Dagli scarpini agli scarponi: i calciatori durante la Prima Guerra Mondiale
Spesso la storia dello sport si incrocia con la storia che si studia a scuola e per l’Italia una di queste occasioni è stata il 23 maggio 1915. Il girone finale Nord del campionato di calcio, un quadrangolare che praticamente assegnava il titolo di campione d’Italia*, era giunto all’ultima giornata. Si dovevano giocare Genoa-Torino e Milan-Inter. Le partite erano decisive, infatti il Genoa guidava ma Torino e Inter seguivano a soli due punti: una vittoria del Torino avrebbe portato a uno spareggio che sarebbe diventato triangolare con un contemporaneo successo dell’Inter. E visto che all’andata, giocata solo venti giorni prima, il Torino aveva vinto 6-1 un’imposizione granata era tutt’altro che improbabile. Ma il 22 venne dichiarata la mobilitazione generale e quella notte la FIGC decise di sospendere il campionato, una decisione rimasta unica fino al febbraio scorso. Il titolo sarebbe stato assegnato nel dopoguerra, in tempi e modalità non chiare, al Genoa ma non tutti i soci del club poterono goderselo. Infatti l’arruolamento massiccio non risparmiò calciatori e altre personalità legate al calcio dell’epoca, ai quali sono dedicati diversi stadi d’Italia.
Il più famoso è sicuramente il Luigi Ferraris di Genova. In realtà Luigi Ferraris, allo scoppio della guerra, aveva appeso gli scarpini al chiodo alcuni anni prima ma per la sua storia che parte dal vivaio e arriva fino a essere capitano della prima squadra è strettamente legato alla società ed è considerato il primo genoano morto in guerra, a meno di 28 anni. Ferraris partì volontario, incendiato come moltissimi altri dalle parole di D'Annunzio, e fu assegnato come Tenente nel I° Reggimento di Artiglieria da Assedio. Inizialmente schierato in ruoli di retrovia ma chiese di essere mandato in prima linea. Da lettere e dispacci sappiamo che era perfettamente consapevole consapevole di poter morire ma questo non lo spaventava: il 15 agosto 1915 scrisse infatti “Siamo in guerra per riuscire e non per riportare la pelle a casa!”. Parole che per lui furono purtroppo profetiche. La mattina del 23 agosto 1915, a Cima Maggio, un colpo di Sharpnel lo uccise all’istante. Fu sepolto dai compagni sul luogo, a quota 1875. Il suo coraggio in guerra gli valse una medaglia d’argento al valor militare che oggi giace sepolta sotto la gradinata nord dello stadio di Genova, che gli fu dedicato nel 1933, in occasione dei quarant’anni dalla fondazione del club.
Un altro personaggio di spicco della squadra rossoblù a morire nella Grande Guerra fu il fondatore James Spensley, che venne arruolato nelle file dell’esercito inglese dove prestò servizio come medico di campo. Mentre assisteva un soldato nemico, fu ferito e fatto prigioniero dai tedeschi che lo portarono al forte di Magonza. Lì morì il 10 novembre 1915 a causa delle ferite subite. Tra i giocatori del Genoa che non seppero mai di essere campioni d’Italia ci furono il portiere Adolfo Gnecco che morì sul Monte Santo a nord-est di Gorizia il 26 ottobre 1915 e il difensore Claudio Casanova che morì per le ferite il 20 aprile 1916. Più fortunato di loro fu Renzo De Vecchi, autentico fuoriclasse del calcio italiano tra gli anni ‘10 e ‘20, che esordì nel Milan ma divenne grande proprio nel Genoa e fu chiamato “Figlio di Dio”. Partecipò alla guerra ma ne uscì sano e salvo, come anche un ex calciatore del Genoa: Giuseppe Castrucci che fu impiegato sui dirigibili. Durante una missione di bomabrdamento il suo mezzo fu colpito e Castrucci fece da zavorra umana e consentendo all’aeronave di atterrare in luogo amico. Per questa azione fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare. Oltre che eroe di guerra fu anche eroe di diplomazia, questa volta nel secondo conflitto mondiale: divenne console a Salonicco nel giugno ‘43 dove, proseguendo l’azione del suo predecessore, salvò numerosi ebrei dai campi di sterminio.
