L’operazione si concluse in un disastro e la responsabilità di questa débâcle risiedette particolarmente nel fatale errore dei comandanti militari, soprattutto britannici, che sottovalutarono i loro avversari ottomani. Addirittura secondo il ministro della guerra Lord Kitchener come i turchi avessero visto la flotta di Sua Maestà apparire all’orizzonte, subito si sarebbero arresi. Sia detto subito che Kitchener non era un dilettante ma un generale veterano della guerra mahdista e di quella boera, due conflitti che avevano visto le truppe inglesi prevalere solo con grande fatica.
La sua valutazione è spiegabile con il razzismo che gli europei dell’epoca nutrivano nei confronti dell’impero ottomano, considerato una potenza arretrata e semibarbara oltre che militarmente debole: L’impero, da decenni considerato “il malato d’Europa”, usciva da decenni di conflitti persi disastrosamente. L’ultima disfatta risaliva ad appena tre anni prima di Gallipoli contro le piccole nazioni balcaniche che a loro volta erano entrate in guerra osservando la facilità con cui gli italiani nel 1911 avevano strappato la Libia al controllo del sultano.
Quando nell’estate del 1914 scoppiò la Grande Guerra, l’impero turco, in un primo tempo neutrale, scese in campo il 31 ottobre a fianco di Germania e Austria-Ungheria aprendo un nuovo fronte nel Caucaso contro i russi e nel Sinai contro gli inglesi, allora padroni dell’Egitto.

Churchill (a destra) con il Premier britannico David Lloyd George.
Per liberarsi di questo nuovo avversario a Londra fu pianificato uno sbarco di truppe che avrebbero dovuto occupare Istanbul e costringere il sultano Mehmet V alla resa. I politici inglesi intanto già progettavano lo smembramento dei territori della Sublime Porta (il governo ottomano) in accordo con gli alleati francesi e russi.
La resa della Turchia avrebbe riaperto l’accesso agli Stretti, vitale per poter rifornire la Russia in difficoltà di aiuti e rifornimenti. L’operazione d’attacco agli Stretti trovò subito favorevole il quarantenne Winston Churchill, che in quel momento ricopriva la carica di Primo Lord dell’Ammiragliato (sorta di ministro della Marina).
La flotta anglo francese inviata sugli Stretti però fu impossibilitata a proseguire la navigazione a causa delle mine che i tirchi avevano posato nel braccio di mare. Per ovviare al problema fu deciso che l’esercito alleato sarebbe sbarcato nella penisola di Gallipoli con l’obbiettivo di prendere i forti ottomani i cui cannoni sorvegliavano il mare antistante. Una volta liberate da questa minaccia, le dragamine avrebbero bonificato il fondale e aperto la strada alle corazzate. Sulla carta pareva tutto facile senonché i comandi alleati non avevano fatto i conti con la determinazione dei soldati turchi, decisi a combattere in difesa dell’impero e del sultano.

La corazzata inglese HMS Irresistible affonda dopo essere incappata in una mina navale
In preparazione dello sbarco, a partire dal febbraio 1915, una flotta anglo francese forte di 21 navi da guerra e 11 incrociatori spazzò per giorni i forti ottomani costruiti a guardia dei Dardanelli senza riuscire a piegare la resistenza dei difensori, spinti a battersi senza risparmio dall’esempio dei loro ufficiali, i quali non esitarono ad andare esporsi al fuoco nemico nelle trincee. Tra essi spiccavano in particolare un giovane Mustafà Kemal, il futuro Atatürk, e il colonnello tedesco Otto Liman von Sanders, detto dai turchi Liman Pascià o Leone di Gallipoli.
Dopo il bombardamento navale, alla fine il 25 aprile gli Alleati fecero sbarcare sulla punta meridionale della Penisola di Gallipoli una forza composta da cinque divisioni per un totale di circa 70 mila uomini: oltre ai francesi il contingente “inglese” era in realtà composto da truppe irlandesi oppure provenienti da varie parti dell’Impero britannico, in particolare da Australia e Nuova Zelanda. Questi soldati formavano l’Anzacs, acronimo che significa “Australian and New Zealand Army Corps”. Ad essi si contrapponevano sei divisioni turche, equivalenti grosso modo a 84 mila uomini.

