Notiziario: Eva Maria, la ragazza che portò un violino ad Auschwitz: così la musica sopravvive all'orrore

Eva Maria, la ragazza che portò un violino ad Auschwitz: così la musica sopravvive all'orrore

Un libro per ragazzi racconta la storia di una giovane ebrea torinese e dello strumento, ora ritrovato, che lei riuscì a conservare nel campo di sterminio dove fu poi assassinata

Lo firma Anna Lavatelli, una delle più prolifiche e premiate autrici di libri per l’infanzia con una settantina di titoli in trent’anni di affermata carriera. “La lettura del ‘Diario’ di Anna Frank a 11 anni mi ha segnato emotivamente –spiega Lavatelli– Così ho accarezzato parecchie volte l’idea di raccontare la Shoah ai bambini, un argomento grave e complesso, ma non avevo mai trovato la chiave. Poi succede che Roberto Cicala, l’editore, cui la storia è arrivata dall’attuale proprietario del violino, mi dice che gli sarebbe piaciuto fosse raccontata ai bambini. Perché i bambini hanno una forte idea di giustizia e gli adulti troppo spesso sottovalutano la loro capacità di comprendere e la loro maturità di riflessione”.
Tutto ha inizio negli anni Trenta da un liutaio di Torino, quando si presenta un signore elegante in cerca di un violino per la figlia. La scelta cade sull’oggetto più bello presente in bottega e subito, a casa, Eva Maria Levy detta Cicci lo prova suonando “Il cigno” di Saint-Saëns. Si esercita con suo fratello Enzo e potrebbe cominciare la carriera di violista. Sennonché, nel 1938, quando “Cicci” ha 17 anni, vengono promulgate le leggi “a difesa della razza”. Per gli ebrei più niente è come prima: non possono più andare a scuola, né svolgere la professione di medico, insegnante, avvocato, ferroviere, musicista… Non c’è senso in questo, se non l’odio, l’ignoranza, la rivalsa, il profitto, la banalità del male.
E poi arriva la guerra. E poi l’8 settembre 1943, il caos, la caccia agli ebrei, la fuga dei Levy, come tanti altri: via da Torino con la speranza di raggiungere Londra attraverso la Svizzera. Ma in provincia di Varese vengono arrestati. Nel viaggio interminabile sul treno verso Auschwitz Eva Maria porta con sé il violino. Nel luogo in cui approdano come deportati, sul cancello che li accoglie si trova una frase: “Arbeit macht frei”. E comincia l’orrore. La ragazza viene dirottata a Birkenau, dove viene inserita in un’orchestra per dilettare gli aguzzini. Il fratello finisce a Monowitz. Quando riescono a mettersi in contatto, Enzo le fa arrivare su un pezzo di carta il disegno di un rigo musicale con una breve melodia e una scritta “Der Musik macht frei”. Eva Maria lo incolla all’interno della cassa armonica del suo strumento con sopra incisa una stella di Davide.
Ma un giorno il violino si rompe ed Eva Maria viene rimandata con le detenute comuni. Senza più musica, si lascia morire e, il 6 giugno 1944, il suo cadavere viene bruciato nei forni. Il fratello invece si salva e recupera il violino. Tornato a casa, dopo parecchio tempo lo affida a un liutaio per farlo riparare. Ma non torna a prenderlo. Dall’oblio lo recupera nel 2014 un collezionista di strumenti musicali, l’ingegnere Carlo Alberto Carutti. Lo pesca a Torino, nel negozio di un antiquario in via San Francesco da Paola. Lo trova talmente bello che gli sembra finto, dice.

Il suono di questo Collin-Mézin con la stella di Davide è reso più intenso e struggente dalla sua storia. Con quel biglietto ancora nella cassa armonica, quel pentagramma, quella frase musicale a canone inverso e quel numero di matricola, 168007, che Enzo Levy portava sul braccio, il numero infame della prigionia, del progetto di sterminio. Però, come insegnano questa storia e la Storia tutta dell’umanità, gli amori più forti, le grandi passioni, quella per la musica ad esempio, quella per la vita, sopravvivono alle tragedie e all’orrore. Offrono futuro e orizzonte. Basta non dimenticare. Per questo si scrivono libri come “Il violino di Auschwitz”.