Con il lanciafiamme sulle spalle

Avevano un devastante impatto psicologico sui soldati avversari, per la gravità delle ferite, spesso permanenti, che potevano provocare, ma anche per la dolorosa agonia prima di morire: i lanciafiamme, parimenti ai gas tossici del primo conflitto mondiale, rappresentarono, almeno fino all’uso della bomba atomica, una delle armi più devastanti fino ad allora concepite, tanto che numerose furono le discussioni per la loro messa al bando. Anche l’Italia si dotò di propri reparti di flammieri, coloro cioè che erano addestrati all’utilizzo di tale arma, spesso provenienti dalle fila dell’Arma del Genio, e inquadrati in speciali battaglioni e compagnie chimiche e lanciafiamme. E tanti furono coloro che vennero decorati al valore per le loro azioni al fronte, Copertina lanciafiammecompiute spesso a costo della vita. Giuseppe Di Odoardo, originario di Giulianova, dove era nato nel 1915, allo scoppio del conflitto venne assegnato al 55° Reggimento Fanteria Marche, 2° Battaglione Chimico, Compagnia Lanciafiamme. Nell’aprile del 1941 partì con il suo reparto in Jugoslavia, dove prese parte alle operazioni militari e, in seguito, al controllo del territorio occupato dalle forze italiane. Promosso a dicembre al grado di Caporale, nell’agosto 1942, assieme alla sua unità, venne attaccato da una formazione di partigiani. Sopraffatti, fu l’unico ad essere catturato vivo: preso prigioniero, venne selvaggiamente torturato e picchiato, fino a quando venne finito con un colpo di baionetta. Recuperati i suoi resti, alla sua memoria è stata conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria: “Caporale lanciafiamme, scontratosi unitamente a due compagni con un forte nucleo di ribelli, decisamente lo attaccava; caduti i suoi compagni, non desisteva dall’azione. Esaurite le munizioni dopo strenua lotta corpo a corpo, veniva sopraffatto e catturato. Interrogato sulla situazione delle nostre forze, rifiutava energicamente di parlare; legato ad un albero e bastonato a sangue, opponeva nuovo rifiuto. Martoriato a colpi di coltello, non desisteva dal suo contegno eroico ma gridava in faccia ai suoi trucidatori, che vigliaccamente lo finivano con un colpo di baionetta al cuore, la sua fede e la sua fierezza di essere soldato italiano. Superbo esempio di attaccamento al dovere e all’onore militare. Pranik Tisovac, Balcania, 12 agosto 1942”.

Gerardo LustrissimiSul fronte africano, scatenatasi l’offensiva inglese lungo il fronte di El Alamein, la Divisione Paracadutisti Folgore venne investita in pieno dalla furia della battaglia. Per interi giorni e intere notti, i continui assalti della fanteria e dei carri armati nemici misero a dura prova lo spirito e l’animo dei Paracadutisti. Finite le munizioni, terminati i proiettili dei pochi cannoni rimasti e dei mortai, le forze italiane tentarono il tutto per tutto, andando all’assalto con bombe a mano, bottiglie incendiarie e, una volte finite anche queste, con le baionette. Tra coloro che maggiormente si distinsero, vi fu anche Gerardo Lustrissimi, di Subiaco, in provincia di Roma, dove era nato nel 1918. Assegnato al 186° Reggimento Paracadutisti, nell’agosto 1942 partiva alla volta Flammieredell’Africa Settentrionale, per essere aggregato alla sezione lanciafiamme. Quando si scatenò la battaglia fu sempre tra i primi ad attaccare il nemico e mai si tirò indietro, neanche quando la situazione divenne disperata e ogni tentativo di salvezza inutile. Così, come recita la motivazione della massima onorificenza al Valor Militare, anche questa alla memoria, Gerardo Lustrissimi, “lanciafiammista addetto allo sbarramento del varco di un campo minato, attaccato da preponderanti forze, sotto violento e continuo fuoco dell’artiglieria, per oltre 24 ore si prodigava in ogni modo con il suo speciale mezzo di lotta per impedire il transito dei carri armati dell’avversario. Esaurito il liquido da lanciafiamme, continuava a combattere, lanciando bottiglie anticarro, fino a che caduto ferito, veniva catturato dall’avversario. Appena riavutosi, con un piccolo gruppo di compagni impegnava con audace corpo a corpo le sentinelle, e riusciva a rientrare nelle nostre linee. Ripreso il suo posto di combattimento e colpito nuovamente persisteva nella strenua impari lotta. Esaurite le munizioni, stretto da vicino da carri armati che irrompevano ormai attraverso il varco, sdegnoso di arrendersi, dissotterrava una mina e, a tre metri di distanza, la lanciava sotto il carro armato di punta che veniva distrutto dall’esplosione. Investito dalla vampa e dalle schegge trovava gloriosa morte. Fulgido esempio di supremo eroismo nella luce delle più pure virtù guerriere. Africa Settentrionale, 23- 25 ottobre 1942″.

