Notiziario: COMBATTENTI : CARLO CAROTENUTO

COMBATTENTI : CARLO CAROTENUTO

NATO A SCAFATI IL 03.11.1922
La presente è solo il frutto delle mie ricerche ed è la storia dell’uomo che ha contribuito a farmi diventare quel “malato di storia” che sono: è un omaggio a lui, per quanto ha sofferto e per tutto quello che ha fatto per me. Si tratta di mio nonno materno Carotenuto Carlo, figlio del Legionario D’Annunziano/Fiumano Domenico: mi piace pensare che sicuramente avrebbe approvato questo lavoro, che ho cercato di svolgere mantenendomi il più vicino possibile alla verità storica, senza badare alla politica, all’onore o alla gloria. Non è la storia di un eroe, anche se quelli erano tempi in cui bisognava essere uomini straordinari per sopravvivere: è semplicemente la storia di un uomo, mio Nonno, e di quello che ha fatto durante l’ultimo conflitto bellico. Per questa ricostruzione mi sono servito di Wikipedia, dell’aiuto e del confronto con vari utenti e gruppi di Facebook e del blog milistory.net: GRAZIE, senza di voi non sarei riuscito a fare nulla.-
CAROTENUTO Carlo, di Domenico e TAMMARO Carolina, nato a Scafati (SA) il 03.11.1922, di religione cattolica, residente a Scafati (SA); prima dell’arruolamento, operaio presso il pastificio “Fabbrocino” di Scafati.-
15.01.1942:- Chiamato alle Armi, tale nel deposito del 31° RGT Fanteria, 10° Compagnia, Napoli, ha vent’anni.-
Nei suoi racconti di vecchiaia mio nonno riferiva che durante una cerimonia il Duce, passando in rassegna le truppe, come di consuetudine, si fermò davanti a lui, chiedendogli da dove venisse; lui con voce emozionata ma decisa rispose: “Vengo da Scafati, Duce”. “Ah Scafati, - rispose il Duce – a Scafati ho un caro amico. Dopo passa in fureria, che ti faccio trovare un messaggio per lui, Attilio Cozzolino, (commerciante di prodotti tessili, padre del futuro Senatore del MSI Carmine Cozzolino) così quando vai a casa gliela porti”. Da quel che so, mio nonno eseguì la consegna e venne ringraziato: ma non ha mai conosciuto quale fosse il messaggio della missiva.-
C’è un altro ricordo buffo, spesso riportato da mio nonno, che, da un lato, testimonia la difficile condizione in cui vivevano i cittadini Italiani, a seguito delle restrizioni inflitte al Paese a causa della sua politica coloniale e, dall’altro, è legato al precario stato di salute del padre Domenico che, dopo la guerra in Libia, la Grande Guerra e l’impresa di Fiume, era totalmente inabile al lavoro e non riusciva più a “mantenere” una famiglia assai numerosa (erano in otto, compreso mio Nonno). Raccontava, quindi, che durante i pasti alla mensa militare a Napoli, chiedeva all’addetto alla distribuzione: “Dammi il pane mio e quello di Carotenuto Carlo”. Questo giochetto andò avanti per un bel po', fino a quando il militare esplose dicendo: “Ora basta! Ma che sei il servo di Carotenuto Carlo? Perché non viene lui qua a prendersi la sua razione? Ma tu come ti chiami?”. E mio nonno: “Veramente Carotenuto Carlo sono io; ma a casa mia, a Scafati, ci sono altri sei Carotenuto Carlo, che hanno fame e vogliono mangiare”. L’altro, forse mosso a commozione, si calmò e disse: “Ho capito, ma questo non lo puoi fare. Comunque vieni qua: non posso darti il pane fresco, ma quello degli altri giorni posso dartelo, va bene?”. Mio Nonno accettò: la fame e la miseria era tanta; e poi: “… il pane del giorno prima sempre pane è”. Così, ogni volta che tornava a casa era una festa: i fratelli lo andavano a prendere alla stazione ferroviaria, perché sapevano che c’era qualcosa anche per loro.-
