Notiziario: FIGURE DI COMBATTENTI: Sergio Barbadoro, l’ultimo difensore di Palermo

FIGURE DI COMBATTENTI: Sergio Barbadoro, l’ultimo difensore di Palermo

Sergio Barbadoro, nasce il 30 settembre 1920 a Sesto Fiorentino (FI), ma è solo per una coincidenza che i natali di quest’ultimo siano rintracciabili in quel piccolo comune della bella Toscana. La madre era infatti in quei giorni in vista alla sorella malata e lì sopraggiunse il parto.

La sua famiglia infatti vive a Roma ed è nel quartiere Monte Sacro, alla fine della via Nomentana che Sergio trascorre la sua infanzia. Il padre si guadagna da vivere lavorando presso una bottega di valigeria, la madre, invece, ritiratasi dal servizio presso la CRI, si dedica ai suoi cari e quando può aiuta al negozio.

Gli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza trascorrono senza eccessivi pensieri. Terminata la scuola di base, Sergio s’iscrive all’Istituto per ragionieri “Aldo Manuzio”. Studia, lavora presso un magazzino di libri e nel tempo libero pratica la lotta greco-romana.

Il 9 marzo del 1940 viene chiamato alle armi, ma ottiene il ritardo del servizio di leva per motivi di studio. Finita la scuola s’iscrive al primo anno presso “La Sapienza” per l’A.A. 1940/41. Il 3 gennaio del 1941 gode ancora della continuazione del rinvio per via degli studi universitari intrapresi, ma già solo due mesi dopo Sergio non riesce più a studiare, non è sereno, lì al riparo, a casa mentre altri suoi coetanei si mobilitano, partono.

L’Italia è in guerra, c’è bisogno di ognuno. Quasi tutti gli universitari, soprattutto se iscritti al G.U.F., non si sottraggono dal sottoscrivere, più o meno volontariamente la richiesta per essere arruolati. Barbadoro così, dopo espressa domanda, rinunzia ai benefici del ritardo del servizio militare e chiede di essere destinato al più presto presso uno dei reparti mobilitati.

La chiamata non tarda ad arrivare e il 17 marzo 1941 è destinato al 27° Rgt. Artiglieria pesante semovente, con sede in Milano. Il 18 è inquadrato col grado di soldato semplice presso il Corpo assegnatogli. Viene presto notato per le sue doti d’intraprendenza e viene nominato prima caporale il 16 aprile, poi sergente il 17 giugno.

Il 13 luglio 1941, divampa la rivolta in tutto il Montenegro, (per chi fosse interessato abbiamo dedicato un post apposito proprio il 13 luglio) molti dei nostri presidi di confine, mantenuti principalmente da Finanzieri e/o Carabinieri, vengono attaccati e a volte sopraffatti, i nostri comandi inviamo reparti per sedare la rivolta.

Fra la fine di luglio ed i primi d’agosto viene trasferito a Bari, in attesa di disposizioni. Sbarcato a Durazzo, Barbadoro è assegnato sin dall’11 agosto al 19° Rgt. art. presso la 19ª Div. fanteria “Venezia”. La sua trasferta montenegrina sarà intensa e piuttosto pericolosa, e si concluderà solo 7 mesi dopo il 4 marzo 1942.

Viene a questo punto trasferito a Firenze, sede del 19° Rgt. art. d.f., dove il 9 marzo 1942 ottiene l’ammissione al corso Allievi Ufficiali di Complemento di Nocera Inferiore. Il 19 maggio è così nominato allievo ufficiale di complemento e, in attesa del conferimento della prima nomina, viene inviato in licenza straordinaria.

Terminata quest’ultima, in veste di Sottotenente di complemento di artiglieria, viene assegnato al 13° Rgt. art. da campagna d.f. “Granatieri di Sardegna”,  a Roma. È presso questo storico reparto, che Sergio presta il suo primo servizio in veste di ufficiale.

