La sua opera di sacerdote lo portò a rischiare più volte la vita, svolgendo il compito di barelliere, spingendosi nella terra di nessuno alla ricerca dei commilitoni feriti o morti. Per questo suo coraggio, gli fu conferita una seconda onorificenza, questa volta di bronzo: “Spontaneamente in due sere successive, con pericolo di vita, si spingeva, unitamente ad altri, sotto il fuoco nemico, sino ai reticolati avversari, per raccogliere numerosi feriti e morti, che riportava nelle nostre trincee. Monfalcone, 10 novembre 1916”. Il 30 agosto 1917, durante l’undicesima battaglia dell’Isonzo, rimase ferito sul costone del Selo: durante un assalto, resosi conto che un gruppo di soldati era rimasto senza guida e senza ordini, ne assunse direttamente il comando, proseguendo l’offensiva contro il nemico. L’azione gli valse la Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Quantunque dispensato dal presentarsi alle armi, allo scoppio della guerra vi accorse volontariamente dalla Siria dove stava esercitando apostolato di religione e di Italianità e fu nel proprio reggimento costante e fulgido esempio del più puro amor di patria e del più straordinario coraggio. Già due volte premiato per distinte azioni di valore, primo fra i suoi soldati nel compimento della sua opera, non conobbe ostacoli e tenne il dovere mai come un limite da raggiungere, sempre come una meta da oltrepassare. In una speciale circostanza messosi risolutamente alla testa di un manipolo di militari privo di comandante, nel momento più grave della dura lotta li trascinò arditamente contro il nemico più forte di uomini e di armi e con irresistibile impeto lo debellò e lo costrinse alla resa facendo prigionieri e catturando materiale. Ferito rimase al combattimento finché non ebbe assicurata la vittoria. Già distintosi per elette virtù militari in numerosi combattimenti, sempre impavido nelle zone più fortemente battute dal fuoco avversario, sempre intrepido di fronte ai più gravi pericoli. Carso, 23 maggio-5 giugno, Comarie, 30 agosto 1917”. Fu solo nel gennaio 1918 che riuscì a riprendersi dalle ferite e tornare nuovamente tra i suoi soldati: terminò la guerra come Cappellano del Reggimento Cavalleggeri di Treviso, venendo definitivamente congedato nel 1919.
Sebbene inizialmente attratto dal nascente movimento fascista di Benito Mussolini, divenendo, nel 1927, responsabile dell’Ufficio di Assistenza della Federazione di Arezzo, il successivo fallimento della Banca di Credito e Risparmio di Arezzo, della quale era consigliere, lo portò ad un forte contrasto con i fascisti locali, venendo dapprima espulso dal partito e poi condannato a tre anni di confino, fino alla completa assoluzione da qualsiasi accusa. Nuovi venti di guerra, però, iniziarono a soffiare: con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale non passò molto tempo prima che Don Giovanni Mazzoni partisse nuovamente per il fronte. Assegnato alla 52a Divisione Fanteria Torino in partenza per il fronte russo, passò volontariamente nel 3° Reggimento Bersaglieri. Affiancò così i fanti piumati per tutto il ciclo di operazioni del 1941, fino alla dura battaglia di Natale. Chiamato nuovamente ad operare in prima linea, mentre si prodigava a soccorrere un ferito, venne colpito in pieno da una raffica di mitragliatrice che ne stroncava la vita. Per il suo coraggio, gli venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria: “Medaglia d’Oro per la Guerra 1915-1918, dopo aver fieramente chiesto ed ottenuto l’assegnazione ad una unità di prima linea impegnata in aspra lotta, dava continua e chiara testimonianza del suo fervore di apostolo e della sua tempra di soldato fuse nella esplicazione più nobile delle attribuzioni sacerdotali e nell’ascendente del più schietto ardimento e di ineguagliabile abnegazione. In giornate di cruenti combattimenti divideva con raro spirito di sacrificio gli eroismi di un Reggimento Bersaglieri portando a tutti, pur tra i maggiori pericoli, le parole infiammate della fede e la voce trascinante del suo coraggio. In una alterna vicenda dell’accanita lotta accortosi che un ferito rimasto isolato invocava aiuto, e nonostante che altri tentativi fossero rimasti soffocati nel sangue, con ammirevole temerità e consapevolezza si lanciava per soccorrere il dipendente né desisteva dal suo nobile intento pur quando il piombo lo colpiva ad un fianco. Ferito di nuovo e mortalmente, alle estreme risorse vitali affidava la sublimità mistica della sua intrepidezza raggiungendo l’agonizzante e spirando al suo fianco. Esempio mirabile delle più elette virtù e di sublime coscienza dell’ideale patrio. Rassypnaja, Petropawlowka, Fronte Russo, 1-26 dicembre 1941”.