FEDERAZIONE DI CASERTA, SEZIONE DI PEDIMONTE MATESE: TESTIMONIANZE

‟Ricordando Vincenzo Fontanellaˮ .

A cura del prof. Marcellino Diana, Presidente del Collegio dei Revisori della Sezione Combattenti e Reduci di Piedimonte Matese.                                  

Mi auguro di non deludere le aspettative di quanti, sapendo che il mio è un intervento mirato sul Combattente Caporal Maggiore Vincenzo Fontanella, pensino a mie considerazioni sui fatti di Cefalonia. Non ne ho titolo né capacità! Lasciamo le considerazioni agli storici che, in verità, di questi tempi abbondano. Ho sempre ritenuto che la guerra la ‟scrive” chi la fa e la storia ne trasmette le vicissitudini solo se i fatti di cui si viene a conoscenza, attraverso testimonianze dirette, vengono fedelmente riportati. Orbene, necessita anzi tutto una premessa. Fino al marzo 2001, allorquando l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, si recò a Cefalonia e affermò ‟che proprio in quell’isola, per merito degli uomini della Acqui, ebbe inizio la Resistenza”, io di Cefalonia non ne avevo mai sentito parlare. Mi interessai a Cefalonia attraverso la lettura di: ‟Cefalonia 1941-1944 un triennio di occupazione” di Enzo Orlanducci, Roma 2004, e di ‟ Italiani dovete morire” di Alfio Caruso. Fui colpito dall’affermazione del Presidente Ciampi, in occasione della sua presenza a Cefalonia : ‟Dimostraste che la Patria non era morta”. I militari italiani e gli italiani in genere che combatterono contro i tedeschi dall’8 settembre alla Liberazione provarono con i fatti  che era possibile un nuovo concetto di Patria e ne posero le basi. Chi a Cefalonia sceglie la resistenza dà all’8 settembre il significato di data fondante di un nuovo concetto di patria: quei militari lottano per un’Italia diversa da quella che li ha mandati in guerra per assurdi e infondati moventi imperialistici. E’ un’Italia ancora da costruire, ma la loro scelta di lotta è un inizio, uno degli inizi. Gli italiani della Acqui fanno una scelta, prendono una decisione a livello individuale e in modo consapevole. Sanno contro chi combattono, sanno anche il perché, anche se probabilmente non immaginano che la reazione del nemico sarà così efferata. A Cefalonia si lotta per la patria, nel nome della patria si combatte e si muore. La patria, la vera patria per la quale si combatte a Cefalonia, nasce nel momento in cui quei militari fanno la loro scelta di resistenza. È una patria che vuol dire anche casa e famiglia alle quali tornare. È una patria libera e democratica, perché la scelta di lotta è forse la prima scelta che gli Italiani possono fare liberamente dopo vent’anni di dittatura.

