FIGURE DI EROI
Siro Riccioni, un eroe dimenticato.
Luigi Necco nel suo ultimo libro, "Operazione Teseo", racconta i giorni drammatici e atroci della Seconda Guerra Mondiale, ai tempi in cui l’isola di Creta era occupata dai nazisti, e la storia del coraggio di un militare italianoClasse 1920, laureato in Storia e Filosofia, partì dall’Abbruzzo, con i gradi di sottotenente, in direzione Creta, quando nel maggio del 1941 il Regio Esercito Italiano occupò la mitica isola del Mediterraneo. Sullo sfondo dei drammatici eventi che caratterizzarono la presenza italiana e tedesca in quel luogo, il giovane Siro diede sfoggio del proprio coraggio mettendo a rischio la sua vita pur di strappare quasi trecento soldati italiani dal plotone d’esecuzione. Tutti erano contro di lui: i tedeschi lo condannarono a morte, i fascisti reclamarono la sua impiccagione, i greci gli tesero agguati, gli inglesi ebbero l’ordine di non aiutarlo.
Eppure nonostante ciò il giovane Siro riuscì nella sua eroica impresa che oggi, a distanza di così tanti anni, ci viene raccontata nel libro Operazione Teseo (Tullio Pironti Editore), mirabile opera di una delle figure di spicco del giornalismo napoletano e italiano: Luigi Necco. Volto storico di Novantesimo minuto, famoso per i suoi aforismi sportivi e non solo, è suo il merito di aver fatto conoscere l’incredibile avventura di Siro Riccioni.
Spinto dalla passione per l’archeologia, Necco si imbattè nella sua figura circa vent’anni fa mentre era nelle vicinanze di Cnosso al seguito di una campagna di scavo guidata da Louis Godart. L’incontro con un anziano del posto, un ex antartes (partigiano greco) di nome Anghelo Manolis e il suo straordinario racconto su un italiano senza nome che durante l’occupazione di Creta combattè con grande coraggio dalla parte dei greci, spinsero il giornalista napoletano a indagare negli archivi.
«Questo non è un libro di storia – afferma l’autore – ma solo la storia vera, e ancora sconosciuta, di un uomo che voleva salvare i suoi amici». Non ce ne voglia Necco ma sarebbe più giusto dire che questo suo ultimo lavoro è “molto più” di un libro di storia; è la storia di coraggio, narrata attraverso un registro che è quasi quello di un romanzo, di un’eroe perduto e ora ritrovato le cui vicende si incrociano e sovrappongono con i grandi eventi della Seconda guerra mondiale.
Si può dire che la storia di Siro Riccioni ebbe inizio quando Mussolini, in un noto discorso trasmesso alla radio, affermò tronfio che avrebbe spezzato le reni alla Grecia. Il Duce puntava a controbilanciare le inarrestabili vittorie della Wehrmacht attraverso una politica di espansione e d’influenza nell’intera area mediterranea. Le cose non andarono proprio così; l’Italia divenne presto l’anello debole dell’Asse, un alleato minore dei nazisti, a volte anche un grattacapo per gli stessi. Fino al settembre 1943, però, gli italiani combatterono la stessa guerra di Hitler e in Grecia come altrove erano a tutti gli effetti un esercito di occupazione straniero.
Questo lo sapeva anche il giovane Siro, sconvolto dalle notizie che parlavano di rappresaglie italiane contro le popolazioni greche e slave. Cresciuto nel fascismo, il ragazzo di Bussi sul Tirino, se ne allontanò gradualmente fino a rinascere, nei drammatici giorni che seguirono l’armistizio dell’8 settembre 1943, sotto il nome di Georgos Sfendilakis. Dopotutto per i 25.000 italiani di stanza a Creta quello fu il momento della scelta.
