Notiziario: FEDERAZIONE DI PESCARA: RIFLESSIONI SULL'A.N.C.R.

FEDERAZIONE DI PESCARA: RIFLESSIONI SULL'A.N.C.R.

 Al congresso di Prato ho conosciuto un Presidente di Federazione che mi ha raccontato la sua storia. Orfano di guerra a 2 anni, figlio unico. Dopo i primi mesi, essendo il padre ‘disperso’, non ebbero più il sostegno economico statale. La madre s’è quindi arrangiata in tutti i modi per crescere il figlio, dargli un futuro.
Ora chiameremmo sua madre, col linguaggio enfatico che troppo spesso usiamo, Madre Coraggio. Ma quante donne come lei ci sono state, che non conosciamo?

Questa storia mi ha fatto rimuginare un’idea che ho da tempo.  La nostra è l’associazione dei Combattenti e dei Reduci, nata per sostenerli al ritorno delle guerre quando trovarono un’Italia in grave difficoltà. Ora i Reduci son quasi tutti scomparsi e dunque ci siamo noi che abbiamo preso le redini.

Son del parere che dobbiamo chiederci quale sia il nostro compito. Per lo più ricordiamo i Caduti nelle date canoniche ed in altre occasioni, andiamo nei Sacrari, portiamo corone e preghiere ai Caduti.

Ma quasi mai, mi pare, oggi si ricorda il sacrificio di chi ha combattuto ed è tornato. Sacrificio dei mesi o anni di guerra, ma anche sacrificio quando son tornati a casa ed hanno ripreso la battaglia della vita quotidiana, battaglia che dopo le due guerre mondiali non era semplice, affatto. Non si ricorda il compimento del dovere che costoro hanno adempiuto andando disciplinatamente in guerra (di certo non volentieri), disciplinatamente combattendo la guerra con tutte le sue brutture, disciplinatamente riprendendo il proprio posto e ruolo, tornati a casa. Essi hanno così permesso a noi di vivere nella relativa tranquillità e benessere di oggi, nonostante tutti i problemi. Poco si riflette, da noi, che in maniera disciplinata si costruisce, si crea ricchezza, altrimenti caos.

Ma, tornando all’inizio, io credo che non dobbiamo dimenticare chi durante le guerre – ed i dopoguerra- combattè con sacrificio e disciplina nel fronte interno. Far continuare a vivere la Nazione (che allora si chiamava Patria), produrre sia per chi combatteva al fronte che per chi restava a casa. I padri anziani, le madri, le sorelle, i fratelli giovani…  tutti costoro si dettero da fare. Così come la madre di quel Presidente.

Posso portare l’esempio di mio padre, Mario, che era del 1925. Troppo giovane non fu chiamato alla guerra, dove andarono i 4 fratelli più anziani (due poi prigionieri degli Inglesi, uno IMI in Germania). A casa aveva il padre anziano e malato, combattente della I Guerra Mondiale, la madre un fratello di 10 anni allo scoppio della guerra, quattro sorelle nubili, una campagna di 10 ettari, un buon numero di vacche da latte per dare latte a mezza città di Pescara (era piccola allora). E lui cosa fece, andò al mare, andò al cinema, a ballare? No, stette a lavorare per sostenere la famiglia e l’Italia. E poi forzosamente sgomberati dai Tedeschi (cacciati di casa) a cercar rifugio da qualche conoscente, Tedeschi che quando si ritirano si portarono via la ricchezza: le vacche da latte, che poi lui riuscì in parte a recuperare nel 1945 in Emilia.

Certo, questa è la storia di mio padre, ma simile è la storia della famiglia di mia madre, 2 fratelli in guerra, 6 sorelle a  casa, padre vedovo, anche lui combattente della I Guerra mondiale, malato. Ed anche loro a combattere nel fronte interno, anche loro sfollati, coi tedeschi, ed anche gli alleati poi, che svuotarono le botti del vino. Quando i fratelli tornarono dalla guerra ripresero la battaglia dura del lavorare in campagna, come gli altri Italiani tornarono ognuno al proprio lavoro.

Questi combattenti sconosciuti, silenziosi, non meritano la nostra stima, la nostra grata memoria? troveremo il modo di associare chi combattè la guerra al fronte con chi combatté nel fronte interno?

Senza dimenticare chi dalla guerre non tornò.

Carlo Cetteo CIPRIANI

Presidente Federazione Pescara