Per molti degli uomini della Acqui la guerra non può finire consegnando le armi e se stessi nella mani dei tedeschi: si vuole tornare a casa, ma non si può permettere che i nazisti continuino la guerra anche grazie all’incertezza e alla paura degli italiani e quindi alla resa di fronte ad essi. Ed è a questo punto che s’innesta il ‟personaggio” che noi qui vogliamo ricordare. È a questo punto che emerge la personalità del Caporal Maggiore della Divisione Acqui Vincenzo Fontanella nato a Piedimonte Matese il 28-01-1918 da Giovangiuseppe e Mezzullo Maria Rosaria. Tutta la sua storia è telegraficamente contenuta nella motivazione con la quale l’Assemblea degli iscritti di questa Sezione gli conferiva la Presidenza Onoraria: Vincenzo Fontanella fu arruolato il 2 aprile 1939 nel II° Reggimento Artiglieria Contraerei – II^ Batteria Gruppo Autonomo in Napoli. L’11 giugno 1940 veniva trasferito a Colleferro, come avamposto alla difesa aerea di Roma dove rimaneva fino al 20 ottobre 1940. Il 19 novembre  1940,  si imbarcava a Bari per la Campagna d’Albania, sbarcando a Durazzo il 22 novembre. Rientrava a Napoli il 2 settembre del 1941 rimanendovi, con il compito di difesa contraerea della città, fino al 19 dicembre del 1941, data in cui partiva per Cefalonia, allocato presso il Quartier Generale della Divisione Acqui sotto il Comando del Generale Luigi Mazzini prima e del Generale Antonio Gandin dopo. Assegnato al Reparto motorizzato, comandato dal Maggiore Amoretti, vi rimaneva fino al dicembre 1944. Scampato alla fucilazione perché autiere, veniva dai tedeschi utilizzato per il trasporto alla ‟Casina Rossa” dei suoi commilitoni che, ivi giunti, venivano passati per le armi e ammassati in fosse comuni. Rimaneva a Cefalonia fino alla fine del 1945 rientrando in Italia con il Capitano Renzo Apollonio. Chiara fu la scelta dell’allora caporale Vincenzo Fontanella che all’uopo intervistato, testualmente, affermava: ‟ I tedeschi ci dissero: <Prima di tutto voi dovete darci le armi>. Ma noi <piccoli> non volevamo. E alla domanda perché? Rispondeva: ‟E perché no! Noi avevamo fatto un giuramento!” Chiedendogli: il giuramento al Re?, rispondeva: “Sì”. E ancora: ‟Il Re vi aveva ordinato di combattere contro i tedeschi? ˮ Rispondeva: ‟No. Non ce l’aveva ordinato ma ci aveva ordinato di difenderci nel caso in cui qualcuno ci offendesse. Dovevamo reagire contro chi ci molestasse”. Mai potrò dimenticare quella prima ‟chiacchierata”, allorquando, dopo aver letto il libro ‟Italiani, dovete morire” di Alfio Caruso, conoscendo le sue vicissitudini in terra greca, ebbi a chiedergli dei particolari. Alla mia domanda: ‟Ma come avete fatto a salvarVi ?”, seguì una risposta immediata: ‟Professò, a Maronna Immacolata e a patente”. Da parte mia fu facile comprendere perché la Madonna Immacolata, ma ebbi difficoltà a comprendere il riferimento alla patente. E allora mi spiegò che, seguendo gli insegnamenti dei suoi genitori, abituato a ‟imparare l’arte e metterla da parte”, pur non avendone bisogno in quel momento, decise di prendere la patente. E con una mente a dir poco ‟fresca”, con dovizia di particolari, mi disse anche che i suoi istruttori furono i compianti Antimo De Crescenzo, meglio conosciuto e ricordato come ‟mast’Antimiello” e Don Vittorio Geraci, entrambi residenti in vita a Piedimonte rispettivamente in Via A. Gaetani (Vico ‟Sapunera” oggi Antonio Consales) e Vico Maretto (meglio conosciuto come Vico delle Pere). Ovviamente, in possesso già di patente, chiamato alle armi il 2 aprile 1939, all’età di 21 anni, gli fu assegnato il ruolo di ‟Autiere” che ricoprì durante la Campagna d’Albania e a Cefalonia dal settembre 1941, fino al dicembre 1945, allocato, come già detto, presso il Quartier Generale della Divisione ‟ Acqui”, sotto il Comando, prima del Generale Luigi MAZZINI e poi del Generale Antonio GANDIN, assegnato al Reparto motorizzato, il cui Comandante era il Maggiore AMORETTI. E qui viene il ‟bello”, SI FA PER DIRE, del racconto che interessa in modo particolare la ormai famigerata patente di guida: ‟Stavamo in una località chiamata ‟Casa del Dottore”, racconta il Fontanella. La macchina stava sotto un ulivo e noi stavamo nascosti in una grotta della montagna. Dall’altro lato della strada c’era il Comando di Brigata. Noi stavamo riparati nella grotta perché gli stukas ci massacravano. Da là sotto sentivamo il rumore delle raffiche di mitragliatrice. A un certo punto arrivarono i Tedeschi. Un ragazzo greco venne ad avvertirci:<Stratiotes germanikì> (soldati tedeschi). Noi alzammo le mani e ci presentammo. Ci portarono vicino una casa bombardata e ci fecero mettere con le spalle al muro. Stavamo per essere mitragliati quando arrivò il sergente maggiore tedesco con il quale lavoravo all’autoreparto. Questi disse: ‟NICHT KAPUTT CHAUFFEURS UN ARBEITER MACHINE” (in un tedesco un po’ maccheronico ‟NON UCCIDERE GLI AUTISTI E I MECCANICI”). Non è che capimmo molto bene quello che aveva detto, non capivamo cosa stava succedendo. Comunque quei tedeschi che dovevano ucciderci presero il fucile mitragliatore e se ne andarono. È stata una questione di secondi. Mi sento miracolato. (QUESTO È IL MIRACOLO DELLA PATENTE!!!).  