Nasce a Roma nel 1882. Appena quattordicenne si arruolò nella Regia Marina divenendo elettricista scelto. Congedatosi, passò, in qualità di fuochista nelle Ferrovie, che fu costretto a lasciare a seguito di un grave incidente che gli costò l'amputazione della gamba sinistra.
Nonostante la grave menomazione, non si scoraggiò, indirizzando la vita su altri interessi.
Si dilettò, mentre continuava gli studi interrotti da ragazzo, nell'inventare oggetti per la vita quotidiana (una benda di sicurezza per cavalli, uno spazzolino protettore per biciclette, cimeli regolarmente brevettati e tuttora custoditi presso il Museo dei Bersaglieri).
Un altro aspetto singolare della vita di Enrico Toti, fu la sua passione per i viaggi.
Nonostante privo di una gamba, con la sua bicicletta si accinse a "traversate" in terre lontane che ancora oggi destano stupore e meraviglia considerando le difficoltà dei tempi e soprattutto la sua menomazione.
Partì dall'Italia con pochi mezzi finanziari incontrando moltissime difficoltà.
Nei suoi scritti così descrive la situazione al 9 gennaio 1912: "Sono rimasto bloccato dal ghiaccio per due giorni in una casetta di campagna e dopo 15 km di cammino sono giunto a Streinstrasse cadendo per la via più di 20 volte; ma sono cadute leggere e sulla neve non mi faccio nulla; mi rialzo e via, di nuovo in cammino".
Il suo viaggio fu però interrotto. Giunto, infatti, fino al centro del Sudan, superando mille ostacoli con la sua bicicletta e solo con la sua forza d'animo, gli fu negato dalle Autorità britanniche il permesso di proseguire solo, senza scorta e senza carovana come egli avrebbe desiderato. A malincuore tornò in Italia.
Qui si dedicò all'impianto di un'industria di lavori in legno, che egli stesso eseguiva e che gli procurarono una vita agiata e tranquilla. Siamo ormai giunti al 1914.
Lo scoppio delle ostilità gli fece sentire, forse per la prima volta, il peso della sua menomazione.
Arrivò perfino a vestire l'uniforme di sua iniziativa, per partire per il fronte.
Diceva alla sua famiglia "Mi raccomanderò tanto finché dovranno far combattere anche me; mi sento con tanta forza e tanta energia che mi parrebbe una viltà rimanere inoperoso mentre lassù posso essere utile anch'io".
Partì ed arrivò nella zona di guerra con tutto il necessario per aggregarsi agli Alpini.
Non poté però arrivarci, a causa del fuoco nemico. Andò in trincea, sperando di venire aggregato in qualche corpo ove prestare la sua opera volontaria.
Per rendersi utile catturava i fucili austriaci e le munizioni, che portava al Comando a Cervignano. Fu vicino a Gorizia, a Sagrato, sulla collina di Castelnuovo, nei più feroci combattimenti, verificando, con la sua inseparabile bicicletta, se i fili telefonici erano efficienti e sperando sempre di catturare qualche spia.
Ma il suo comportamento così spericolato, costrinse il Comando a farlo tornare a Roma e rimanere lì finché non avesse ottenuto una regolare autorizzazione del Ministero della Guerra. Ottenne così di far parte del 3° Battaglione Bersaglieri Ciclisti.
Dal fronte iniziò a scrivere lettere patriottiche alla famiglia, agli amici, ai giornali.
Prese parte a tutti i combattimenti con valore e coraggio. Scrisse di Lui il suo Comandante nell'agosto del 1916: "Nelle giornate di combattimento rendeva servizi preziosi ai combattenti, ma dove si mostrò instancabile è stato nel parlare di amor patrio ai bersaglieri".
Il 6 agosto 1916 volle a tutti i costi seguire i suoi commilitoni a quota 85, sopra Monfalcone.
Fu subito in trincea fra i primi, lottando tenacemente. Ferito continuò a lottare, incitando i suoi commilitoni; ferito una seconda ed una terza volta, cadde lanciando al nemico la sua gruccia.
La sua salma, deposta inizialmente nel cimitero di Monfalcone, il 24 maggio 1922 fu trasportata a Roma, dove ricevette solenni funerali.
Fu eretto a sua memoria un monumento bronzeo in Roma, sua città natale, nei giardini del Pincio.
A sua memoria, il 27 agosto 1916, fu concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione:
"Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d'arme dell'aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all'occupazione di quota 85 (est di Monfalcone). Lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell'anima altamente italiana. Monfalcone, 6 agosto 1916."