Il 13 settembre raggiunge la 52ª Batteria costiera, nella zona di Ostia. Vi resterà per qualche mese, ma poi sarà trasferito, fra la fine del ’42 e i primi del ’43, presso il deposito del 25° Rgt. art. d.f. “Assietta”. I reparti combattenti di quest’ultima sono dislocati in Sicilia sin dalla metà di agosto dell’anno prima. Qui, Sergio vi giungerà, stando ai diari storici, il 4 aprile 1943.

Appena dieci giorni dopo le isole maggiori verranno dichiarate “zone di operazioni” e proprio in Sicilia, dopo aver completato vittoriosamente la campagna in terra africana sbarcano, nella notte fra il 9 e 10 luglio 1943, due armate alleate, la 7ª americana del generale Patton e l’8ª britannica del vincitore di el Alamein il maresciallo Montgomery.

Preceduti la notte prima da un lancio di truppe paracadutiste, alle 2:45 del 10 luglio iniziano le operazioni di sbarco di questa enorme macchina da guerra terrestre, coperta dalle potenti bordate delle navi a largo (6 corazzate, 2 portaerei, 15 incrociatori, 128 cacciatorpediniere e centinaia di altre unità minori) e dall’onnipresenza nei cieli dell’aviazione nemica: migliaia di uomini, armi di ogni genere e calibro, munizioni a iosa e tanti mezzi corazzati.

È il più grande sbarco che in quel momento la storia militare ricordi. Anzi, aggiunge uno storico inglese: “Vale qui la pena notare che l’attacco anfibio, condotto simultaneamente da 8 divisioni, fu ancora più massiccio di quello che undici mesi dopo sarebbe stato compiuto in Normandia”. Mai, prima di quel giorno, s’era visto niente di simile!

Cosi riporta il bollettino di guerra n. 1141 di sabato 10 luglio 1943, ore 13:

Il nemico ha iniziato questa notte, con l’appoggio di poderose for­mazioni navali ed aeree e con lancio di reparti paracadutisti, l’attacco contro la Sicilia.Le forze armate alleate contrastano decisamente l’azione avversaria; combattimenti sono in corso lungo la fascia costiera sud orientale. Durante le azioni effettuate ieri dall’aviazione su centri della Si­cilia, le artiglierie italiane e germaniche distruggevano 22 velivoli dei quali 15 a Porto Empedocle, altri undici apparecchi venivano abbattuti dai cacciatori tedeschi.Nelle acque della Tunisia nostri aero siluranti hanno colpito e grave­mente danneggiato tre piroscafi di complessive 29 mila tonnellate. Gli aerosiluranti che hanno colpito i piroscafi nella azione segnalata nel bollettino odierno erano condotti dai seguenti piloti: tenente Vasco Pagliarusco da Barbarano (Vicenza), sottotenente Carlo Degli Angeli da Cesena (Forlì), sottotenente Giampiero Avanzini da For­mia, sergente maggiore Aldo Guerra da Padova, sergente Guido Scagliarini da Finale Emilia, sergente Radames Gineprari da Perugia.I velivoli abbattuti dalle artiglierie contraeree sono precipitati nelle seguenti località: 15 a Porto Empedocle, 2 a Trapani, 2 a Sciacca, uno a Villa Oliva (Siracusa), uno ad Aragona (Agrigento), uno a Falconara (Caltanissetta). Alcuni equipaggi sono stati catturati.

Alle ore 01.30 del 10 luglio, il generale Guzzoni comandante della 6ª armata italiana e responsabile della difesa dell’isola emana il seguente comunicato:

“Il nemico ha iniziato le operazioni di sbarco in Sicilia. Ho ferma fiducia che la popolazione italianissima dell’Isola darà alle truppe che si accingono a difenderla il suo concorso spirituale e materiale. Uniti da una sola volontà cittadini e soldati opporranno all’invasore un fronte unico che stroncherà la sua azione e manterrà integra questa terra preziosissima d’Italia. Viva il Re, viva il Duce”

Le nostre unità d’intervento rapido, delle quali solo una del tutto motorizzata e ben attrezzata, la divisione Livorno, attacca supportata dai panzer della divisione tedesca Hermma Goering le zone di sbarco intorno a Gela.