All’altro lato, dove era il Comando di Brigata, furono fucilati tutti. Scampati alla fucilazione, ci ordinarono di camminare. Lungo il percorso vedemmo tanti soldati morti, corpi uno sull’altro. C’erano dei cadaveri con in mano una galletta: i tedeschi li avevano fermati e poi avevano detto loro di mangiare. Mentre mangiavano li fucilavano… La guerra, si sa, è guerra: c’è chi muore e chi sopravvive. Ma è il modo in cui ci hanno massacrati che non si può perdonare: senza motivo, sparavano contro gli italiani come se fossero piccioni. Li spaventavano. Raggruppavano un centinaio di fanti, li portavano in un campo e li ammazzavano. Facevano a gara tra loro chi ne ammazzava di più. A chi ne faceva cadere di più”. Quella benedetta patente che gli aveva salvato la vita, gli riservò, però, un ingrato compito. Dopo aver rifiutato la resa insieme ai commilitoni, il nostro Vincenzo Fontanella vive tutta la tragedia di Cefalonia e deve assolvere il compito più ingrato di tutti: trasportare gli ufficiali e i suoi commilitoni alla località detta ‟Casina Rossa” dove vengono tutti passati per le armi e ammassati in fosse comuni (qui conobbe il Ten. Amos Pampaloni, passato per le armi ma salvo per miracolo – il proiettile gli perforò il collo senza causargli la morte). Interessante a questo punto il racconto diretto fattomi dal Fontanella: ‟Io dissi al Capitano Arpaia di togliersi i gradi  perché i tedeschi cercavano anzitutto gli ufficiali per fucilarli  ed il Capitano, con freddezza e lucidità impressionante, mi rispose: ‟Fontanè, grazie per avermi avvisato ma io i gradi non li tolgo. Morirò da ufficiale”. Raccontava ancora che alcune di queste fosse furono date alle fiamme e nell’intera zona si diffuse l’odore acre della morte. Qui riuscì a recuperare alcune piastrine dei compagni, tra cui quella di un commilitone di S. Angelo d’Alife (ebbe l’ingrato compito, una volta rientrato in Patria, di avvisare la famiglia). Cresciuto con un’educazione ferrea in una famiglia cristiana con principi sani - il papà, tra l’altro era Priore dell’Arciconfraternita del Carmine nonché fondatore della compagnia di Montevergine – (il Crocifisso che ancora accompagna il gruppo in pellegrinaggio fu da lui donato), il buon Vincenzo, con l’aiuto di un altro commilitone riuscì anche a ricomporre alcuni resti bruciati di altri compagni, assicurando loro, per quanto possibile, una più degna sepoltura nel cimitero di Cefalonia. Altro episodio, raccontatomi tra le lacrime, quello di un commilitone che, mentre caricavano il camion di sacchi di zucchero da trasportare al Quartier Generale Tedesco, fu ucciso con un colpo di pistola alla testa, davanti a lui, solo per aver raccolto una manciata di zucchero caduta da un sacco bucato. Sfinito e angosciato dalle orribili scene cui, suo malgrado, era stato costretto ad assistere, all’ultimo trasporto, avendo immaginato l’epilogo che si prospettava, in una curva decise di spingersi giù per la montagna insieme al carico, a un commilitone e alla scorta tedesca. Dopo un volo di diversi metri, riuscì a darsi alla ‟macchia” insieme al commilitone. Dopo varie vicissitudini, che lui per la verità ricordava con una precisione impressionante, riuscirono a raggiungere il porto dell’isola di ‟Patrasso”, ormai conquistata dagli inglesi. Qui il povero Vincenzo, riconosciuto come ITALIANO TRADITORE fu nuovamente fatto prigioniero. Nel dicembre del 1945, come ‟prigioniero” fu ricondotto in Italia a Taranto, dove, per qualche giorno rimase in un campo inglese, fino a quando, insieme ad altri soldati superstiti e al Tenente Amos Pampaloni, fu spedito a Napoli con un treno. Qui giunto, si recò direttamente in Piazza Carlo III, dov’era il capolinea della Ferrovia Alifana, ma ahimè, giunto sul posto ebbe l’amara sorpresa nel vedere tutto distrutto! Decise quindi di rientrare a Piedimonte a piedi. Partì da Napoli alle prime ore del mattino e con l’aiuto di qualche contadino, a bordo di carri e di una camionetta americana giunse presso la località ‟Quattroventi”. Da qui, ancora a piedi, fino alle porte di Alife dove vide il paese letteralmente distrutto. Uscito da quello che era rimasto di Porta Piedimonte, dopo poco, incontrò un vecchio conoscente, tal Mastrangelo di Piedimonte al quale chiese notizie della famiglia Fontanella. Avuta rassicurazione sulla famiglia, gli chiese il favore di accompagnarlo a casa. Qui giunto, il Signor Mastrangelo annunciò ai genitori (che avevano perso la speranza di rivederlo) il suon ritorno dopo ben quattro anni. Quale testimonianza indelebile di gratitudine per il rientro del proprio figlio, ma soprattutto quale grande esempio d’amore tra i propri genitori ed un figlio, papà Giovangiuseppe e mamma Maria Rosaria fecero edificare una Cappellina in Via Cupa Carmine che ancora oggi, ben curata da tutti i familiari del Fontanella, è aperta al culto specialmente nel mese di maggio dedicato alla Madonna. Dopo molti anni dal suo rientro dalla prigionia, il compianto Mons. Espedito Grillo, allora Parroco di Ave Gratia Plena in Piedimonte, consegnò a Vincenzo Fontanella una sua foto da soldato che i genitori avevano depositato nella cripta dell’Immacolata affinché lo proteggesse. Avviandomi alla conclusione non posso non ricordare la figura del Fontanella, reduce di Cefalonia, sempre presente nelle scuole di Piedimonte con altri amici della nostra Sezione, in mezzo ai giovani studenti interessati e sempre molto attenti alle narrazioni dei combattenti protagonisti; così come impossibile rimane non ricordare la sua assidua presenza sia nei Consigli in Sezione che al nostro Monumento ai Caduti di tutte le guerre in occasione della festività del IV Novembre.