Abbandonati a se stessi dovettero decidere se sfuggire agli ex alleati tedeschi, arrendersi, unirsi a loro o combatterli. Siro non ebbe dubbi: il suo unico obiettivo fu quello di salvare i propri commilitoni da un destino che pareva scontato: o la deportazione o la morte. “Le sue azioni si intrecciarono con quelle dei più spericolati agenti segreti britannici che si batterono per la Resistenza greca, tra le sanguinose quanto spietate rappresaglie dei tedeschi”. Ma dagli inglesi Riccioni non ricevette alcun aiuto concreto e Badoglio si disinteressò della sorte dei soldati intrappolati a Creta. Gli italiani erano ormai soli ma la guerra non era ancora finita.
Salito in montagna e seppur isolato il nostro protagonista diede più volte prova di coraggio, ostacolando i tedeschi con ogni mezzo. Tra quei boschi, in quelle montagne o’ capetan Sfendilakis acquisì un alone leggendario. Conquistatasi la fiducia degli antartes e delle popolazioni locali, il giovane italiano fece di tutto per mantenere fede al proprio impegno e grazie a lui il 3 aprile del 1945, 272 militari italiani che si erano rifiutati di collaborare con i nazisti e destinati a morte certa, furono salvati in una intrepida quanto fulminea azione di guerra che valse a Riccioni il conferimento della Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Tra storia e romanzo, Luigi Necco ha il merito di aver salvato, con la sua ultima opera, la memoria di un eroe troppo a lungo dimenticato, campione di coraggio e di umiltà che al ritorno a casa visse la sua breve vita (morì a soli 36 anni) come se niente fosse, non dandosi pena di raccontare la sua vicenda. Le sue gesta e la medaglia consegnatagli da Umberto di Savoia, il re di maggio, finirono per essere seppelliti dalla polvere del tempo, fino a quando quasi casualmente Necco si imbattè nelle loro tracce. Grazie alla stessa passione che lo condusse al ritrovamento del tesoro di Priamo (vicenda raccontata nel libro Il giallo di Troia, 1993), il giornalista napoletano ha rotto così il sigillo del silenzio arricchendo quello che è a tutti gli effetti un lavoro di notevole validità storica con un sapiente e piacevole stile narrativo.
Ma rimane un interrogativo alla fine di questa lettura. Qual è stato il motivo di questo lungo silenzio? Cosa ha spinto Siro Riccioni, alias Georgos Sfendilakis a non reclamare il suo ruolo tra i protagonisti della grande storia? Una velata risposta ce la da lo stesso Necco sotto forma di un nuovo interrogativo. Nelle ultime pagine del suo lavoro immagina l’addio del soldato a Creta: «Dalla camionetta guarda il mare che brilla, verde blu e violetto. Gli sembra di scorgere le piccole baie dove ninfe e tritoni torneranno presto a intrecciare miti e leggende. Onde dolci e ritmate cancelleranno i rivoli di sangue lasciati da mille e mille morti: cretesi, inglesi, australiani, neozelandesi, tedeschi, austriaci, ebrei, italiani, tanti italiani. Una mano sembra fermargli il cuore. Come faranno, tutti, a dimenticare?».
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Medaglia d'argento al valor militare |
«Valoroso combattente nell’isola di Candia, rimasto con pochi uomini in terra straniera dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, per mantenere viva la fiamma dell’Italianità, con audace colpo di mano, salvava dalla morte 272 italiani condannati per rappresaglia dai tedeschi alla fucilazione. Mentre i nostri fratelli già allineati al muro ascoltavano impavidi, l’iniqua condanna, con epico slancio, alla testa di pochi valorosi offertisi volontari per l’audace impresa, piombava sul plotone d’esecuzione, che si apprestava ad eseguire l’orrendo massacro e con lancio di bombe a mano e raffiche di mitraglia lo sbaragliava, ridonando alla vita ed alla patria i morituri figli d’Italia. Figura degna delle sublimi tradizioni dell’eroismo italiano.» — Creta 2 aprile 1945. |