Il contrattacco ha successo e le truppe americane vengono ricacciate sulle spiagge, e pare venga pure dato l’ordine di reimbarco, poi il provvidenziale intervento di un reparto corazzato e soprattutto delle artiglierie navali statunitensi, spazzano via ogni possibilità di respingere gli americani.

Le truppe britanniche si troveranno invece impegnate in duri scontri contro unità costiere italiane supportate dal X reggimento arditi e unità tedesche nella zona centro-orientale, nella Piana di Catania.

Per quanto concerne il fianco occidentale, dopo i primi giorni di scontri e la conseguente espansione dell’avanzata statunitense, lo spazio di manovra per le nostre truppe si fa assai stretto e pericoloso. Le due divisioni mobili (“Aosta” ed “Assietta”) ricevono quindi l’ordine di evacuare al più presto i punti presidiati e di raggiungere il grosso dell’Armata che muove in direzione di Messina.

Le unità costiere vengono lasciate sul posto sia per l’impossibilità effettiva di trasportarle, sia per scongiurare così altri sbarchi da tergo che certo complicherebbero ancor più il già nero orizzonte tattico. Vari saranno gli episodi in cui gli Italiani si opporranno in disperate azioni di retroguardia.

La 26ª Divisione di fanteria “Assietta” quasi al 70 % costituita da elementi non locali, era già dalla prima quindicina dell’agosto 1941 impiegata nell’isola con il compito di costituire massa di manovra a disposizione del XII Corpo d’Armata. Costituiscono inizialmente l’unità il 29° e 30° Rgt. fanteria, il 25° Rgt. art. “Assietta” e la XVII Legione CC.NN.

È proprio in quel reparto d’artiglieria che Barbadoro si troverà impegnato. La 28ª Divisione di fanteria “Aosta” (composta dal 5° e 6° Rgt. fanteria, nonché dal 22° Rgt. art.) è l’unità cugina, la quale è, contrariamente all’altra, composta quasi in maggioranza da elementi locali. Quest’ultima seguirà di pari passo le sorti della prima durante tutta la campagna, fino ad assorbirne a conclusione anche gli elementi superstiti.

Trascorrono i primi giorni della campagna, mentre le truppe britanniche combattono duramente per aprirsi la strada verso Messina, emerge il malcontento dell’altro protagonista della campagna il generale americano Patton. Compito della sua armata difendere il fianco sinistra all’8ª armata britannica.

Patton vuole un compito più attivo, vuole una vittoria personale, inoltre egli riteneva possibile marciare subito con la sue forze attraverso le montagne della Sicilia centrale e poi lanciare la 2ª Divisione corazzata in un’audace avanzata direttamente su Palermo.

Patton illustrò il piano al generale Truscott, comandante della 3ª Divisione fanteria, e quindi lo propose al generale Alexander, comandante del gruppo di armate da cui patton dipendeva, che tuttavia il 16 luglio confermò gli ordini: la 7ª Armata doveva rimanere ferma per proteggere il fianco sinistro di Montgomery impegnato nella dura battaglia nella piana di Catania.

Alexander comprende tuttavia che un’avanzata americana verso Enna sarebbe stata tatticamente utile, avrebbe alleggerito la pressione nemica su Montgomery, isolato la parte occidentale della Sicilia e, con la conquista di Palermo, reso disponibile un grande porto per migliorare il sostegno logistico alle sue truppe.

Decise pertanto di autorizzare un’avanzata della 7ª Armata al centro dell’isola che Patton interpreto in maniera molto personale ampliando gli orizzonti. Mentre faceva avanzare il II corpo d’armata del generale Bradley con la 45ª e 1ª Divisione fanteria, in direzione di Enna come auspicato da Alexander, costituì un raggruppamento che spinse direttamente su Palermo.