Indelebile, infine, rimarrà il ricordo di quel 25 settembre 2012. Presso la Caserma ‟Oreste Salomone” di Capua, ha sede il 17° RGT. ‟ACQUI”  Reggimento Addestrativo Volontari (RAV), dove prestava servizio, con il grado di Ten. Col. il nostro conterraneo Luigi Santoro, oggi in quiescenza.

Contattato da quest’ultimo per una visita del Fontanella a Capua, mi adopero in tal senso. Mi accorgo subito che per il mio ‟Don Vincenzo” la cosa era allettante però…, però c’é qualche problema per motivi di salute. La sua volontà annienta tutte le difficoltà e quel martedì 25 settembre del 2012 il drappello, formato dall’amico Vincenzo Fontanella e dal genero, dall’allora Presidente di Sezione Stefano Micelli e dal sottoscritto raggiunge la Caserma ‟Salomone” a Capua. Una formidabile e perfetta organizzazione curata nei minimi particolari dal nostro Col. Santoro ed una impeccabile accoglienza delle grandi occasioni da parte del Comandante Col. Domenico Roma, sbalordiscono non solo il Fontanella ma noi tutti. Si susseguono saluti, interviste, deposizione della corona ai Caduti. A questo punto la lucidità mentale del Reduce Fontanella sorprende tutti i presenti! Nella sala sede dell’incontro, c’è un quadro contenente tante, tante, fotografie di militari della Divisione ‟Acqui”. Fontanella si avvicina al quadro e con il suo bastone, uno per uno, indica i nominativi di tutti i fotografati ivi compreso quello di una suora. Li aveva conosciuti tutti!!! Chiude la visita l’incontro con i volontari ‟freschi” di arruolamento! Entriamo nell’ANCAR dove più di 800 militari, all’arrivo di Fontanella, scattano sull’attenti facendo  emozionare non poco tutti gli astanti. A questo punto con tanta commozione mi sussurra una frase che non potrò mai e poi mai dimenticare. Testualmente: ‟Professò, mai tanto onore ho ricevuto da quando sono rientrato da Cefalonia”. In questa sua frase si registra tutta la gioia del momento. Si susseguono tante domande poste al Reduce nostro conterraneo e tutte, con la ormai riconosciuta ed indiscussa lucidità trovano risposta. Ma il bello deve ancora arrivare! Un ufficiale, con accento settentrionale chiede a Fontanella quali furono, a Cefalonia, i rapporti tra la truppa e gli ufficiali. Fontanella non comprende la domanda a causa dell’eco presente nell’ANCAR. Senza scomporsi mi chiede: ‟Cosa ha detto?” Quando io, al suo fianco, gli ripeto la domanda, lui, con tono deciso testualmente dice: ‟TRA NOI SOLDATI E GLI UFFICIALI I RAPPORTI FURONO OTTIMI, ECCELLENTI, CI VOLEVAMO BENE”  ma ahimè, arrabbiato,  proseguì dicendo: ‟FU LA PATRIA CHE CI ABBANDONÒ, FU L’ITALIA CHE SI DIMENTICÒ DI NOI”. E saputo che tra i presenti c’erano giornalisti e autori di testi su ‟Cefalonia”, aggiunse: ‟A voi un invito particolare: quando intervistate i reduci, riportate con fedeltà quello che vi dicono perché è vita vissuta. Non ci fantasticate voi sopra perché, così facendo, travisate la verità”. Da questo emerge con chiarezza il carattere di Vincenzo Fontanella che era uno che le cose non le mandava a dire...! Da parte mia, sarebbe suonato offesa alla Sua memoria, il tacere quest’episodio. Fontanella, fino alla fine, ha espresso il dolore provato nel dopoguerra da tutti i reduci di Cefalonia, vittime ancora una volta, della condanna della loro scelta da parte di alcuni, non pochi, purtroppo, settori della ‟ricostruzione” postbellica.

