Folgore contro l’acciaio: i Leoni riposano a Quota 33

“Stringe tra le mani la bottiglia, come Folgore dal cielo un giovanotto sdraiato sulla sabbia abbandonata al sole. Sabbia calda che odora di nafta. Sabbia vuota. E tra un uomo e l’altro molto spazio.

Cade il sudore che rammenta la sete, s’alza la coltre che porta la battaglia. Irrompono sulla linea cingoli d’acciaio che portano nomi di donna nel mezzo del deserto. Valentine! Urla. Matilda! Arriva.

Strisce celesti pallido tagliate da fregi rossi lanciano bordate rivolte al nulla. I carri armati d’Albione travolgono le linee al rumore dei proiettili delle Breda, che rimbalzano inutili sulla spessa corazza. Stringe la bottiglia co nervi e silenzio, il giovane leone insabbiato nella terra di fuoco. Immobile.
Il sangue si fredda, Matilda non vede la bellezza maestosa che spiavano le ragazze nel sabato del villaggio, non vede lo sporco, non vede la fame, non vede il celeste delle sue mostrine. Non vede i suoi occhi. Va oltre. Passa.
Stringe la bottiglia e parte: ora balza come un leone, ora nuota nella sabbia che arde come un biscia d’acqua. Al grido di Folgore accende il drappo che tappa la bottiglia. Lancia come Davide a Golia il giavellotto incendiario. Vetri rotti e ancora profumo di nafta, e morte, e fumo, e caldo d’inferno. Matilda si ferma. 
Come Folgore dal cielo leoni s’innalzano ovunque dalle loro buche nel deserto. Corrono incontro alle donne d’acciaio che sputano fuoco da ogni bocca. Leoni corrono, leoni cadono. Leoni s’infilano come gatti sotto, in mezzo ai cingoli. Mine anticarro lanciate come sassi e coltelli tra i denti nella polvere di El Alamein. Uomini si fanno Ariete ove l’Ariete non può essere. Parte la raffica, e perisce un leone. Mille volte ancora quel giorno.

Riposano a Quota 33 i leoni della Folgore; accanto al cuore di ogni d’Ariete, e a ogni piuma di bersagliere che quel giorno, s’è persa nel deserto d’Africa.”

Quando il 23 ottobre del 1942, ad El Alamein, l’Ottava Armata britannica lanciò la sua travolgente offensiva, la divisione Folgore divenne devota alla leggenda di un paese che la guerra si credeva non sapesse farla. La linea va dal mare alla depressione di Qattara, impraticabile per mezzi e uomini, poiché scende sotto il livello del mare per decine di metri in ripidi pendii scoscesi: una fornace di sabbia finissima e impraticabile anche per autoblindo. Trecentocinquanta carri armati e cinquantamila uomini, supportati dal fuoco di quattrocento pezzi d’artiglieria da campagna e dai raid dei P-40 con i musi di squalo che picchiavano sulle linee, si abbattono su una linea di 50 chilometri di sabbia incandescente: quindici dei quali sono tenuti da 3.500 soldati italiani. Mille di loro, vengono dal 31° Battaglione Guastatori d’Africa e dalla Divisione Pavia. Hanno 80 di pezzi d’artiglieria, molti dei quali ‘elefantini’ anticarro 47/32 – con poche munizioni – e cinque carri armati. Solo cinque. Insieme a loro, c’è la 185° divisione paracadutisti Folgore. I tentativi degli inglesi di sfondare si respingono con quelle poche munizioni, con bottiglie molotov e coraggio. Si resiste fino al 2 novembre. Poi si ripiega. Su tutta la linea sono morti 5.900 italiani. Le loro divisioni sono state spazzate via. La vittoria degli alleati ribalta le sorti della guerra, e il primo ministro Winston Churchill  commenta gli eventi alla Camera dei Comuni con la famosa frase “Tutto ciò non può essere considerato come la fine; potrebbe essere il principio della fine, ma è certamente la fine del principio”, ma confessa anche ”We must honour the men that were the Lions of the Folgore”. Caduti, esanimi e soli, con le armi in pugno.
di Davide Bartoccini