Dallo Spezia arrivava Alberto Picco, il capitano e marcatore del primo gol della squadra. Sottotenente degli alpini, combattè solo 21 giorni prima di morire sul Monte Nero, in seguito alle ferite riportate durante un attacco alla baionetta. Re Vittorio Emanuele II gli concesse motu proprio la medaglia d’argento al valor militare e la squadra dello Spezia gli dedicò lo stadio che ancora oggi porta il suo nome. Altro combattente a cui è dedicato lo stadio della propria città è Giovanni Zini, che fu portiere della Cremonese. Non fu vittima delle pallottole ma delle malattie: morì a Cividale del Friuli il 2 agosto 1915 per un’infezione tifoidea. Ma se vari sono i calciatori e combattenti che hanno dato i nomi a stadi di Calcio, uno ha dato addirittura il nome all’intera squadra, si tratta di Erminio Giana, nativo di Gorgonzola in Provincia di Milano. Erminio Giana, anche lui sottotenente degli Alpini che morì sul Monte Zugna nel 1916.
Anche la Juventus subisce perdite significative come uno dei fondatori e già presidente del club Enrico Canfari. Servì come capitano degli Alpini e morì sul Monte San Michele il 22 ottobre del 1915, durante la Terza battaglia dell’Isonzo.
Tra le vittime del conflitto anche un calciatore allora formalmente campione d’Italia Giuseppe Ferrino del Casale. Il Casale aveva infatti vinto il campionato nel 1913/14, l’ultimo svoltosi regolarmente. In realtà in quella stagione Ferrino giocò solo la finalissima di ritorno a Roma contro la Lazio, secondo alcune fonti in quell’occasione segnò perfino uno dei due gol con cui i Nerostellati chiusero la pratica (dopo il perentorio 7-1 ottenuto all’andata). Sul campo di battaglia Ferrino è meno fortunato. Tra i primi a partire in quanto classe 1890, viene assegnato all’artiglieria da campagna, come Ferraris, ma in un altro reggimento: il V. Sopravvisse quasi fino alla fine ma il 4 ottobre 1918, un mese esatto prima della fine della guerra, fu colpito nella sua postazione nei pressi di Giavera. La sua lapide è al sacrario dei caduti del Montello, l’ossario di Nervesa.
Conto salatissimo lo pagarono le milanesi, con il Milan che perse quattordici uomini tra giocatori e dirigenti. Tra questi il primo a morire fu il giovane Erminio Brevedan che in rossonero aveva disputato solo cinque partite. Sottotenente arriva al fronte nel luglio 1915 e combatte sul Monte Piana. In uno di questi scontri, il 20 luglio, viene ferito a una mano ma continua l’assalto alla trincea nemica. Un secondo proiettile è fatale. Brevedan muore così a 21 anni. Il Milan perde anche il suo vice-presidente Gilberto Porro Lambertenghi, che morì il 27 agosto 1917 sulla Bainsizza, durante l’undicesima battaglia dell’Isonzo; aveva meno di 34 anni. Qualche mese prima era morto un altro rossonero, Glauco Nulli, aspirante ufficiale, ucciso il 22 maggio mentre difendeva una postazione sul Colbricon. Il sacrificio gli valse la medaglia d’argento al valor militare. Un altro rossonero, pur sopravvivendo al conflitto, dovette abbandonare la carriera di calciatore per le ferite: si trattava di Attilio Trerè, che segnò il primo gol nella storia dei Derby della mandonnina e che fece parte della prima storica partita della Nazionale italiana. In quegli anni il vero fuoriclasse del Milan era però il Belga Louis Van Hege che fu richiamato in madrepatria dopo che l'invasione tedesca. Sopravvisse al conflitto e continuò la carriera calcistica in patria, vincendo anche le Olimpiadi del 1920 con la nazionale belga.
Tra gli oltre 5000 morti dell’Intesa nella Battaglia dei Tre Monti di fine gennaio 1918 troviamo anche due nemici sul campo ma alleati in battaglia: il milanista Egidio Rovelli e l’Italo-uruguayano Julio Bavastro, all’epoca giocatore dell’Inter ma con un passato rossonero. Bavastro fu uno dei ventisei tesserati nerazzurri a perdere la vita nella Grande Guerra. Tra gli altri bisogna ricordare il capitano dell’Inter, della Nazionale e degli Alpini Virgilio Fossati che morì a Monfalcone nel giugno 1916 in un’azione che gli valse la medaglia d’argento al valor militare. Nell’Inter militava anche il calciatore maggiormente decorato nella Prima Guerra Mondiale: Giuseppe Caimi. Arruolato negli Alpini, partecipò alla conquista del Monte Cauriol nell’agosto del 1916, pochi mesi dopo essersi meritato una medaglia d’argento al valor militare. Una seconda gli venne conferita nel novembre 1917 durante un’azione nella ritirata dopo Caporetto, durante la quale riuscì a impossessarsi di una mitragliatrice austriaca. Poche settimane dopo sul Grappa, e precisamente sul Monte Valderoa, fu ferito gravemente e trasportato all’ospedale militare di Ravenna dove morì il 26 dicembre successivo. Per il coraggio mostrato nella sua ultima e fatale battaglia fu insignito della terza medaglia d’argento al valor militare commutata dopo la guerra in una d’oro.
