Notiziario: FORMULE MAGICHE E SCONGIURI AL FRONTE

FORMULE MAGICHE E SCONGIURI AL FRONTE

Aa.Vv.

La caratteristica dello scongiuro di guerra era quella di dover essere proferito leggendo un codice portato addosso (un nastrino o una fascetta) recante l'iniziale delle parole magiche assieme a simboli classici (asterischi, stelle ecc.).
Ogni nastrino portava una specializzazione particolare. Talora serviva a "far tirare bene il cannone", oppure "a far tirare male il nemico".
Spesso la formula rituale era proferita con tipiche gestualità e con intonazione di parole arcane; caratteristico il rito piemontese del “Samel Arant, Samel Su” recitato per proteggere dalle ferite gravi (quelle lievi erano talvolta gradite).
Per colpire il nemico con sicurezza occorrevano una buona vista ed un buon fucile.
Bisognava, quindi, sputare tre volte a terra in segno di croce e mentre si prendeva la mira era necessario pronunciare ad alta voce le parole: “Metor, Suter, Palar”.
I più professionali dovevano possedere anche in tre diverse tasche, tre biglietti ognuno con un nome particolare (Gaspard, Melchior e Balthasar, i tre Re magi).
Per essere sicuri di non essere colpiti era sufficiente portare in tre diverse tasche, tre piselli, ognuno rotto in tre pezzi raccolti in sacchetti di tela; per i più pigri bastava la Ruta.
Padre Gemelli ricorda un soldato che aveva con sé un vero e proprio prontuario anti-jella che recitava: "non portare con te temperini a sette lame, cambiali con quelli a tre o nove lame - durante l'assalto metti in tasca carte da gioco - ecc."
Il capitolo dedicato agli scongiuri popolari sarebbe assai vasto, data la diversità delle culture locali e regionali.
Oggetti classici (corna e zampe di coniglio) si alternavano a nuove forme di portafortuna (croci fatte con residuati bellici ecc.).
Ognuno di loro doveva essere toccato o tenuto tra le mani mentre si recitavano frasi del tipo:

"Pulo, pertica e forcina,
via 'ncoppa a Santa Lucia de Monte,
te fai du l'uoglie do beato cuorno
dico tre vote : - Cuorno! Cuorno! Cuorno!-
e tre vote ventiquattro vote attuorno;
da notte e da juorno, scorno e maluorno!"

Insieme con questa formula napoletana deve essere ricordata quest'altra che ho udito da un soldato siciliano:

Cornu, gran cornu, ritortu cornu
ti razza scornu
vayu e riornu
cornu cornu cornu

Durante la guerra, del resto, il fenomeno del propagarsi delle superstizioni assunse un’ampiezza davvero impressionante in tutti gli eserciti, non solamente in quello italiano.
Quando Cesare Battisti fu impiccato al castello del Buon Consiglio, la corda servita all’impiccagione fu ridotta in minutissimi pezzi e contesa avidamente dai numerosi ufficiali dell’esercito austro-ungarico presenti, poiché ognuno voleva conservarne un pezzetto quale talismano contro i rischi e i pericoli della guerra.
Secondo un altro antichissimo uso molti soldati, in particolare calabresi, fabbricavano pupazzi di stracci simboleggianti la morte e, con riti complicati, li gettavano sulle linee nemiche, nei burroni, sui falò.