Il raggruppamento costituito da Patton e posto al comando del generale Keyes, era formato dalla 3ª Divisione fanteria e dalla 2ª Divisione corazzata, che diede inizio alla marcia su Palermo il 19 luglio.

L’avanzata guidata dalla 3ª Divisione di fanteria, non incontrò molta resistenza, i reparti italiani erano in disgregazione e in gran parte si arresero: gli americane avanzarono rapidamente nonostante le difficoltà del terreno arido e montuoso; in settantadue ore la fanteria percorse circa 150 chilometri.

Dopo aver occupato Corleone, fin dalla mattina del 22 luglio 1943 le avanguardie della 3ª Divisione di fanteria raggiunsero la periferia di Palermo che appariva praticamente indifesa, a parte alcune demolizioni in corso nell’area del porto; alcune ore più tardi arrivarono anche i reparti meccanizzati della 2ª Divisione corazzata.

La difesa della città di Palermo, in codice “Difesa Porto “N””, è affidata al gen. Giuseppe Molinero. Non eccessivamente consistenti le forze a sua disposizione, cui tuttavia viene aggregato in rinforzo sin dai primi di luglio anche il I gruppo da 100/17 del 25° Rgt. art. “Assietta”, inizialmente dislocato nella zona presieduta dall’omonima divisione tra Partanna e S. Ninfa.

L’arco difensivo disposto intorno alla città è piuttosto vasto e comprende più paesi che, da est verso ovest, sono: Isola delle Femmine – Capaci – Carini – Monreale – Altofonte – Belmonte Mezzagno – Gibilrossa – Misilmeri – Altavilla Milicia. Proprio in queste zone il S. Ten. Barbadoro è comandato di predisporre un piccolo caposaldo a Portella della Paglia, così da sbarrare per quanto più sia possibile il passaggio al nemico, che rapidamente giunge dall’entroterra.

Con un manipolo di soldati, come ordinato, prende posizione, pronto ad assolvere una disperata difesa a disposizione un unico pezzo d’artiglieria, un cannone ippotrainato da 100/17 che viene posizionato nel punto migliore. L’ufficiale sa bene usare l’arma affidatagli, ma è la responsabilità della vita dei suoi soldati che maggiormente lo preoccupa.

Obice da 100 17 2

Il punto da presidiare è strategicamente ottimo per la difesa. La conformazione del territorio siciliano è da sempre considerata, dal punto di vista militare, come un fattore assai poco agevolante le manovre offensive. Nello specifico, il teatro circostante è caratterizzato da una cruda vegetazione, due alte cime ai lati che fanno da cornice ad un’ampia vallata che si distende a perdita d’occhio.

Fra le ripide pareti di questa gola rocciosa si snoda una piccola strada che, serpeggiando prima di passare per la strettoia della portella in direzione del capoluogo, si presta da quel punto ad un efficace tiro di artiglieria.

Si arriva quindi a mercoledì 21 luglio 1943, quando il magg. Francesco Morelli riceve l’ordine dal gen. Molinero di compiere un’accurata ricognizione informativa lungo la linea predisposta a difesa della città in direzione sud.

L’ufficiale d’ispezione giunge al varco dove Sergio vigila con i suoi e così scrive nel suo rapporto:

“Raggiunta la linea predetta nella zona di Portella della Paglia trovai un pezzo anticarro sistemato a sbarramento delle provenienze da S. Giuseppe Jato. Detto pezzo era comandato dal sottotenente Barbadoro Sergio del I gruppo del 25° artiglieria “Assietta”

Il piccolo presidio dal punto di vista difensivo è ottimo, domina tutta la valle ed è l’unica strada da questo versante che possa consentire la discesa per Palermo. La carreggiata è così stretta da costringere qualsiasi autocolonna a procedere in fila indiana e da rendere i mezzi in testa facile bersaglio.

