Che cosa significano le parole dell’inno di Mameli

Tutti sono in grado di canticchiarne qualche strofa. Ma pochi sanno “decodificarne” il testo. Anche perché usa un linguaggio arcaico ed è pieno di richiami al nostro passato.

Quest'estate, tra Campionato Europeo di Calcio e Olimpiadi, abbiamo fatto una scorpacciata dell'Inno d'Italia, l'Inno di Mameli. Ma qual è la sua origine e quale il significato delle sue parole?Dal 12 ottobre 1946, l’inno nazionale d’Italia è il Canto degli Italiani, scritto nell’autunno del 1847 dallo studente e patriota genovese Goffredo Mameli, e musicato a Torino da un altro genovese, Michele Novaro.

Nato in un clima di fervore patriottico che preludeva alla guerra contro l’Austria, l’inno presenta numerosi riferimenti storici del passato, che richiedono però una lettura attenta e circostanziata per una più corretta comprensione del testo. Ecco le nostre spiegazioni, strofa per strofa.

Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.

Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano (253-183 a. C.), fu il generale e uomo politico romano vincitore dei Cartaginesi e di Annibale nel 202 a. C. a Zama (attuale Algeria); la battaglia decretò la fine della seconda guerra punica, con la schiacciante vittoria dei Romani. L’Italia, ormai pronta alla guerra d’indipendenza dall’Austria, si cinge figurativamente la testa dell’elmo di Scipione come richiamo metaforico alle gesta eroiche e valorose degli antichi Romani.

Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.

Si riferisce all’uso antico di tagliare i capelli alle schiave per distinguerle dalle donne libere; queste ultime, per sottolineare il loro stato, erano solite tenere i capelli lunghi. La dea Vittoria rappresentata come una donna dai lunghi capelli, dovrebbe quindi porgere la chioma perché le venga tagliata in segno di sottomissione a Roma: il senso della quartina è la certezza di Mameli che, in caso di insurrezione contro gli austriaci, la Vittoria non potrà che essere degli italiani perché è il destino che così vuole.

Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

La coorte era un’unità da combattimento dell’esercito romano, composta da 600 uomini: era la decima parte di una legione. “Stringiamci a coorte” vuole dunque essere un’esortazione a presentarsi senza indugio alle armi, a rimanere uniti e compatti, disposti a morire, per la liberazione dall’oppressore straniero.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Si tratta di un richiamo al desiderio di raccogliersi sotto un’unica bandiera: speranza (speme) di unità e di ideali condivisi per un’Italia, quella del 1848, ancora divisa in sette Stati (Regno delle due Sicilie, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo-Veneto, Ducato di Parma, Ducato di Modena).

Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Mameli era un mazziniano convinto e in questa strofa interpreta il disegno politico del fondatore della “Giovine Italia”: quello di arrivare, attraverso l’unione di tutti gli Stati italiani, alla realizzazione della repubblica. “Per Dio” è un francesismo (e non un’imprecazione), che significa “attraverso Dio”, “da Dio”, qui inteso come sostenitore dei popoli oppressi.

Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,

La battaglia di Legnano, del 1176, è quella in cui la Lega Lombarda, al comando di Alberto da Giussano, sconfisse Federico I di Svevia, il Barbarossa. A seguito della sconfitta l’imperatore, sceso in Italia per affermare la sua autorità, fu costretto a rinunciare alle sue pretese di supremazia; scese dunque a patti con le città lombarde, con cui stipulò una tregua di 6 anni, a cui seguì nel 1183 la pace di Costanza in cui dovette riconoscere le autonomie cittadine.

Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,

Si fa riferimento all’eroica difesa della Repubblica di Firenze che tra il 12 ottobre del 1529 e il 12 agosto del 1530 venne assediata dall’esercito imperiale di Carlo V d’Asburgo. Nel corso dell’assedio, il capitano Francesco Ferrucci venne ferito a morte, e finito da Fabrizio Maramaldo, un capitano di ventura al soldo dell’esercito imperiale, il cui nome è diventato sinonimo di “vile” e al quale Ferrucci rivolse le parole “Tu uccidi un uomo morto”. Il 12 agosto i fiorentini firmarono la resa che li sottometteva nuovamente ai Medici.

I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,

Il richiamo a tutte le genti d’Italia è al valore e al coraggio del leggendario Balilla, il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese: si tratta del soprannome del fanciullo, forse un certo Giambattista Perasso, che il 5 dicembre 1746 scagliò una pietra contro un ufficiale, dando l’avvio alla rivolta che portò alla liberazione della città

Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

“Il suon d’ogni squilla” significa “il suono di ogni campana”. L’evento cui fa riferimento Mameli è quello dei “Vespri Siciliani”: nome dato al moto per cui la Sicilia insorse dopo 16 anni di dominio angioino (francese) e si diede agli aragonesi (spagnoli). All’ora dei vespri del lunedì di Pasqua del 31 marzo 1282 tutte le campane si misero a suonare per sollecitare il popolo di Palermo all’insurrezione contro i francesi.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

L'Austria degli Asburgo (di cui l’aquila bicipite era il simbolo imperiale) era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie di cui erano piene le file dell’esercito imperiale) e Mameli chiama un’ultima volta a raccolta le genti italiche per dare il colpo di grazia alla dominazione austriaca con un parallelismo con la Polonia. Tra il 1772 e il 1795, l’Impero austro-ungarico, assieme alla Russia (il “cosacco”) aveva invaso la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi, l’italiano e il polacco, può trasformarsi in veleno attraverso la sollevazione contro l’oppressore straniero.