Notiziario: FIGURE DI COMBATTENTI: “Un Gonzaga non si arrende mai!” la morte del generale Vincenzo Ferrante

FIGURE DI COMBATTENTI: “Un Gonzaga non si arrende mai!” la morte del generale Vincenzo Ferrante

Cosi rispose il generale Vincenzo Ferrante Gonzaga all’intimazione di resa fattagli da un ufficiale tedesco il giorno dell’armistizio. Gonzaga che si trovava nella zona di Eboli al comando della 222ª brigata di artiglieria costiera dopo aver gridato ai propri uomini la frase, estrasse la propria pistola e  fu falciato con una raffica di mitra.

Lo stesso maggiore Udo von Alvensleben che comandava il raggruppamento tedesco giunto in località Buccoli nel comune di Eboli, espresse poi ammirazione per il coraggio di Gonzaga.

Il generale era nato a Torino il 6 marzo del 1889, discendente della famiglia dei Gonzaga di  Vescovato, un ramo cadetto della famiglia Gonzaga, iniziato da Giovanni Gonzaga (1474-1525), signore di Vescovato nel 1519. Hanno avuto dal Re d’Italia il riconoscimento del titolo di principe e il trattamento di Altezza Serenissima, di cui godono tuttora sono ad oggi l’unico ramo ancora oggi esistente della famiglia Gonzaga.

Lapide sulla casa di Nascita

Nato a Torino nel 1889 dove si era laureato in Ingegneria, per tradizione familiare viene però indirizzato alla carriera militare sulle orme del padre. Maurizio fu uno gli ufficiali più decorati d’Italia, pure lui generale era stato decorato con la medaglia d’oro, ma nella Grande Guerra e morirà nel suo letto, nel 1938, a Roma.

Maurizio dopo avere prestato servizio in Liba viene inviato sui fronti della Grande Guerra dove merita diverse decorazioni. Dopo vari incarichi nel 1936 e in comando al 1° Reggimento artiglieria “Cacciatori delle Alpi”. Successivamente ha incarichi nel comando artiglieria del XIII e XXV C.d.A (Albania) e nella primavera del 1943 gli fu affidata la 222ª brigata di artiglieria costiera schierata nella zona di Salerno

Già nei primi mesi del 1943 molto prima che l’armistizio venisse firmato avevo intuito in che direzione si stava andando, sino al punto da predisporre una difesa da eventuali attacchi nazisti. Leggendo le lettere che indirizzava periodicamente alla sorella Maria si capisce lo stato d’animo nell’ambito del Regio Esercito alla vigilia del crollo in Tunisia.

In una lettera alla sorella del 13 aprile 1943, l’alto ufficiale aveva scritto:

“…non ti dico che momenti sto vivendo. E purtroppo non sentiamo una parola dall’alto per rincuorarci. Nel Governo non ha più fiducia nessuno, le organizzazioni varie si sono sciolte al primo pericolo; i contadini non consegnano più il grano agli ammassi, lo mettono in damigiane e lo sotterrano. Si ha l’impressione del tracollo…”

Il 30 luglio, cinque giorni dopo la destituzione di Mussolini scriveva;

«Cara Maria, sto lottando contro lo squagliamento generale. Tutti sono malati. Al mio Comando, dopo i primi bombardamenti, ne ho perduti cinque. Oggi debbo mandare all’ospedale un altro del mio Comando e due di artiglieria. Dei comandanti di battaglia, uno è ammalato. Degli aiutanti maggiori, due. Una bellezza! Tutti sono ammalati. Ma non importa. Cercheremo di tener duro. Quello che preoccupa potrebbe essere un attacco alle spalle da parte dei tedeschi: domani farò spostare delle batterie in modo da dominare le strade e, se si muovono, apro il fuoco contro di loro. Ho fatto sbarrare le strade piantandovi dei cannoni. Speriamo che sparino, in caso di bisogno».

Sempre alla sorella a pochi giorni dall’armistizio, in realtà firmato quel giorno stesso 3 settembre, ma reso noto come sappiamo l’8 successivo scriveva:

«Vivo e combatto per i miei bambini cui, con la memoria di nostro padre, vorrei lasciare anche qualche cosa fatta da me. […] Resterò al mio posto fino all’ultimo, a ingoiare l’amara pillola di vedere molti e molti ufficiali che accampano tutti i mali immaginabili, tutte le eventuali necessità di famiglia per ritirarsi, per quanto è possibile verso il Nord, per quanto è possibile lontano dalla guerra. È difficile condurre la gente a morire, diceva papà. E aveva ragione!».

Ferrante_Vincenzo_Gonzaga

In quei giorni aveva fatto spostare le poche artiglierie a disposizione per poter dominare tutte le strade di accesso all’Osservatorio di Bucali di Battipaglia (Eboli) in caso di attacco tedesco. Era stato da poco diffuso in radio il comunicato dell’Armistizio con tutti i suoi enigmi e limiti, ma una cosa certa c’era: La rabbia dei tedeschi.

Si arriva cosi all’epilogo, quando una pattuglia tedesca della 16ª Panzerdivision del generale Sieckenius unità dislocata, come la 222ª divisione costiera italiana nel Salernitano, si presentò all’osservatorio intimando al consegna delle armi e una scarica di mitra del maggiore von Alvensleben pose fine alla vita del generale di Brigata Ferrante Gonzaga del Vodice.

Come reca il titolo di un capitolo del volume della duplice biografia, che Luciano Garibaldi ha scritto sui generali Gonzaga, Ferrante Gonzaga fu «il primo caduto della guerra di liberazione». Venne infatti ucciso dai tedeschi esattamente un’ora dopo l’annuncio della resa.

Sotto riportiamo la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare:

«Generale comandante di una divisione costiera, avuta notizia della firma dell’armistizio tra l’Italia e le Nazioni Unite, impartiva immediatamente gli ordini del caso per opporsi ad atti ostili da parte delle truppe germaniche, pronto a tutto osare per mantenere fede alla consegna ricevuta dal Governo di S.M. il Re. Mentre si trovava con pochi militari ad un osservatorio, invitato da un ufficiale superiore germanico — scortato da truppa armata — ad ordinare la consegna delle armi dei reparti della Divisione, opponeva un reciso rifiuto. Minacciato a mano armata dall’ufficiale germanico, insisteva nel suo fermo atteggiamento e portando a sua volta la mano alla pistola, ordinava ai propri dipendenti di resistere con le armi alle intimazioni ricevute, quando una scarica di moschetto automatico nemico l’uccideva all’istante. Chiudeva così la sua bella esistenza di soldato, dando mirabile esempio di elevate virtù militari, cosciente sprezzo del pericolo, altissimo senso del dovere.»

— Buccoli di Conforti (Salerno), 8 settembre 1943

La statua dedicata a Ferrante Gonzaga