06.07.1942:- Trasferito al 2° BTG Nebbiogeno, 33 Compagnia, Roma.-
18.07.1942:- Tale presso il Reggimento Chimico di Roma.-
Durante i combattimenti per la difesa di Roma (8-10 settembre 1943) il Reggimento Chimico operò, insieme ad altre truppe dei depositi, per la difesa delle caserme contro i paracadutisti tedeschi della II Divisione. Il suo Reggimento era equipaggiato con sole armi leggere, quindi con una potenza di fuoco assai minore rispetto ai tedeschi. Dopo essere stato disarmato, il Regio Esercito in Italia, Francia e Balcani, fu per la maggior parte (circa 900 mila uomini) deportato con vagoni piombati in Germania, Polonia e Bielorussia, in speciali campi denominati IMI (Internati Militari Italiani), dove ai nostri connazionali furono negate la denominazione di prigionieri di guerra e i relativi diritti, a questi garantiti dalla Convenzione di Ginevra. Al momento della proclamazione dell'Armistizio, l'Italia e la Germania non si potevano giuridicamente considerare in guerra, atteso che la dichiarazione di Guerra alla Germania fu formalizzata dal governo Badoglio con molta calma solo il 13.10.1943: per questo motivo, i soldati italiani, dai tedeschi definiti giuridicamente "franchi tiratori", furono quindi sottoposti a un regime legale non convenzionale. Dopo la creazione della RSI, i tedeschi, non intendendo riconoscere al Regno d'Italia alcuna legittimità nel dichiarare guerra al proprio Paese, decisero di confinare gli internati militari italiani, che non prestarono giuramento alla Repubblica Sociale per rimanere fedeli a quello fatto al Re, in campi di concentramento e installazioni "punitive".
In queste condizioni, molti di quei soldati decisero di avanzare richiesta di arruolamento nelle FF.AA. tedesche, anche nelle fila delle SS: gli internati subivano fortissime pressioni (non solo psicologiche) per spingerli a questa adesione; tra queste, un graduale ma costante peggioramento delle condizioni di vita e delle razioni alimentari. Lo scrittore e giornalista Giovannino Guareschi, internato prima in Polonia e poi in Germania, scrisse che, in base a quanto previsto nelle tabelle viveri rinvenute dopo la liberazione, gli IMI non avrebbero potuto esser ancora vivi nell'aprile 1945. Una parte degli internati aderì alla RSI o perché fascista, o perché incolpava la monarchia per lo sfacelo a seguito dell'armistizio; altri lo fecero nella speranza di rientrare in Italia o con l’intenzione di disertare alla prima occasione; altri ancora (e non è il caso di biasimarli) perchè gravemente malati o semplicemente indotti dalla fame. Guareschi, nella versione non censurata del suo diario di prigionia, appunto intitolata "IL GRANDE DIARIO", cita l’episodio di un ufficiale che si rivolse ai suoi colleghi con la frase "Vado in Italia a mangiare gli spaghetti"; riporta pure il caso dei Nebbiogeni che aderirono in massa, uscendo dai reticolati, inquadrati a passo di marcia e cantando "Giovinezza" per ricongiungersi ai reparti del Baltico. Caso quasi unico dopo l'8 settembre, i tedeschi apprezzavano molto le truppe nebbiogene italiane, serie, fidate, tanto da affidare loro la difesa dei porti, delle industrie belliche e delle armi segrete V1 e V2.
