Dallʼoblio sbocciano "Fiori dal Lager": 50 storie di internati militari italiani in un volume

Nellʼantologia a cura della storica Silvia Pascale, presidente Anei di Treviso, testimonianze inedite, racconti e immagini di Imi protagonisti dellʼ"altra Resistenza", dimenticati per decenni dalla storiografia
"Pensavano di trovare una festa al ritorno a casa, dopo essere sopravvissuti a quasi due anni di lager nazisti; lo scrivevano nei diari, nelle lettere, se lo dicevano tra loro, perché avevano liberato l'Italia scegliendo l'internamento volontario, dicendo No a Salò; si sentivano eroi; invece, li aspettarono l'oblio, le accuse di collaborazionismo, silenzio e ancora sofferenza". Così la storica Silvia Pascale, consigliere nazionale Anei (Associazionale nazionale ex Internati) e presidente della sezione di Treviso, introduce a Tgcom24 la sua antologia, "Fiori dal Lager", di Ciesse Edizioni. A questi dimenticati dalla storiografia ufficiale, gli Internati Militari Italiani (Imi, tra i 650mila e gli 800mila dopo l'8 settembre 1943), ha dedicato il suo ultimo lavoro. "Non voglio riscrivere la storia - afferma, - ma l'Italia non ha mai fatto i conti con il suo passato". "Che questo volume, pensato per i ragazzi, entri nelle scuole", auspica a pochi giorni dalla sua presentazione al Museo Nazionale dell'Internamento a Padova il 7 settembre.

Cosa l'ha spinta a scrivere questa antologia?
"Dopo sessant'anni ho ritrovato il diario di nonna Teresa, unica testimonianza femminile sulla storia di un Imi, il mio prozio Anadage Zerbini che mai tornò dalla prigionia. Lei, che, nonostante avesse altri 5 figli, dedicò tutta la vita a questo, scrisse nel finale: 'Sono convinta che nelle mani di chi capiterà, ne farà tesoro e memoria non solo per mio figlio ma per tutti questi ragazzi'. Quel manoscritto è finito a me e ciò mi ha dato la molla perché anche altri famigliari di Imi trovassero uno spazio per il loro ricordo. Per questo ho raccolto 50 storie, tra chi tornò e chi no, presentate direttamente dai parenti, anche attraverso una sola cartolina, una sola foto, perché l'approccio del lettore al testo fosse più semplice, più emotivo su un argomento che in pochi conoscono".

Come ha organizzato il lavoro di raccolta di testimonianze così diversificate?
"Partendo dal diario di Alfredo Zaros, nonno di un mio allievo, interessandomi anche alla storia di quel mio prozio, ho iniziato a raccogliere documenti, lettere, testimonianze; materiale corposo da parte di parenti di Imi, soprattutto del Veneto. Tutti mi chiedevano di renderlo pubblico, perché negli anni, dal Dopoguerra in avanti, nessuno si era mai occupato di questa pagina di Resistenza, tutto era stato taciuto. Inoltre, chiedendo collaborazione agli utenti della pagina Facebook Imi (Italienische Militär-Internierte) Internati Militari Italiani, sono stata poi letteralmente sommersa. Ma non ho voluto fare nessuna scelta; tutte le storie inviate sono state pubblicate. Con un filo conduttore: far venir fuori le personalità di quei ragazzi che hanno fatto l'esperienza terrificante di un lager per scelta volontaria, non aderendo all'esercito della Repubblica di Salò e quindi privati di libertà, diritti umani, tra mille sofferenze. Ragazzi, anche giovani padri di famiglia, che non avevano studiato tanto, ma con la loro coscienza e dignità sono un grande esempio per i loro coetanei di oggi per i quali il volume è pensato".

Quali affinità e differenze in queste 50 storie?
"L'affinità è la tanta sofferenza, prima, nel lager, e dopo, al ritorno. Quella del dopo è legata alla mancanza di un riconoscimento, la frustrazione per essere stati subito dimenticati. E ancora adesso, quella stessa sofferenza è presente nei loro figli e nipoti, perché - è scientificamente provato - il trauma della deportazione, il trauma del lutto non si esaurisce con la morte del deportato. Tante le conseguenze che si portano dietro le famiglie: i silenzi, i comportamenti. E nella sofferenza ho trovato tanta serenità, perché chi ha tanto patito ha trasformato la rabbia in rispetto, devozione, continuità. Interessante, poi, ho trovato, quella catena di solidarietà che si innescò durante la deportazione: chi partiva faceva cadere bigliettini sui binari e c'era chi li raccoglieva e li consegnava alle famiglie. Le differenze? Soprattutto per un discorso tecnico tra Nord e Sud: gli internati settentrionali ricevevano con frequenza lettere e pacchi dalle famiglie; i loro compagni di Centro Italia, Sud e Isole erano invece più soli per le difficoltà che c'erano di comunicare con chi li aspettava a casa. Questo spiega perché ci sono nipoti con tante lettere dal lager e c'è chi non ha mai ricevuto alcuna comunicazione".

Che seguito avrà questo unicum nel panorama storiografico italiano?
"Vorrei che la grande quantità di scritti degli Imi e sugli Imi, che magari nessuno ha mai voluto pubblicare, trovasse il suo approdo nelle scuole, attraverso materiale didattico. Oggi che i testimoni in vita sono pochissimi e l'Italia ha dato a tutti loro quasi niente, trovo che ora ci sia la giusta distanza per trattare l'argomento, anche nelle scuole. Un sogno ancora da realizzare, perché è diventata una sorta di mia missione da insegnante portare questi esempi ai giovani di oggi".