Guido Carpi: Russia 1917. Un anno rivoluzionario
Le rivoluzioni dividono, spaccano, creano fazioni. Tra chi le auspica, le ammira e le condivide e chi le teme, le detesta e le avversa si crea un abisso che quasi mai si ricompone. Forse nessuna rivoluzione ha creato questa dinamica come avvenne nel 1917, con la rivoluzione russa. Anno mirabile o anno orribilis a seconda dei punti di vista e delle sensibilità.
È questa spaccatura che Carpi ci mostra in questo bel libro. L’autore ci inoltra in quell’anno unico e impressionante presentandoci e condensando con penna sensibile e sciolta un’enorme quantità di testimonianze.
Storico della letteratura, Carpi basa questa agevole ma preziosa ricostruzione su memorie, articoli di giornale, ricordi, pensieri di protagonisti o osservatori perlustrando l’intera gamma delle posizioni assunte di fronte agli eventi: dai simpatizzanti della Rivolzione a coloro che la rigettarono senza appello; dai bolscevichi ai reazionari. Ne è venuta fuori una narrazione vivida, che incuriosisce, invoglia il lettore ad approfondire e spesso diverte (le descrizioni dell’ipnotico potere della vodka sono splendide)
Le testimonianze in presa diretta sono intercalate da stringenti argomentazioni riassuntive. E finalmente, dopo decenni di opere che da un lato hanno presentato la rivoluzione russa come un colpo di stato, riuscito grazie ad una strana combinazione di audacia e fortuna da parte di Lenin e compagni; dall’altro come la brusca interruzione di un più o meno placido percorso verso l’occidentalizzazione del Paese (l’industria stava facendo progressi enormi, la borghesia si sarebbe irrobustita, il regime in crisi aveva già fatto le prime concessioni politiche, la servitù della gleba era stata abolita e la Russia sarebbe diventata un paese democratico di tipo europeo), Carpi dimostra in modo convincente che le cose non stavano affatto così.
La guerra approfondì e aggravò le contraddizioni del regime zarista (la modernizzazione squilibrata dell’Impero russo, il carattere arcaico del sistema di governo zarista, la mancata rivoluzione del 1905, che aveva approfondito le contraddizioni senza risolverne nessuna e la sconfitta militare nella guerra col Giappone nel 1904); pose il Paese su di un piano inclinato che fece accelerare gli eventi e li fece implodere, ma al momento dei fatti nessuno tranne i bolscevichi – e, per certi momenti, tranne Lenin – sapeva veramente cosa fare: non i Cadetti liberali, del tutto impreparati ad affrontare i problemi enormi di una guerra fallimentare e del gigantesco problema della terra; non lo erano i socialisti rivoluzionari, innamorati dei contadini, ma divisi al loro interno e indecisi sul da farsi; non lo erano i menscevichi, fedeli custodi della teoria marxista, ma proprio per questo decisi a non sfruttare immediatamente la crisi gravissima del regime zarista; non lo era la borghesia, capace di raggiungere le vette più alte nella letteratura e nelle arti, ma esilissima di numero, fragile e non di rado reazionaria in ambito della economia e nel rapporto tra le classi.
La debolezza della borghesia e le sue contraddizioni sono illustrate egregiamente da Carpi: tra il febbraio e l’ottobre il governo provvisorio dovrebbe prendere alcune decisioni fondamentali per rafforzarsi e indire le elezioni e la Costituente da una posizione di forza: uscire dalla guerra, riforma agraria e risistemare un minimo l’economia, sono necessità inderogabili (p. 97), ma gli Alleati sono disposti a concedere prestiti solo a patto che la Russia continui la guerra (p. 104) – continuare ad impegnarsi nel conflitto vuol dire radicalizzare ancora di più i soldati, già attratti dai partiti di sinistra e dai bolscevichi. Gli Alleati sono contrari ad una riforma agraria perché gran parte delle tenute sono ipotecate e la banche, che fallirebbero, sono in mano ai francesi e agli inglesi (p. 72). D’altra parte, nemmeno i cadetti sono seriamente intenzionati ad attuare una riforma agraria profonda e incisiva (p. 105). E quando finalmente la Costituente prende corpo, finisce per dissolversi in un mare di chiacchiere e discussioni: nemmeno si accorge che i bolscevichi hanno deciso di passare all’azione.
Ma le vicende dell’estate dimostrano il rischio concreto che il Paese si sfasci e l’inadeguatezza dei ceti abbienti e della borghesia tanto nella sua versione moderata dei cadetti, che nelle sue frange democratiche dei Soviet e dei socialisti rivoluzionari ad affrontare i problemi: si concretizza l’idea di un colpo di stato per rimettere le cose a posto (e i bolscevichi in galera o alla forca), e tra erati non sono pochi quelli che si dimostrano sensibili a quella sirena.
Anche i bolscevichi, in quel 1917 tempestoso, spesso ebbero le idee confuse, ma Lenin (che poteva contare su compagni di partito brillanti e capaci, primo fra tutti Trockij, che in quel 1917 svolse un ruolo fondamentale) aveva la capacità di incanalare la forza delle masse: arriva in Russia dall’esilio ben deciso a indebolire il governo provvisorio e radicalizzare lo scontro di classe e per questo trasforma Pietrogrado in una roccaforte bolscevica e fa del proletariato il “motore della rivoluzione” (p. 77); con le tesi di aprile fa inorridire i marxisti ortodossi per lo stravolgimento della teoria marxista: il potere va preso adesso, finché si può, senza che la borghesia faccia il suo percorso storico previsto da Marx; conosce la stanchezza per la guerra dei soldati, sa che la grandissima maggioranza di loro sono contadini affamati di terra e li asseconda: porta fuori la Russia dal conflitto, anche a costo di un prezzo altissimo – pace di Brest-Litovsk – e scippa l’influenza dei socialisti rivoluzionari sui contadini garantendo loro che i bolscevichi avrebbero appagato il loro desiderio di terra. Carpi lo definisce “uno dei capolavori politici di Lenin”, (p. 157), e ha ragione, perché solo saldando le aspettative degli operai e dei soldati a quelle dei contadini, i bolscevichi avrebbero avuto qualche possibilità di farcela: senza il sostegno dei contadini, Lenin e compagni avrebbero fatto la fine della Comune di Parigi – una brutta fine. E’ vero che in tempi successivi i contadini avrebbero avuto ben più di una ragione di pentirsi per aver sostenuto i bolscevichi (un Paese che nell’Ottocento era il granaio d’Europa, negli anni Settanta del ‘900 importava grano!), ma nel 1917 non potevano sapere cosa sarebbe successo in seguito, mentre invece sapevano benissimo cosa voleva dire vivere sotto lo zar…
In sostanza, fu su questa triade – pace, pane e terra – e sulla coerenza estrema nell’affrontarla che i bolscevichi non solo giunsero al potere, ma gettarono le basi per la loro sopravvivenza. I costi furono enormi: la rivoluzione fece ribollire il Paese e in quell’anno di caos e incertezza, fame e violenza furono cose quotidiane. Dopo la pace di Brest-Litovsk – che chiude la narrazione – la Russia sarebbe rimasta in preda a convulsioni per anni, ma la rivoluzione aveva vinto.
Insomma, per chi vuole farsi un’idea di cosa sia stato quell’anno rivoluzionario, quel formidabile e inquietante 1917 in Russia, questo libro di Guido Carpi fa al caso suo.