Anche le squadre venete subirono gravi perdite come per esempio il Vicenza che perse diciassette uomini tra cui Umberto Vallesella, morto sul Monte Zebio il 10 giugno 1917, lo stesso giorno del Tenente Alpino, e giocatore del Pisa, Eschino, morto invece sull’Altopiano di Asiago. Entrambi furono decorata con la medaglia d'argento al valor militare. L’Udinese e il Verona persero oltre la metà dei giocatori nel conflitto.
Tra gli ultimi calciatori a morire in guerra ci fu Aldo Brivio portiere del Bologna, ucciso il 15 giugno 1918 sul Monte Grappa.
E non furono certo risparmiate le squadre del centro-sud: il Naples perse Teodoro Capocci, Sottotenente pluridecorato con una medaglia d’argento e una d’oro al valor militare, morì per difendere una posizione a Cesuna. Sul Pasubio nel maggio 1916 morì Salvatore Caputi dell’Ideale Bari.
Innumerevoli altri sono i calciatori che hanno preso parte alla Grande Guerra, spesso senza tornare. Infatti a differenza della Seconda Guerra mondiale dove molti calciatori soprattutto quelli delle squadre più blasonate, riuscirono a evitare la chiamata, nel Primo conflitto mondiale i giocatori come tutti gli altri giovani italiani dovettero o volettero rispondere in massa alla chiamata alle armi.
*In realtà in quegli anni per conquistare formalmente il titolo si doveva disputare una finale contro la vincitrice del campionato dell’Italia centro-meridionale. Ma il divario tecnico tra le squadre del Nord e del centro-sud era incolmabile, tanto che negli oltre dieci anni in cui questa formula della finale venne adottata, tra il 1913 e il 1925, nessuna squadra del centro-sud ne ha mai vinta una e le sconfitte furono spesso brucianti.
Fonti:
A. Padano, I caduti genoani durante la grande Guerra
E. Ferrari, La grande Guerra nel Pallone
G. Seccia, Il calcio in guerra
G. Ferrino, Eroe per caso
http://www.uomonelpallone.it/23-maggio-1915-il-calcio-va-alla-guerra/
Il più famoso è sicuramente il Luigi Ferraris di Genova. In realtà Luigi Ferraris, allo scoppio della guerra, aveva appeso gli scarpini al chiodo alcuni anni prima ma per la sua storia che parte dal vivaio e arriva fino a essere capitano della prima squadra è strettamente legato alla società ed è considerato il primo genoano morto in guerra, a meno di 28 anni. Ferraris partì volontario, incendiato come moltissimi altri dalle parole di D'Annunzio, e fu assegnato come Tenente nel I° Reggimento di Artiglieria da Assedio. Inizialmente schierato in ruoli di retrovia ma chiese di essere mandato in prima linea. Da lettere e dispacci sappiamo che era perfettamente consapevole consapevole di poter morire ma questo non lo spaventava: il 15 agosto 1915 scrisse infatti “Siamo in guerra per riuscire e non per riportare la pelle a casa!”. Parole che per lui furono purtroppo profetiche. La mattina del 23 agosto 1915, a Cima Maggio, un colpo di Sharpnel lo uccise all’istante. Fu sepolto dai compagni sul luogo, a quota 1875. Il suo coraggio in guerra gli valse una medaglia d’argento al valor militare che oggi giace sepolta sotto la gradinata nord dello stadio di Genova, che gli fu dedicato nel 1933, in occasione dei quarant’anni dalla fondazione del club.
