Notiziario: ALESSANDRO TANDURA

ALESSANDRO TANDURA

 IL PRIMO PARACADUTISTA SABOTATORE DELLA STORIA
Siamo proprio un popolo strano! Sempre pronti ad entusiasmarci alle imprese belliche degli altri, ma anche sempre pronti a dimenticare le nostre, forse per paura di essere tacciati di “militarismo”, anche quando si tratta di atti eroici che testimoniano l’attaccamento alla nostra terra.
Prendiamo la vicenda del trevigiano Alessandro Tandura, classe 1893, che va ricordato per essere stato, oltre 90 anni fa, in assoluto il primo soldato paracadutato dietro le linee nemiche per raccogliere informazioni e sabotare le linee di rifornimento austriache. Un’impresa che oggi verrebbe compiuta a truppe speciali, super addestrate e super attrezzate, ma che nell’estate del 1918 fu affidata ad un tenentino di 25 anni degli Arditi privo di esperienza di spionaggio.
L’importanza della sua impresa è nelle poche e secche parole con cui il tenente colonnello Dupont, capo dell’Ufficio Informazioni dell’allora VIII Armata, gli illustrò l’operazione al limite del suicidio: «Noi abbiamo bisogno di gente che si infiltri tra le file del nemico per osservare e riferire. Il compito è estremamente difficile, non glielo nascondo. Ma io conosco gli ufficiali veneti, so quanto stia loro a cuore di prendere la rivincita di Caporetto. Non entro nei particolari dell’impresa: tenente Tandura, si sente di accettare quanto le propongo?».
Tandura accetta ma non sa ancora come sarà portato al di là delle linee nemiche. Due giorno dopo il colloquio con Dupont gli offrono tre opzioni: 1) passare per il Piave di notte, vestito da austriaco, mediante dei fili tesi da sponda a sponda tra Pederobba e Grave di Ciano; 2) atterrare con un aeroplano in una località delle terre invase; 3) lasciarsi cadere per mezzo di un paracadute da un aereo.
L’aeroplano, il fascino del volo, lo spirito di avventura, la voglia di rivedere al più presto i suoi cari che abitano proprio nella zona dell'operazione nei pressi di Vittorio Veneto, gli fanno scegliere la terza soluzione. Ha solo una richiesta: vedere come funziona il paracadute. Gli rispondono che «gli apparecchi non sono nostri, bensì del comando inglese, che ne ha a disposizione pochissimi e costano assai. Ma non abbia timore, dopo 200 metri si aprono … infallibilmente».
A capofitto nel vuoto
Dopo le necessarie istruzioni, la notte tra il 9 e 10 agosto 1918, sui cieli al di là del Piave avviene il primo lancio al mondo in azione di guerra. Poco prima della mezzanotte del 9 agosto all’aeroporto di Villaverde in provincia di Vicenza, è pronto un Savoia-Pomilio SP3, bimotore da ricognizione, pilotato dal capitano della RAF Ben Wedgwood e affiancato dal maggiore canadese Barker in qualità di ufficiale osservatore.
Nella parte posteriore dell’aereo è stato montato un sedile ribaltabile per mezzo di una leva manovrabile dal pilota o dall’osservatore, situati a prua del veicolo. Il “passeggero” viaggia con i piedi penzoloni nel vuoto e con la schiena rivolta alla direzione del volo, impossibilitato a comunicare con l’equipaggio, nell’attesa che all’improvviso il suo sedile venga ribaltato ed inizi così la caduta.
Il paracadute, racchiuso in un involucro sistemato sotto la fusoliera e collegato per mezzo di una fune al cinturone del tenente (che prima del volo ha bevuto un bicchierino di grappa … per darsi la carica), si sarebbe sganciato ed aperto a causa del peso del corpo che precipita nel vuoto.
In una lettera inviata nel 1919 all’amico torinese Cesare Schiapparelli così Tandura descrive la sua avventura:«Mi pareva di sognare a trovarmi a quell’altezza e quando meno me l’aspettavo, mi sono sentito precipitare nel vuoto. Ho alzato gli occhi ed ho visto per la prima volta il paracadute aperto. Ho guardato giù ed ho cominciato a scorgere località a me ben note».
L’impatto con il terreno avviene, dopo aver sfiorato i filari del vigneto, nell’orto del parroco di San Martino di Colle Umberto, mentre la discesa era programmata in quel di Sarmede, ma un forte temporale aveva fatto saltare i piani.
Da quel momento comincia l’azione che lo porterà sul Col Visentin dove, attraverso piccioni viaggiatori, il tenente Tandura, grazie anche all’aiuto della sorella Emma e della fidanzata Emma Metterle, entrambe decorate di medaglia d’argento al valore militare, si manterrà in costante contatto con il comando italiano, consentendo all’VIII Armata di «entrare in azione con la piena coscienza delle unità che aveva di fronte e della loro dislocazione», come scrisse nel suo rapporto il generale Caviglia.
Da parte sua, il capitano Vedgwood, divenuto dopo la guerra deputato di sua Maestà britannica, nel libro pubblicato nel 1919 sulla prima guerra mondiale scrive: «Non ho mai visto un uomo più coraggioso di questo piccolo (Tandura non raggiungeva il metro e 60, ndr) soldato italiano, il più valoroso soldato del mondo». 
Da disertori ad eroi...
In quell’operazione di spionaggio che dura dal 10 agosto al 30 ottobre, Alessandro Tandura (che viene catturato dagli austriaci due volte e due volte riesce a fuggire rocambolescamente) s’impegna in un compito non richiesto ma importantissimo sul piano umano: quello di ridare dignità di combattenti a tutti quelli sbandati, a quei disertori o soltanto fuggiaschi che, dopo Caporetto, erano stati tagliati fuori dai combattimenti e non erano riusciti, o non avevano neanche tentato, a ricongiungersi con i propri reparti, dandosi alla macchia in attesa di tempi migliori.
Dopo la guerra non sono pochi quelli che devono la vita al giovane ufficiale degli Arditi per le testimonianze che egli fornisce ai vari comandi sul fatto che molti giovani non erano disertori, ma soltanto sbandati, invocando il fatto che sotto la sua guida si erano organizzati in vere e proprie “bande armate” che costituirono un importante reparto alle spalle degli austriaci, sabotando ponti e ferrovie per far deragliare treni di munizioni e soldati, modificare la segnaletica stradale per creare caos nei trasporti del nemico: un anticipo di quella che poco meno di trent'anni anni dopo farà la Resistenza.
Quando il 30 ottobre si scatenò la battaglia decisiva con lo sfondamento del Piave, le tante “bande” costituite dal Tandura stringeranno gli austriaci nella morsa creata a sud dalle avanguardie dell’esercito italiano ed a nord, appunto, dalle bande.
Alessandro Tandura morirà a Mogadiscio il 29 dicembre del 1937, dopo aver descritto la sua avventura in “Tre mesi di spionaggio oltre Piave. (Antonio Pocobello)