vittoriale.
Dopo, con l'avvento del fascismo, Shimoi divenne subito seguace del regime mussoliniani continuando a fare la spola tra l'Italia e il Giappone, ipotizzando di dare vita a una forma di fascismo imperiale differente rispetto a quello italiano. E soprattutto riconducibile a una rivoluzione spirituale dell'individuo, ancor prima che politica. Intanto in patria eresse perfino un «tempio» in onore di Dante Alighieri, costruendo la più grande biblioteca dantesca in Oriente poi raso al suolo dai bombardamenti degli aerei americani.