Flammiere italianoAnche sul fronte russo, i reparti chimici videro impegnati i propri uomini contro l’Armata Rossa sul Don, e tanti di loro, rimasti oggi sconosciuti, sacrificarono la propria vita per una guerra ormai persa. Ma, spesso e volentieri, non lo fecero perché qualcuno lo ordinò loro o per convinzione ideologica. Lo fecero per i loro compagni, per i propri amici, per non vederli cadere uccisi o essere presi prigionieri. E probabilmente questo pensò il Caporale Vincenzo Vitale, nato a Palermo nel 1913, in servizio presso la 5a Compagnia Lanciafiamme della Divisione Fanteria Cosseria. Quando ebbe inizio la battaglia del Don a metà dicembre 1942, il Caporale Vitale si trovava in prima linea con la sua unità: di fronte alla marea umana e corazzata dei Russi non si tirò indietro, fino a quando, colpito in pieno da una granata, stramazzava esanime tra la neve. Anche alla sua memoria, resta una Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Vicecomandante di squadra lanciafiamme, si lanciava animosamente contro il nemico incalzante ricacciandolo col getto della sua arma. Esaurito il lancio sostituiva il suo apparecchio con un altro tolto ad un compagno ferito e si portava di nuovo arditamente e decisamente al contrassalto infliggendo notevoli perdite all’avversario. A lancio finito si toglieva di dosso l’apparecchio e spintosi davanti a tutti teneva testa ad un numero soverchiante di nemici, prima con la pistola e poi a colpi di bombe a mano. Mentre a voce alta incitava i compagni a seguirlo nell’azione destando l’ammirazione dei superstiti, rimaneva ucciso da una granata avversaria. Già distintosi in azioni precedenti. Chiaro esempio di elevato senso del dovere spinto sino al sacrificio. Fronte russo, Don Deresowka, 15 dicembre 1942″.

FlammieriE quando il fronte ormai aveva ceduto, e la ritirata appena iniziata, una settimana dopo la morte del Flammiere Vitale, un altro soldato addetto ai lanciafiamme, aggregato al 1° Battaglione Chimico d’Armata, Mario Iacovitti, si rese protagonista di un’impresa a dir poco audace. Giunta la colonna in ritirata a cui era aggregato nel villaggio di Arbusow, poi passato alle cronache come il “vallone della morte”, subito circondato dalle forze russe, incitò i suoi compagni alla lotta per sfuggire alla sacca, montando su di un cavallo e caricando il nemico. Fatto prigioniero, scampò ai gulag siberiani, riuscendo ad essere uno dei fortunati soldati italiani che, al termine del secondo conflitto mondiale, fu rimpatriato perché gravemente ammalato nel novembre 1945. In seguito, proprio per il suo comportamento tenuto ad Arbusow, fu insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Volontario in durissimi combattimenti difensivi, mentre l’unità di cui faceva parte, completamente circondata, era premuta da soverchianti forze nemiche, sfìnito da più giorni di combattimento e con gli arti inferiori menomati da principio di congelamento, in un disperato ritorno di energie, riusciva a montare su di un cavallo e, tenendo alto sulla destra un drappo tricolore, si lanciava contro il nemico, trascinando con l’esempio centinaia di uomini all’attacco. Incurante della reazione avversaria, attaccava ripetutamente. Alla quinta carica, rimasto miracolosamente illeso, dopo che una raffica di mitragliatrice gli aveva abbattuto il cavallo, si trascinava ancora avanti, carponi, verso una postazione di arma automatica nemica, della quale, con fredda astuzia e straordinario coraggio, riusciva a impadronirsi con lancio di bombe a mano. Nel prosieguo della lotta disperata, travolto dalla marea nemica veniva catturato. Arbusow, Russia, 22 dicembre 1942″. Di Odoardo, Lustrissimi, Vitale e Iacovitti furono decorati con l’onorificenza più alta: ma tanti altri furono i caduti, i feriti, i dispersi delle unità chimiche e lanciafiamme del Regio Esercito su tutti i fronti di guerra, il cui valore non fu certo inferiore.