Amuleti
L'oggettistica personale dei soldati italiani spesso comprendeva oggetti non sempre catalogabili come souvenirs.
L'uso era svariato ma comune era il vezzo di blandire tali oggetti quasi avessero un'anima propria.
Alcuni proteggevano dalle malattie, come le pietre rossastre (diaspri) tenute con sé per prevenire gravi emorragie (la causa più frequente di morte in battaglia).
I più erano originali assicurazioni contro il malocchio e la sfortuna.
Diffuso era ovviamente il classico corno di corallo partenopeo la cui forma affusolate pare evocasse un antico scongiuro fallico, risalente a Roma antica, mimando il dito teso di una mano.
I soldati, in effetti, portavano pure manine con un dito nella posizione citata o simboli fallici.
Il più efficace era il corno ritorto. Esso doveva essere appartenuto ad altri, ma non regalato; doveva essere stato rubato. L'oggetto, tenuto in mano e toccato era il miglior rimedio contro gli jettatori.
Gli ufficiali, per distinguersi dal volgo, avevano varianti più nobili.
Un calabrese portava appeso al collo, in un astuccio, una rozza crocetta di legno d'agrifoglio, ritenuto legno stregonio.
Gli amuleti atti a propiziare la buona sorte erano altresì molto diffusi.
Classica la presenza dei quadrifogli o di baccelli di pisello con nove semi (spesso seccati e conservati), e le raffigurazioni di gobbetti o strani animali.
Nei ricoveri, dato il peso, si appendevano i ferri di cavallo (antica usanza medievale quando il ritrovare un ferro di cavallo, magari in argento od oro, faceva realmente la fortuna del contadino; anche questi dovevano essere stati trovati o rubati).
Molto diffusa era l'usanza di tenere con sé un chiodo di ferro (toccare ferro). Il "culto" di tale oggetto ha origini antichissime e si fa risalire all'usanza di infiggere chiodi negli idoli come "memento" delle preghiere loro rivolte ed alla credenza che tali chiodi portassero fortuna. La scomoda punta del chiodo, poi, consigliava ai soldati di curvarlo a foggia di ferro di cavallo, potenziandone così indirettamente gli effetti anti-jella.
Molti soldati abruzzesi portavano un sacchetto con la terra del paese natio. Al momento dell'assalto essi prendevano un pizzico di questo terriccio e lo gettavano alle spalle.
I lombardi preferivano avere nei sacchetti le schegge bruciate del ceppo natalizio (sc-iocch de Natal), altri credevano nelle virtù propiziatorie di sacchetti contenente intonaci tratti da cappelle votive o chiese.
Erano diffusi anche i simboli e tra questi soprattutto il numero tredici, cui era attribuita un'attività malefica da esorcizzare portandolo addosso, magari in un cerchio d'argento.
Erano stati gli austro-ungarici a diffondere tra gli italiani l’uso d talismani da portare in tasca contro le malattie: i dadi da minestra contro il raffreddore, le cipolle contro il mal di testa, l’aglio contro il colera.
La maggior parte delle pratiche appartenevano alla tradizione popolare delle regioni dalle quali provenivano i soldati, ma in zona di guerra quelle pratiche si mescolavano con grandissima rapidità.
Alcune di esse diventavano internazionali, come ad esempio l’uso, di importazione britannica, che vietava di accendere tre sigarette con un solo fiammifero.
L’origine di quelle superstizioni era spesso antichissima e comune a più popolazioni.
Amuleti molto particolari erano le icone dei santi e le preghiere propiziatorie, oggetti diffusi anche tra i soldati francesi. Di facile reperimento era una formula, spesso trascritta dagli stessi soldati, su pezzetti di carta che diceva: "Chi porta addosso questa lettera è sicuro di non essere colpito dai colpi di fucile e di granate. In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Gesù Cristo io ti supplico di proteggermi. Proteggimi dalle palle nemiche. Sant'Antonio liberateci dai nemici. Vergine Maria custoditemi. In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Tre Pater ed Ave."
Il fatto che questi testi fossero spesso rinvenuti tra gli oggetti personali dei caduti, avrebbe dovuto far dubitare della loro efficacia.
In altri casi le preghiere erano accompagnate da un oscuro senso di minaccia; altra usanza tipicamente italiana. I soldati dovevano diffonderla ad altre persone pena gravi sciagure se avessero interrotto la catena. Il testo chiudeva con la frase: "... Questa preghiera deve essere scritta durante nove giorni e mandata a nove persone diverse, a cominciare da colui dal quale è stata ricevuta. Chiunque si rifiuterà, riceverà grandi castighi. Non rompete la catena!"