Così, colpito dalla fermezza del giovane ufficiale che ha dinanzi, questi annota nel suo resoconto: “Il sottotenente Barbadoro, con il quale mi soffermai cordialmente a parlare, mi sembrò molto rincuorato, e nello stesso tempo potetti scorgere dalle sue parole che aveva effettivamente del coraggio e possedeva nobili sentimenti di amor proprio”.

Il tempo passa, e sono già le 4 del mattino. “Assicuratomi – continua il rapporto – che tutti gli elementi della difesa erano perfettamente a posto, mi accinsi a partire. Il sottotenente mi si avvicinò e stringendomi la mano mi disse:

“Signor Maggiore stia tranquillo che di qui non passeranno, farò io stesso il puntatore e con i miei soldati non molleremo”

Sono le prime ore del 22 luglio, gli americani sono arrivati a S. Cipirello, dove gli abitanti  scendono per le strade e corrono per andarli a vedere. La sfilata durò circa mezz’ora poi,  l’autocolonna uscì dal paese e si diresse lungo la strada che porta a Palermo.

Sono da poco passate le ore 9. Ben appostati e silenziosi i nostri attendono che il nemico si faccia avanti il più possibile, fino a quando un bersaglio non si offra nitidamente al congegno di puntamento dell’obice da 100/17.

Dopo aver percorso diversi chilometri ed occupato più paesi lungo il proprio cammino gli Americani sono quasi arrivati al punto d’impatto. Quella che si profila alla visione dei nostri è una grossa unità nemica, gran parte della 2ª Div. corazzata statunitense.

Il suo compito è di penetrare nell’entroterra palermitano e giungere nel capoluogo entro le ore 12 del 22 luglio. L’appuntamento prefissato è con la 3ª Div. di fanteria americana che, dopo aver dato scacco alle unità italiane poste nei suoi pressi, è entrata in Palermo con sparute aliquote.

Ma i loro progetti devono subire un’inaspettata battuta d’arresto. Gli Americani procedono perfettamente incolonnati lungo la strada, i primi mezzi vanno in ricognizione ed imboccano quindi l’ultima curva prima di trovarsi a diretta portata di tiro del cannone italiano. Fa da battistrada un carro pattuglia con sei uomini.

A quel punto Barbadoro ordina: Fuoco! Il veicolo avversario esplode con i suoi occupanti. Si spara con tutte le armi a disposizione, nel disorientamento degli Statunitensi. Tre mezzi corazzati nemici sono così inchiodati, due incendiati.

“Il cannone – scrive un reporter americano presente quella mattina – che stava fermando tutta la nostra armata era in una posizione peculiare intorno di un promontorio fuori dalla nostra vista, era piazzato attraverso la gola 500 jard distante da noi, cosicché poteva sparare appena qualcosa si mostrava fuori del promontorio. Saremmo sicuramente morti se avessimo sporto la testa fuori della curva. Evidentemente i soldati che manovravano il cannone erano uomini decisi”.

Belden racconta ancora: “Una volta un nostro soldato si affacciò sopra la collina. Un proiettile immediatamente gli portò via la testa. Il colonnello comandante la nostra guardia avanzata inviò un immediato ordine per un plotone di uomini in camionetta. Essi vennero avanti e smontarono sotto di noi. Mentre essi facevano questo, un rumore come un fischio di uccello passante si sentì basso sulla testa ed una falda di roccia cadde giù sulla strada. Fucilieri stavano sparandoci dalla collina dietro a noi. Dimenticando cosa stava accadendo nell’aria dietro a noi gli uomini salirono la collina per aprirsi la strada verso il cannone”.

“Il colonnello – continua il giornalista – prese un fucile dalla camionetta e salì sulla collina anche lui dicendo “Dannato se non riesco a piantare un colpo in quella postazione”. Ma nulla pare riesca a far tacere la nostra difesa. Quel cannone e quei pochi soldati italiani non sloggiano.

