Notiziario: “DISPERSI NELL’ATLANTICO: L’INCREDIBILE STORIA DI SOPRAVVIVENZA DI UN EQUIPAGGIO DELLA RAF NELLA WW2”

“DISPERSI NELL’ATLANTICO: L’INCREDIBILE STORIA DI SOPRAVVIVENZA DI UN EQUIPAGGIO DELLA RAF NELLA WW2”

“Vento gelido e tagliente soffia da nord mentre un manto di stelle mai visto così bello e nitido si specchia sull’oceano vasto e sconfinato. Ranicchiato nella sua giacca ‘Irvin’, un pilota di bombardiere galleggia placido nell’Atlantico. In bocca il sapore della cioccolata, poca e maledettamente dolce, sulle labbra spaccate dal gelo la salsedine. Stringe una pistola ‘very’ nella mano destra e spera, spera e prega, prega che una luce affiori lungo l’orizzonte, spera nell’alba che lo riscaldi un poco. Un aviatore non è un bravo marinaio, ma deve tornare a casa, in un modo o nell’altro. Un luce arancio brilla nel nero della notte. Gli occhi riflettendola s’illuminano di quella speranza, brandisce la pistola, sveglia i compagni; ma è un’inganno, un miraggio nel deserto nero dell’oceano: quella è la luce di Marte, il pianeta del dio della guerra. E noi bisogna resistere. Ancora.” 
Riaffiora nella memoria la storia di 6 aviatori della Royal Air Force sopravvissuti ben 11 giorni nei gelidi mari dell’Atlantico. Al culmine della Battaglia dell’Atlantico un bombardiere quadrimotore Handley Page Halifax, decollato il 27 settembre del ’43 dalla base di Holmsley, è ricognizione sul Golfo di Biscaglia (al largo della Bretagna) quando intercetta e affonda un U-boat tedesco, l’U-221. Ai comandi del bombardiere britannico c’è Eric Hartley, che colpito irrimediabilmente ad un motore si disimpegna dopo aver distrutto l’obiettivo e ed è costretto ad ammarare 600 chilometri a sud-ovest della coste dell’Irlanda.

Due membri dell’equipaggio hanno perso la vita durante l’azione; gli altri sei adesso sono su un piccolo ‘life-boat‘ giallo, senza aver potuto lanciare un S.O.S. , con razioni d’emergenza sufficienti per pochi giorni e tutto intorno le gelide acque dell’Atlantico che nel mese di ottobre possono raggiungere i 3-4° di temperatura. Latte liofilizzato, qualche biscotto, cioccolata e gomme da masticare per tenersi in vita. Le tute da volo destinate ai bombardieri, ‘Irvin Suit‘, composte da giaccone e pantaloni di pelle di pecora imbottita indossate sopra la divisa per difendersi dal freddo, ma non dalle onde sono alte e dalla pioggia. Sono perennemente zuppi, cercano di pescare – senza successo – usando delle reti rudimentali fatte con le mutande dell’Air-gunner Ken Ladds e ‘gomma da masticare’ già mastica come ‘esca’. Provano a nutrirsi di ‘meduse’, l’univa cosa che riescono a catturare, ma sono disgustose. Cuciono le loro camicie con del filo di rame per procurarsi una vela, che a 2 nodi li spinge lentamente verso il continente.

Insieme al comandate ci sono il co-pilota, cpt. Roger Mead, il navigatore, sgt. T. Bach, l’ingegnere di borgo, sgt. George Robertson, l’operatore radio, sgt. A.Fox, e il mitragliere Ken Ladds. Tutti soffrono il mare, il gelo, alcuni danno i primi segni di pazzia dovuti all’isolamento e alla perdita di speranza. La speranza che viene ingannata la notte del 3 ottobre, dopo sei giorni alla deriva: quando la luce di Marte, che quando si alza dall’orizzonte nelle notti stellate dell’Atlantico è arancione e nitida, viene scambiata per la luce di segnalazione di un natante; falso allarme.

Ogni notte osservano gli sbuffi delle balene, vicine pochi metri dal battello gonfiabile. Ogni mattina svuotano l’acqua portata a bordo dalle onde con gli stivali da volo, per evitare l’affondamento. Si prega e si distribuisce una piccola razione di cioccolata, fino alla fine, fino a perdere la speranza, fino all’8 ottobre, quando viene avvistata una nave. Tre razzi di segnalazione sparati con una pistola ‘very‘ riempiono il cielo, e l’HMS Mahratta li trae in salvo, sbarcandoli a Plymouth il 10 ottobre.

Questa vicenda, dimenticata come molte altre storie di guerra, è riaffiorata nella memoria dopo più di 70 anni perché i parenti di pilota comandate Eric Hartley hanno deciso di vendere la Distinguished Flying Cross che si guadagnò quel 27 settembre del 1943 – “Non abbiamo figli a cui tramandarla, a noi basta il ricordo per essere fieri di mio padre” le parole della figlia sessantenne prima di cedere l’alto riconoscimento per gli atti di valore espressi durare il conflitto.

di Davide Bartoccini