Un altro personaggio di spicco della squadra rossoblù a morire nella Grande Guerra fu il fondatore James Spensley, che venne arruolato nelle file dell’esercito inglese dove prestò servizio come medico di campo. Mentre assisteva un soldato nemico, fu ferito e fatto prigioniero dai tedeschi che lo portarono al forte di Magonza. Lì morì il 10 novembre 1915 a causa delle ferite subite. Tra i giocatori del Genoa che non seppero mai di essere campioni d’Italia ci furono il portiere Adolfo Gnecco che morì sul Monte Santo a nord-est di Gorizia il 26 ottobre 1915 e il difensore Claudio Casanova che morì per le ferite il 20 aprile 1916. Più fortunato di loro fu Renzo De Vecchi, autentico fuoriclasse del calcio italiano tra gli anni ‘10 e ‘20, che esordì nel Milan ma divenne grande proprio nel Genoa e fu chiamato “Figlio di Dio”. Partecipò alla guerra ma ne uscì sano e salvo, come anche un ex calciatore del Genoa: Giuseppe Castrucci che fu impiegato sui dirigibili. Durante una missione di bomabrdamento il suo mezzo fu colpito e Castrucci fece da zavorra umana e consentendo all’aeronave di atterrare in luogo amico. Per questa azione fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare. Oltre che eroe di guerra fu anche eroe di diplomazia, questa volta nel secondo conflitto mondiale: divenne console a Salonicco nel giugno ‘43 dove, proseguendo l’azione del suo predecessore, salvò numerosi ebrei dai campi di sterminio.
Dallo Spezia arrivava Alberto Picco, il capitano e marcatore del primo gol della squadra. Sottotenente degli alpini, combattè solo 21 giorni prima di morire sul Monte Nero, in seguito alle ferite riportate durante un attacco alla baionetta. Re Vittorio Emanuele II gli concesse motu proprio la medaglia d’argento al valor militare e la squadra dello Spezia gli dedicò lo stadio che ancora oggi porta il suo nome. Altro combattente a cui è dedicato lo stadio della propria città è Giovanni Zini, che fu portiere della Cremonese. Non fu vittima delle pallottole ma delle malattie: morì a Cividale del Friuli il 2 agosto 1915 per un’infezione tifoidea. Ma se vari sono i calciatori e combattenti che hanno dato i nomi a stadi di Calcio, uno ha dato addirittura il nome all’intera squadra, si tratta di Erminio Giana, nativo di Gorgonzola in Provincia di Milano. Erminio Giana, anche lui sottotenente degli Alpini che morì sul Monte Zugna nel 1916.
Anche la Juventus subisce perdite significative come uno dei fondatori e già presidente del club Enrico Canfari. Servì come capitano degli Alpini e morì sul Monte San Michele il 22 ottobre del 1915, durante la Terza battaglia dell’Isonzo.
Tra le vittime del conflitto anche un calciatore allora formalmente campione d’Italia Giuseppe Ferrino del Casale. Il Casale aveva infatti vinto il campionato nel 1913/14, l’ultimo svoltosi regolarmente. In realtà in quella stagione Ferrino giocò solo la finalissima di ritorno a Roma contro la Lazio, secondo alcune fonti in quell’occasione segnò perfino uno dei due gol con cui i Nerostellati chiusero la pratica (dopo il perentorio 7-1 ottenuto all’andata). Sul campo di battaglia Ferrino è meno fortunato. Tra i primi a partire in quanto classe 1890, viene assegnato all’artiglieria da campagna, come Ferraris, ma in un altro reggimento: il V. Sopravvisse quasi fino alla fine ma il 4 ottobre 1918, un mese esatto prima della fine della guerra, fu colpito nella sua postazione nei pressi di Giavera. La sua lapide è al sacrario dei caduti del Montello, l’ossario di Nervesa.
Conto salatissimo lo pagarono le milanesi, con il Milan che perse quattordici uomini tra giocatori e dirigenti. Tra questi il primo a morire fu il giovane Erminio Brevedan che in rossonero aveva disputato solo cinque partite. Sottotenente arriva al fronte nel luglio 1915 e combatte sul Monte Piana. In uno di questi scontri, il 20 luglio, viene ferito a una mano ma continua l’assalto alla trincea nemica. Un secondo proiettile è fatale. Brevedan muore così a 21 anni. Il Milan perde anche il suo vice-presidente Gilberto Porro Lambertenghi, che morì il 27 agosto 1917 sulla Bainsizza, durante l’undicesima battaglia dell’Isonzo; aveva meno di 34 anni. Qualche mese prima era morto un altro rossonero, Glauco Nulli, aspirante ufficiale, ucciso il 22 maggio mentre difendeva una postazione sul Colbricon. Il sacrificio gli valse la medaglia d’argento al valor militare. Un altro rossonero, pur sopravvivendo al conflitto, dovette abbandonare la carriera di calciatore per le ferite: si trattava di Attilio Trerè, che segnò il primo gol nella storia dei Derby della mandonnina e che fece parte della prima storica partita della Nazionale italiana. In quegli anni il vero fuoriclasse del Milan era però il Belga Louis Van Hege che fu richiamato in madrepatria dopo che l'invasione tedesca. Sopravvisse al conflitto e continuò la carriera calcistica in patria, vincendo anche le Olimpiadi del 1920 con la nazionale belga.