Lo scontro anzi aumenta d’intensità, Barbadoro continua da solo far fuoco col suo cannone. Arriva in zona un camion cingolato con un pezzo d’artigleria. A manovrare l’arma il caporale Ruling, che al primo colpo centra in pieno la postazione di Barbadoro.

Sergio Barbadoro muore sul proprio pezzo, mantenendo alta l’antica tradizione dell’Artiglieria secondo cui l’ufficiale di quest’Arma, ove necessario, cada sul pezzo piuttosto che consegnarlo al nemico.

I soldati di Patton ora possono riprendere la loro marcia verso la grande città portuale, ma soltanto dopo diverse ore dall’inizio dello scontro. Il valico che per ore non erano riusciti a conquistare adesso è sgombro.

L’indomani il corpo dell’ufficiale è ancora lì,  fu un sacerdote di San Giuseppe Jato don Antonino Cassata, a dargli il giorno seguente una sepoltura nel vicino campo santo.

Finita la guerra, verso la fine dell’estate del ’45 il padre parte alla volta dei luoghi da dove il figlio aveva dato le sue ultime notizie. Non passa molto quando, dopo essere stato in più località, questi riesce a sapere che l’ultimo posto dove Sergio è stato visto è nei pressi di S. Giuseppe Jato. E così vi si reca.

In paese parecchi ricordano l’episodio del luglio di due anni prima, ma nessuno conosce l’identità di quei soldati. La ricerca inizialmente sembra non dare buoni esiti. Un pomeriggio, mentre s’aggira per il cimitero, il custode gli si rivolge dicendogli chi cercasse. Saputo di chi si stesse trattando, gli confessa d’aver seppellito un paio di soldati anni addietro in un posto un po’ defilato del campo santo. Non conosce i loro nomi, ma suggerisce di provare comunque a scavare.

Dopo un po’ riemergono dal terreno i resti dei due soldati, il padre riconosce un coltellino ed una piccola tabacchiera in legno, si tratta di Sergio. Avuta la conferma da parte della moglie, Francesco comunica alle autorità l’avvenuto ritrovamento.

Il 2 settembre 1945 viene finalmente tumulato presso il cimitero monumentale del Verano in Roma. Il 4 novembre 1946 gli viene concessa la medaglia d’argento al valor militare (alla memoria) con questa motivazione ufficiale:

“Comandato a sbarrare, con un pezzo, un passo di montagna all’avanzata di una colonna corazzata nemica, animava i suoi uomini trasfondendo in loro la sua fede. Durante l’impari combattimento durato nove ore e reso più aspro dalla mancanza di ostacoli anticarro, senza collegamenti e senza speranza di aiuto infliggeva gravi perdite all’avversario, aggiungendo nuova gloria alle gesta degli artiglieri italiani. Caduti o feriti i serventi continuava da solo a far fuoco sino a quando colpito a morte cadeva sul pezzo assolvendo eroicamente il compito affidatogli. Luminoso esempio di dedizione al dovere.

Portella della Paglia (Palermo) 22 luglio 1943”.

Altre iniziative nell’arco degli anni si sono susseguite per onorarne la memoria. Fra queste il conferimento da parte dell’Università degli Studi di Roma nel 1961 della laurea ad honorem in Economia e Commercio, ed ancora l’intitolazione di una strada da parte del Comune di Palermo nel quartiere “Pallavicino”a seguito di un’istanza promossa dall’Istituto del Nastro Azzurro della stessa città nel settembre 1986.

L’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (UNUCI) della sezione di Firenze, ne ricordò in Palazzo Vecchio il gesto in un ciclo di conferenze svoltesi in tre fasi (4 novembre 1989, 17 marzo e 13 ottobre 1990)

Il monumento

Nell’esatto punto in cui egli perse la vita, venne posto nel 2006, cioè 63 anni dopo il suo sacrificio un piccolo cippo su cui si legge:

“Qui eroicamente cadde il S. Ten. di complem. Barbadoro Sergio. Classe 1920 da Sesto Fiorentino”