A Vincenzo Fontanella Reduce di Cefalonia, Croce al Merito di Guerra (17-06-1999), Presidente Onorario della nostra Sezione, noi conterranei, noi della Sezione Combattenti e Reduci di Piedimonte Matese cosa possiamo dire? Nulla, se non un grazie per il contributo dato alla Patria, a quella Patria che, purtroppo, prima abbandonò quei giovani ‟di venti e trent’anni che, chiamati sull’isola di Cefalonia a scegliere tra la vita e l’onore, scelsero l’onore sacrificando la vita e poi li cancellò”(fatto salvo il magistrale recupero del Presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi). Grazie! per il servizio reso alla Divisione ‟Acqui”. Grazie! per aver onorato

la nostra Piedimonte. Grazie! per l’aiuto dato alla Sezione Combattenti e Reduci. Grazie! per la costante informazione data ai giovani studenti in occasione dei vari

incontri nelle scuole con la speranza di inculcare in essi il sentimento di Amor Patrio.

Grazie! per aver concesso a noi  la Sua amicizia ed i Suoi insegnamenti.

Il SIGNORE ABBIA IN GLORIA LUI E TUTTI QUANTI SERVIRONO LA PATRIA E PER ESSA S’IMMOLARONO. W L’ITALIA – W I COMBATTENTI E REDUCI – W I CADUTI DI TUTTE LE GUERRE.

A voi tutti un grazie per l’attenzione.

Piedimonte M.                                     IL Presidente del Collegio dei Revisori

                                                              Della Sezione di Piedimonte Matese

                                                                       Prof. Marcellino Diana