Dušan “Duško” Popov: la Spia doppiogiochista che ispirò James Bond

Autore: Annalisa Lo Monaco

J. Edgar Hoover (1895-1972) è stato uno degli uomini più potenti e temuti degli Stati Uniti, direttore del Bureau of Investigation, poi diventato FBI, dal 1924 fino all’anno della sua morte. Nessun presidente americano ebbe mai il coraggio di mandarlo in pensione, perché egli raccoglieva dossier compromettenti su tutti i leader politici, tanto che il Presidente Harry Truman definì l’FBI la sua “polizia segreta”.

J. Edgar Hoover nel 1959

Immagine di Pubblico Dominio

Molte ombre circondano la figura di Hoover: era un accanito anticomunista e perseguitò, anche con metodi illegali, tutti coloro che professavano idee radicali, però negò ostinatamente la presenza del crimine organizzato negli Stati Uniti (ovvero la mafia), fino a che fu costretto ad ammetterne l’esistenza nel 1957. Nel corso della sua carriera se la prese con gli attivisti di colore (nel 1964 fece inviare una lettera anonima a Martin Luther King invitandolo al suicidio), con le donne (licenziò tutte le agenti donna del Federal Bureau), e fu accusato di non aver indagato a fondo sull’assassinio del Presidente J.F. Kennedy. Conservatore fino al midollo, non poteva certo tollerare le voci insistenti sulla sua presunta omosessualità, che l’irriverente scrittore Truman Capote (dichiaratamente gay) amava far circolare solo per indispettirlo. Hoover, uomo dalle vedute evidentemente limitate, non si fidava degli stranieri, e per questo sottovalutò un’informazione ricevuta da una spia al servizio della Gran Bretagna, che lo avvisò di un imminente attacco a Pearl Harbour, quello che causò l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale.

Duško Popov nel 1940

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Hoover non si fidò di Duško Popov, un uomo che rappresentava tutto ciò che lui odiava: era un impenitente donnaiolo che amava le macchine sportive e il gioco d’azzardo, per di più di origini jugoslave. Un uomo talmente bravo nel suo lavoro di spia doppiogiochista, con una vita talmente sopra le righe, da aver ispirato Ian Fleming nella creazione del mitico James Bond / Agente 007.

Ian Fleming

Fonte immagine: Wikipedia/Giusto Uso

Una fonte di ispirazione concreta, tanto che alcuni fatti reali della vita di Popov sono raccontati come avventure vissute da Bond. Anche Ian Fleming era un agente segreto al servizio del Regno Unito, e proprio in quel ruolo ebbe modo di conoscere, anzi di controllare l’operato di Duško Popov, con il quale condivideva la passione per le donne e per i superalcolici. Una notte del 1941, in un Casinò di Estoril, in Portogallo, Popov gettò su un tavolo di baccarat una cifra esorbitante (40.000 dollari dell’epoca), solo per sfidare un giocatore ancora più spaccone di lui. La somma, consegnata dai tedeschi a Popov per organizzare una rete di spionaggio in Inghilterra, doveva invece andare a finire nelle casse dell’M16 britannico. Vista la fama di Popov, gli inglesi lo facevano sorvegliare da Fleming, che rimase sconvolto (e affascinato) dalla noncuranza dimostrata da Popov verso la possibilità di perdere una cifra simile, che peraltro non gli apparteneva. La scena, forse un po’ esagerata da Popov, è riportata in Casino Royale, anche se poi Fleming diede una versione diversa di quella serata al casinò.

Foto del passaporto di Popov – 1941

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Se lo scrittore avesse conosciuto Popov da più tempo, non si sarebbe stupito del suo comportamento.

Dušan “Duško” Popov era nato nel 1912 in Serbia, in una famiglia ricca e colta, che non lesinava sulle spese per i viaggi e l’istruzione dei figli. Dopo la laurea in legge, Popov andò a Friburgo, per frequentare un dottorato. Era il 1934, e la Germania stava già vivendo il delirio nazista, con i roghi dei libri, la persecuzione degli ebrei e i primi campi di concentramento. Popov all’epoca non era interessato alla politica, ma piuttosto alle auto sportive e alle ragazze, passioni che condivideva con un amico tedesco, Johann Jebsen, ricco e spensierato quanto lui. Nei due anni trascorsi a Friburgo però, il giovane Dušan comprese bene quale fosse il reale volto del nazismo, ed ebbe l’ardire di metterlo in ridicolo pubblicamente, pensando che lui, serbo, non avesse l’obbligo di dimostrare fedeltà a Hitler. Nell’estate del ’37, dopo aver completato il dottorato, Popov era pronto per andare a festeggiare la conclusione degli studi a Parigi. Non ci riuscì, perché la Gestapo lo arrestò, con l’accusa di essere comunista, e lo rinchiuse in prigione senza un procedimento formale. Fu l’amico Jebsen a informare dell’accaduto il padre di Popov, che riuscì a far scarcerare il figlio grazie ad amicizie influenti. Nel 1940 Jebsen comunicò a Dušan di essere entrato nel servizio segreto tedesco, l’Abwehr, pur di evitare di essere arruolato nella Wehrmacht, e gli propose di fare altrettanto.

Popov accettò, solo dopo essersi accordato con l’intelligence britannica: avrebbe fatto il doppio gioco a favore delle forze alleate, con il nome in codice di Triciclo (come fece anche Jebsen, che però finì in un campo di concentramento, dove probabilmente morì).

Nel 1941 l’Abweher lo mandò in missione negli Stati Uniti, per organizzare una rete di spionaggio, e per indagare su alcuni obiettivi dell’intelligence tedesca. Proprio la richiesta di informazioni molto dettagliate su Pearl Harbour fece scattare in Popov il sospetto che la flotta degli Stati Uniti di stanza alle Hawaii corresse un grave rischio.

Il 12 agosto del 1941 Popov informò Hoover dell’imminente pericolo, ma il diffidente capo dell’FBI non riferì alle cariche superiori

Tornato dagli Stati Uniti (Hoover gli intimò di lasciare immediatamente il paese) Popov si trasferì a Londra, dove contribuì attivamente all’operazione Fortitude, parte della più ampia strategia di inganno chiamata Bodyguard: fu anche grazie a lui che lo sbarco in Normandia ebbe successo, perché riuscì a convincere i tedeschi che le forze alleate sarebbero approdate a Calais.

Fonte immagine: Dubrovnik Press.hr

Proprio come James Bond, anche mentre svolgeva rischiose operazioni di guerra, Popov non rinunciava al suo stile di vita da playboy e da giocatore d’azzardo, come poi scrisse (forse esagerando un po’) nel suo libro di memorie Spia contro Spia, pubblicato nel 1974.

Nel 1981, il fisico di Popov si arrese agli eccessi di alcol e fumo: l’agente segreto morì a 69 anni, 17 anni dopo Ian Fleming, lo scrittore che aveva sbalordito in quella stana notte del 1941 in un casinò di Estoril.