Il 24 ottobre 1917, prima dell’alba, un micidiale bombardamento di granate dirompenti e a gas si abbatté sulle linee italiane dell’alto Isonzo, fra Plezzo e Tolmino.
Esso fu di breve durata, rispetto agli standard della guerra, e quando le fanterie austro-tedesche scattarono all’assalto delle sconvolte posizioni italiane, nelle retrovie ancora non si aveva ben chiaro il quadro della situazione: grazie alla nuova tattica dell’infiltrazione, ed ignorando le posizioni di forza italiane sui monti, nelle valli le unità d’assalto austro-tedesche sciamarono precipitandosi oltre le linee difensive italiane.
In poche ore cadde Plezzo, mentre a Volzana e a Kamno i rinforzi italiani e poi a Idersko, presi nel caos dell’avanzata nemica e del panico che aveva sconvolto le prime linee, furono rapidamente annientati in crisi di dispiegamento.
Incredibilmente, le artiglierie italiane tacevano, bloccate da ordini superiori, in attesa di un «momento buono» per colpire che non giunse mai: così intere batterie furono travolte senza aver sparato un sol colpo.
Sul Monte Nero e sul Rombon, nonostante gli attacchi chimici e le mine, gli italiani resistettero allo stremo, ma attorno a loro tutto il fronte crollava.
Solo nel pomeriggio reparti italiani ripiegati riuscirono a creare delle linee continue di resistenza, ma così dispersero le esigue forze su fronti troppo estesi, mentre il nemico con la sua nuova tattica concentrava i propri sforzi solo in pochi, selezionati punti dove inevitabilmente sfondava, rendendo inutile l’intera linea.
La caduta del Colovrat e poi l’accerchiamento del Matajur pregiudicarono ogni ulteriore difesa del settore centrale della 2a Armata, che dovette ritirarsi dalla Bainsizza.
A sera Cadorna ordinava di resistere sulla linea Sabotino-Montemaggiore, in attesa di ripiegare sul Tagliamento, ma proprio mentre questa linea si consolidava, cadeva Montemaggiore.
Era la rotta, che si arresterà solo sul Piave.
Esso fu di breve durata, rispetto agli standard della guerra, e quando le fanterie austro-tedesche scattarono all’assalto delle sconvolte posizioni italiane, nelle retrovie ancora non si aveva ben chiaro il quadro della situazione: grazie alla nuova tattica dell’infiltrazione, ed ignorando le posizioni di forza italiane sui monti, nelle valli le unità d’assalto austro-tedesche sciamarono precipitandosi oltre le linee difensive italiane.
In poche ore cadde Plezzo, mentre a Volzana e a Kamno i rinforzi italiani e poi a Idersko, presi nel caos dell’avanzata nemica e del panico che aveva sconvolto le prime linee, furono rapidamente annientati in crisi di dispiegamento.
Incredibilmente, le artiglierie italiane tacevano, bloccate da ordini superiori, in attesa di un «momento buono» per colpire che non giunse mai: così intere batterie furono travolte senza aver sparato un sol colpo.
Sul Monte Nero e sul Rombon, nonostante gli attacchi chimici e le mine, gli italiani resistettero allo stremo, ma attorno a loro tutto il fronte crollava.
Solo nel pomeriggio reparti italiani ripiegati riuscirono a creare delle linee continue di resistenza, ma così dispersero le esigue forze su fronti troppo estesi, mentre il nemico con la sua nuova tattica concentrava i propri sforzi solo in pochi, selezionati punti dove inevitabilmente sfondava, rendendo inutile l’intera linea.
La caduta del Colovrat e poi l’accerchiamento del Matajur pregiudicarono ogni ulteriore difesa del settore centrale della 2a Armata, che dovette ritirarsi dalla Bainsizza.
A sera Cadorna ordinava di resistere sulla linea Sabotino-Montemaggiore, in attesa di ripiegare sul Tagliamento, ma proprio mentre questa linea si consolidava, cadeva Montemaggiore.
Era la rotta, che si arresterà solo sul Piave.