Sbarco di truppe alleate sulle spiagge.
Nonostante il coraggio dei soldati alleati, i turchi riuscirono ad arrestarne l’urto e quella che avrebbe dovuto essere un’azione risolutiva si trasformò nella solita battaglia di logoramento secondo quel tragico copione di assalti e contrassalti all’arma bianca tipico della Grande Guerra. Stesso destino fallimentare subì il secondo contingente alleato sbarcato più a nord in agosto, presso la Baia di Suvla. La resistenza opposta anche in questo settore dalle truppe ottomane costrinse gli anglo-franco-australiani alla ritirata: le operazioni di reimbarco cominciarono l’8 dicembre e si conclusero nella notte tra il 19 e il 20 dello stesso mese, svolgendosi in maniera abbastanza ordinata e senza troppe perdite.
Il Premier britannico Sir Herbert Asquith auspicherà il deferimento alla corte marziale per i generali responsabili del disastro mentre Churchill, travolto dallo scandalo, fu costretto a dare le dimissioni da Primo Lord dell’Ammiragliato ma si sarebbe riscattato tornando in auge, come tutti sappiamo, nell’ora più buia per la Gran Bretagna, durante la seconda guerra mondiale.

Truppe britanniche vanno all’assalto delle trincee turche.
Francesi e inglesi dovettero rinunciare a sostenere lo sforzo bellico della Russia la quale, sempre più in difficoltà nella conduzione della guerra sarebbe collassata due anni dopo, nel 1917, mentre il Paese veniva travolto dalla Rivoluzione bolscevica.

Soldati australiani in trincea sui Dardanelli.
La disfatta di Gallipoli fu sicuramente dovuta, come si è detto all’inizio, della sottovalutazione del nemico dettata da considerazioni razzistiche. Ma essa fu anche frutto dell’inesperienza, della negligenza a livello logistico dei comandi alleati nel gestire un’operazione anfibia di quelle dimensioni. Tuttavia, come si dice in questi casi, non tutti i mali vennero per nuocere: anche se certamente la sconfitta di Gallipoli costituì per l’esercito britannico una dura lezione, esso dimostrò in seguito di saper imparare dai propri errori, come dimostra la conduzione delle operazioni di sbarco condotte in Normandia nel 1944 e soprattutto l’ottima prova fornita dagli uomini di Sua Maestà nella riconquista delle Isole Falkland durante la guerra contro l’Argentina nel 1982.
Nonostante i numerosi episodi di valore e le enormi perdite subite da entrambe le parti in pochi, almeno in Europa, si ricordano della campagna dei Dardanelli. Gallipoli invece resta tuttora ben viva nella memoria di australiani e neozelandesi, che su quelle sconosciute spiagge tra Europa e Asia vi persero la loro migliore gioventù. Una gioventù che era accorsa entusiasticamente in soccorso della madrepatria britannica: in tutto l’impero britannico non era in vigore la coscrizione obbligatoria, quindi i giovani soldati dell’ANZACs erano tutti volontari. Per Australia e Nuova Zelanda, Paesi che a inizio Novecento erano ancora pressoché spopolati, la perdita di quelle migliaia di ragazzi fu un colpo veramente duro da sopportare.
Ancora oggi il 25 aprile di ogni anno tanto in Australia quanto in Nuova Zelanda è ricordato come Anzacs Day. In questa giornata si tiene una solenne commemorazione a ricordo dei caduti australiani e neozelandesi di tutte le guerre. È stata scelta la giornata del 25 aprile proprio a ricordo del giorno in cui i soldati dell’Anzacs presero terra sulle spiagge dei Dardanelli.

Anzacs Day del 1922 a Manly, nel Queensland, Australia.
Accanto alle celebrazioni ufficiali, nel corso dei decenni anche il cinema ha voluto rendere omaggio ai caduti di Gallipoli. Due film, in particolare meritano di essere menzionati: il primo è di Peter Weir, che nel 1981 ha diretto Gli anni spezzati, nel quale un giovane Mel Gibson ha ricoperto il ruolo di protagonista nei panni di un giovane militare australiano. Il secondo, The Water Divener, vanta la regia Russell Crowe, oltretutto al suo esordio dietro la macchina da presa. Si tratta della toccante storia di un padre che nel 1919 parte dall’Australia per la Turchia, deciso a riportare a casa i propri figli dispersi a Gallipoli, costi quel che costi.