Oggi Carzano è un piccolo comune di appena 506 anime, immerso nella stupenda cornice della Valsugana, facente parte della Provincia Autonoma di Trento, ma durante il primo conflitto mondiale, nel luglio 1917, fu teatro di uno scontro tra le forze italiane e quelle austro-ungariche, che avrebbe potuto costituire una svolta per le intere operazioni belliche: per gli Austriaci si trattò di una sciagura scongiurata, per gli Italiani di una vera e propria occasione sprecata. Tutto ebbe inizio con un tradimento, quello perpetrato dal Tenente Ljudevit Pivko, sloveno, comandante del V Battaglione bosniaco schierato sul fronte di Carzano, che passò segretamente agli uomini del Maggiore Cesare Pettorelli Lalatta, Vice Capo del Servizio Informazioni della Prima Armata, le informazioni sulle forze dell’Imperial Regio Esercito Austro-Ungarico, nonché i relativi punti deboli delle linee, soprattutto dove sarebbe stato conveniente concentrare l’attacco, per lo sfondamento e la successiva avanzata in Valsugana con direzione Trento. Assieme al Tenente Pivko, fervente patriota che sognava di staccarsi dal giogo austriaco, erano quasi una trentina gli uomini pronti a passare dalla parte italiana: gli incontri clandestini con il Maggiore Lalatta ebbero inizio il 12 luglio 1917, quando furono presi i primi contatti e gettate le basi della futura collaborazione. Quando, poi, il Servizio Informazioni italiano ebbe la conferma delle notizie fornite dai Bosniaci prese idea di quello che è passato alla storia come il Sogno di Carzano.
Nei piani, oltre 40.000 soldati del Regio Esercito furono concentrati in questa parte del fronte, trasportati segretamente con autocarri e su ferrovia: ai reparti incaricati di penetrare tra le linee austriache venne anche fornita la parola d’ordine che dovevano riferire alle sentinelle, così da coglierle di sorpresa. L’azione scattò nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1917, non prima che alcune bottiglie di vino “allungate” con dell’oppio, e consegnate a Pivko, avessero fatto sprofondare gli uomini del battaglione bosniaco in un sonno profondo. Oltre a ciò, per facilitare l’avanzata, i traditori sloveni avevano illuminato con dei riflettori il loro settore e tagliato il filo spinato dei reticolati, permettendo una più rapida penetrazione di 1500 soldati delle avanguardie italiane. Ma qualcosa andò storto: alle 02.00 di notte, una sentinella riuscì a sparare alcuni colpi prima di venire sopraffatta, richiamando l’attenzione del grosso delle forze imperiali. Iniziò così un violento fuoco d’artiglieria, che tagliò in due le forze italiane.
A peggiorare la situazione, le truppe di rinforzo non riuscirono ad uscire dalle trincee, bloccate dal fuoco di sbarramento austriaco; per di più, gli uomini che si trovavano già nei sobborghi di Carzano, non conoscendo affatto la zona, caddero uno dopo l’altro, chi ucciso, chi fatto prigioniero, incappando in trappole disseminate sul terreno e nei drappelli austriaci di rinforzo. Quella notte caddero più di 400 soldati Italiani, quasi 300 furono i feriti e 550 vennero fatti prigionieri, per lo più appartenenti al 72° Battaglione del 20° Reggimento Bersaglieri: tra i caduti, anche il Maggiore Giovanni Ramorino che, con un manipolo di soldati, difese strenuamente le posizioni conquistate per oltre tre di combattimenti, prima di venire sopraffatto e restare ucciso in combattimento. Si guadagnò, per l’eroismo dimostrato, la Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Memoria: “Comandante di una colonna d’attacco, irrompeva di sorpresa sulle posizioni nemiche a tre chilometri dalla linea nostra, e la conquistava, facendo duecento prigionieri. Contrattaccato da forze più che doppie, opponeva accanita resistenza. Incalzato da ogni parte, isolato, privo di munizioni e di soccorsi, si votava serenamente al sacrificio piuttosto che arrendersi e, dopo tre ore di combattimento sostenuto con insuperabile valore, colpito da una scarica di mitragliatrici in pieno petto, esalava gloriosamente sul campo la sua anima valorosa. Carzano, Val Sugana, 18 settembre 1917”. Ma Carzano fu anche altro. La fallita operazione mise in luce l’impreparazione delle forze italiane: se il soldato austriaco era abituato all’iniziativa individuale, nessun ufficiale italiano ebbe il coraggio di prendere decisioni autonome. Ma anche per l’Imperial Regio Esercito Austro-Ungarico, Carzano divenne un campanello d’allarme: un conflitto che, fin dall’inizio, faceva leva sul nazionalismo, esacerbò ed esasperò i singoli nazionalismi del multietnico esercito. Intanto, però, il Sogno di Carzano rimase chiuso in un cassetto e presto le forze italiane furono travolte dall’Incubo di Caporetto.