Dal foglio matricolare di mio Nonno risulta che dopo l’8 settembre (data indicativa e di riferimento per molti fogli matricolari), venne catturato dai tedeschi e condotto in Polonia. Dalle foto in mio possesso (vedasi la foto precedente e quella a seguire) e da altre ricerche da me effettuate, posso affermare che venne destinato a Gothenhafen, denominazione tedesca della base navale di Gdynia, presso Danzica, quindi deve aver giurato fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana. Perché lo fece? Forse, come ho scritto poco sopra, “o ti arruoli o morte”; o forse perché Fascista? Quel che so – visto che ho vissuto a lungo con lui – è che mio Nonno è stato un fervente Democristiano ed un anticomunista viscerale; ripeteva sempre: “Comunista, a famm’ perd’ a vista”; “Cumpagn’, tu fatic e io magn’”. O forse lo fece perché deluso dal comportamento di Casa Savoia? Mi sembra poco plausibile visto che nel 1946 ha votato per la monarchia al referendum. Quel che è certo è che dalle foto in mio possesso lui e i suoi commilitoni portano ancora le “stellette” sul bavero, simbolo dell’appartenenza alle forze armate; non sembrano denutriti o scheletrici, anzi appaiono sorridenti, tranquilli, nella speranza di poter tornare a casa. Inoltre, se gli IMI erano considerati meno che prigionieri di guerra, come mai a questi uomini era consentito scattarsi delle foto?-
Mio Nonno riferì poi che un bel giorno, non ricordava la data, al risveglio, trovò la Caserma vuota: i tedeschi avevano ripiegato e lasciato gli Italiani al loro destino. Iniziò un lungo peregrinare che lo portò dalla Polonia alla Germania: “…due mesi di cammino a piedi” ripeteva sempre; in Germania venne nuovamente catturato dai tedeschi, per poi essere liberato dagli Anglo/Americani: fece definitivamente ritorno in Italia il 23.08.1945. Al contrario, i soldati italiani liberati dai Sovietici rientrarono molto più tardi e con trafile burocratiche e di percorso molto lunghe.-
Mio Nonno tornò dalla Seconda Guerra Mondiale “rotto”, ma tornò, a differenza di tanti altri coetanei: era completamente sordo all’orecchio destro e aveva le funzionalità di quello a sinistra ridotte più del 50%. Raccontava che c’era stata un’esplosione (non ricordava la natura) vicino a lui, facendolo sbalzare di un paio di metri: ripresosi dallo shock, si accorse che stava relativamente bene, che non aveva nulla di rotto, anche se perdeva sangue dalle orecchie. Il freddo di quei territori, sommato alla scarsa igiene e cura della persona, gli aveva fatto perdere tutti i denti, ed aveva appena ventitré anni.- La commissione medico legale per le pensioni di guerra di Napoli gli diagnosticava negli anni ‘50 una “sindrome psiconevrotica abbastanza pronunciata con colon spasmo”.-
Ma esaminiamo le ultime informazioni riportate nel foglio matricolare:-   
23.08.1945:- Rientrato in Italia ed inviato in licenza straordinaria di giorni 60.-
22.10.1945:- Inviato in licenza straordinaria senza assegni in attesa di reimpiego.-
28.11.1945:- Ricoverato all’Ospedale Militare di Napoli.-
01.12.1945:- Dimesso ed inviato in licenza di convalescenza di gg 90; allo scadere ottiene ulteriori gg. 30, poi altri 60 giorni.-
15.07.1946:- Viene posto in congedo illimitato.-   
02.03.1964:- La Regione Militare Meridionale – X Comando Militare Territoriale gli conferisce la Medaglia al Valor Militare.-  
Al termine di tutto ha avuto una vita “normale”: ha ripreso a fare l’operaio nel pastificio ove lavorava prima di arruolarsi, che nel frattempo aveva cambiato nome in “Filippone”; ha conosciuto mia nonna CERVONE Annunziata, di Polla (SA); ha avuto due figli, mia madre Carla e suo fratello Domenico e quattro nipoti. Ma non passava un solo giorno senza che si soffermasse almeno per qualche minuto davanti al suo medagliere, o lo mostrasse a qualcuno. Forse per ricordarsi cosa aveva passato, oppure semplicemente per l’orgoglio, che alberga in ognuno di noi. Ora lo conservo gelosamente io: si tratta del primo oggetto della mia collezione, che ha alimentato questo mia passione, ovvero dare voce, ai soldati, agli uomini semplici, a tutti coloro che hanno combattuto.-
Le medaglie presenti sono, in ordine da sinistra verso destra: croce al merito di guerra, campagna 1940/1943, croce di spedizione in Russia (detta anche “croce di ghiaccio”), medaglia di minorato di guerra.
Giuseppe Chirico
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