La neuroprotesica è la branca della scienza che studia gli arti bionici mossi direttamente dal pensiero. Per secoli la medicina ha studiato la realizzazione di protesi dotate di movimenti controllabili da persone con arti amputati. La sfida tecnologica deve il suo progresso all’opera di un medico italiano nato a Greve (FI) nel 1861. Si chiamava Giuliano Vanghetti.
Profondamente colpito dalle amputazioni degli arti subite dagli Ascari del Regio Esercito sconfitto ad Adua il 1° marzo 1896 dalle truppe abissine di Menelik II, inizia a studiare delle protesi per i veterani.
Gli etiopi, giudicando traditori i soldati eritrei inquadrati nelle forze italiane, applicarono un’antica e barbara legge amputando a 800 di loro la mano destra e il piede sinistro. Per due anni, nella sua casa di Empoli, Vanghetti studia un primo metodo applicato alle galline e nel 1900, con l’aiuto del prof. Ceci dell’ospedale di Pisa, testa le prime protesi meccaniche sull’uomo. I risultati furono ottimi e la tecnica cominciò a diffondersi.
Giuliano Vanghetti fu il primo a descrivere e a realizzare “operazioni cineplastiche” che avrebbero consentito ai pazienti di muovere protesi e quindi a ripristinare, almeno in parte, i movimenti. Il metodo Vanghetti fu il primo a sfruttare i movimenti naturali dei muscoli residui per attivare la protesi meccanica, collegata direttamente ai muscoli e ai tendini.

Nel 2017 un team di bioingegneri e neurologi ha reso omaggio al medico italiano Giuliano Vanghetti, precursore a tutti gli effetti delle moderne tecniche di neuroprotesica, dedicandogli la copertina della rivista ‘Neurology’ pubblicando nella sezione dedicata alle ricerche sugli aspetti storici un articolo nel quale hanno ricostruito la vita e l’attività scientifica del medico, grazie al materiale originale conservato presso il “Fondo Vanghetti” della biblioteca comunale “Renato Fucini” di Empoli (Firenze).
“La vita e gli studi di Giuliano Vanghetti sono notevoli ed estremamente interessanti. È stato un fiume in piena di idee e di ingegno, al servizio del prossimo; per certi aspetti è stato un visionario e, forse proprio per questo, solamente oggi, finalmente, riceve dalla comunità scientifica quel pieno riconoscimento che in vita non ha avuto”.
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di © Alberto Alpozzi