Charles Lightoller, una vita per mare
Nato nella cittadina di Chorley, nella contea del Lancashire, il 30 marzo 1874, fin da ragazzo entrò in contatto con la dura realtà di tutti i giorni: abbandonato dal padre, che fuggì in cerca di fortuna in Nuova Zelanda, la madre morì a causa di alcune complicanze avvenute durante il parto. Fu così che, ad appena tredici anni, si arruolò nella marina mercantile: imbarcato sulla Pimrose Hill e poi sulla Holt Hill, passò i primi anni tra le vastità degli oceani, tra l’Atlantico ed il Pacifico. Capì, anche, che la vita del marinaio poteva essere altrettanto dura di quella sulla terraferma: a seguito di due violente tempeste, infatti, la piccola Holt Hill dovette trovare riparo a Rio de Janeiro, proprio quando una violenta epidemia di vaiolo imperversava nella città. La seconda burrasca causò l’arenamento della nave e lo sbarco dell’equipaggio sull’Isola di Saint Paul, in Oceano Indiano: era il 13 novembre 1889 e ad appena quindici anni poteva già vantare una notevole esperienza.
Da questo momento in poi, per il giovane Lightoller ebbe inizio una brillante carriera nella marina mercantile di Sua Maestà britannica: notato dai suoi comandanti, tornò a servire sulla Pimrose Hill, dove ottenne la qualifica di Secondo Ufficiale di Coperta. Una nuova promozione arrivò poco dopo quando, a bordo della Knight of St. Michael, si distinse per il coraggio nello spegnimento di un pericoloso incendio scoppiato nella stiva. Nonostante una brillante carriera, dopo la promozione a Primo Ufficiale, lasciò la marina e le navi per tentare la fortuna oltreoceano: attratto dalla corsa all’oro, nel 1898 si recò nello Yukon, ma senza successo. Il mare, però, era la sua vita. Superò brillantemente gli esami di Capitano di Lungo Corso: nel 1900 iniziò a lavorare per la White Star Line, come quarto ufficiale a bordo della Medic. A bordo di questa nave si rese protagonista di una vicenda che avrebbe potuto compromettere la sua carriera: approdato il mercantile a Port Jackson, nel Sud Africa sconvolto dalle guerre boere, rubò una scialuppa assieme ad altri quattro marinai, raggiunse la fortezza di Fort Deninson e, dopo aver caricato un cannone con una palla piena di sabbia e cotone ed aver issato la bandiera boera sul forte, fece fuoco. La White Star Line si fece carico del pagamento dei danni, per lo più vetri rotti: l’impresa, però, piacque ai suoi superiori, che ne apprezzarono l’umorismo. Promosso Terzo Ufficiale, imbarcò sul Majestic e sulla Oceanic, dove conobbe il celebre Comandante Edward John Smith: nel marzo 1912 lo volle con sé come Secondo Ufficiale di Coperta per il viaggio inaugurale del Titanic.
La tragica notte del disastro, quella del 14 aprile 1912, svolse il servizio di guardia in plancia per la condotta della navigazione fino alle 22.00, preoccupato del mare piatto: se sulla rotta del Titanic si fosse trovato un iceberg, le vedette sulla coffa non avrebbero potuto sentire il classico sciabordio delle onde sulla grande massa di ghiaccio. Ritiratosi nella sua cuccetta dopo essere stato rilevato dal Primo Ufficiale William Murdoch, poco dopo le 23.40 venne fatto chiamare per raggiungere il Comandante Smith e gli altri ufficiali in plancia: informato dell’impatto, e resosi consapevole che la nave era ormai perduta, venne incaricato di calare le scialuppe del lato sinistro. Si attenne così scrupolosamente agli ordini di far imbarcare inizialmente soltanto donne e bambini, che rimandò indietro anche il passeggero più facoltoso a bordo, il milionario statunitense John Jacob Astor IV. Solo quando il Comandante diede l’ordine generale di abbandonare la nave, e assicuratosi che tutte le scialuppe fossero in mare, saltò nel nero oceano ghiacciato: raggiunse a nuoto una scialuppa rovesciata assieme ad una trentina di naufraghi. Quando, la mattina seguente, sebbene quasi congelato e in uno stato di profonda ipotermia, giunse sul luogo del disastro il Carpathia, volle essere l’ultimo a venire tratto in salvo, preoccupato prima di tutto dello stato dei superstiti.
Passarono due anni dalla tragedia del Titanic che subito un’altra, ben peggiore, sconvolse il mondo: la Prima Guerra Mondiale. Come ufficiale della riserva, fu dapprima imbarcato sulla Torpediniera HTMB 117, per poi assumere il comando del Cacciatorpediniere HMS Garry. E fu durante una missione di guerra, che si distinse nuovamente per il suo coraggio e la sua abilità marinaresca: individuato, il 1° settembre 1917, un sommergibile tedesco, l’UB-110, lo costrinse all’emersione grazie all’utilizzo di cariche di profondità, per poi affondarlo dirigendosi a tutta velocità contro di esso e speronandolo. Questa azione gli valse il conferimento della Distinguished Service Cross, una delle più alte onorificenze britanniche concesse per atti di coraggio di fronte al nemico. Ritiratosi dal servizio dopo la fine del conflitto, si diede all’edilizia, settore in cui ottenne un discreto successo: quando, però, la sua Inghilterra ebbe nuovamente bisogno di lui, non si tirò indietro. Utilizzando il suo yacht a motore, partecipò alle operazioni di soccorso per evacuare il British Expeditionary Force dalle spiagge attorno Dunkerque, ormai accerchiato dall’esercito tedesco. Morì l’8 dicembre 1952 a causa di un infarto: nel 1903 aveva sposato Sylvia Hawley-Wilson, conosciuta durante il servizio a bordo della Suevic e dalla quale ebbe ben cinque figli. Due di essi, purtroppo, morirono nel corso della Seconda Guerra Mondiale: Herbert Brian, pilota della RAF, venne abbattuto nei cieli della Germania la prima notte dell’entrata in guerra della Gran Bretagna, mentre Frederick Roger, arruolato nella Royal Navy, morì in Francia l’ultimo mese di guerra.