Tra gli oltre 5000 morti dell’Intesa nella Battaglia dei Tre Monti di fine gennaio 1918 troviamo anche due nemici sul campo ma alleati in battaglia: il milanista Egidio Rovelli e l’Italo-uruguayano Julio Bavastro, all’epoca giocatore dell’Inter ma con un passato rossonero. Bavastro fu uno dei ventisei tesserati nerazzurri a perdere la vita nella Grande Guerra. Tra gli altri bisogna ricordare il capitano dell’Inter, della Nazionale e degli Alpini Virgilio Fossati che morì a Monfalcone nel giugno 1916 in un’azione che gli valse la medaglia d’argento al valor militare. Nell’Inter militava anche il calciatore maggiormente decorato nella Prima Guerra Mondiale: Giuseppe Caimi. Arruolato negli Alpini, partecipò alla conquista del Monte Cauriol nell’agosto del 1916, pochi mesi dopo essersi meritato una medaglia d’argento al valor militare. Una seconda gli venne conferita nel novembre 1917 durante un’azione nella ritirata dopo Caporetto, durante la quale riuscì a impossessarsi di una mitragliatrice austriaca. Poche settimane dopo sul Grappa, e precisamente sul Monte Valderoa, fu ferito gravemente e trasportato all’ospedale militare di Ravenna dove morì il 26 dicembre successivo. Per il coraggio mostrato nella sua ultima e fatale battaglia fu insignito della terza medaglia d’argento al valor militare commutata dopo la guerra in una d’oro.
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Anche le squadre venete subirono gravi perdite come per esempio il Vicenza che perse diciassette uomini tra cui Umberto Vallesella, morto sul Monte Zebio il 10 giugno 1917, lo stesso giorno del Tenente Alpino, e giocatore del Pisa, Eschino, morto invece sull’Altopiano di Asiago. Entrambi furono decorata con la medaglia d'argento al valor militare. L’Udinese e il Verona persero oltre la metà dei giocatori nel conflitto.
Tra gli ultimi calciatori a morire in guerra ci fu Aldo Brivio portiere del Bologna, ucciso il 15 giugno 1918 sul Monte Grappa.
E non furono certo risparmiate le squadre del centro-sud: il Naples perse Teodoro Capocci, Sottotenente pluridecorato con una medaglia d’argento e una d’oro al valor militare, morì per difendere una posizione a Cesuna. Sul Pasubio nel maggio 1916 morì Salvatore Caputi dell’Ideale Bari.
Innumerevoli altri sono i calciatori che hanno preso parte alla Grande Guerra, spesso senza tornare. Infatti a differenza della Seconda Guerra mondiale dove molti calciatori soprattutto quelli delle squadre più blasonate, riuscirono a evitare la chiamata, nel Primo conflitto mondiale i giocatori come tutti gli altri giovani italiani dovettero o volettero rispondere in massa alla chiamata alle armi.
*In realtà in quegli anni per conquistare formalmente il titolo si doveva disputare una finale contro la vincitrice del campionato dell’Italia centro-meridionale. Ma il divario tecnico tra le squadre del Nord e del centro-sud era incolmabile, tanto che negli oltre dieci anni in cui questa formula della finale venne adottata, tra il 1913 e il 1925, nessuna squadra del centro-sud ne ha mai vinta una e le sconfitte furono spesso brucianti.
Fonti:
A. Padano, I caduti genoani durante la grande Guerra
E. Ferrari, La grande Guerra nel Pallone
G. Seccia, Il calcio in guerra
G. Ferrino, Eroe per caso
http://www.uomonelpallone.it/23-maggio-1915-il-calcio-va-alla-guerra/
https://glieroidelcalcio.com
https://www.frontedolomitico.it/Uomini/protagonisti/BrevedanErminio.html
https://www.guerinsportivo.it/news/calcio/2018/11/05-1797678/la_memoria_del_ferraris_dello_zini_e_del_picco/
https://www.guerinsportivo.it/news/calcio/2018/11/05-1797678/la_memoria_del_ferraris_dello_zini_e_del_picco/