Addio a Piero Terracina, tra gli ultimi sopravvissuti di Auschwitz. Il ricordo di Mattarella e Segre. "Testimone instancabile"
Aveva 91 anni. Sfuggito al rastrellamento del ghetto di Roma, fu arrestato nel '44. Fu l'unico della sua famiglia a tornare vivo dal campo di sterminio. Il cordoglio su Twitter: "Era un uomo libero"
di GAIA SCORZA BARCELLONA
E' morto a Roma a 91 anni Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti al più grande campo di sterminio nazista. "All'Inferno ci sono stato, si chiama Auschwitz-Birkenau", aveva detto qualche anno fa alla platea dell'Auditorium Paganini di Parma che lo aveva accolto per non dimenticare. "La Memoria - raccontò sul palco l'ex deportato - è quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro: ecco perché è necessario fare memoria del passato, perché quel passato non debba mai più ritornare".
La vita, i ricordi, la testimonianza
Nato a Roma il 12 novembre 1928, Terracina aveva due fratelli (Leo e Cesare) e una sorella (Anna), mai tornati dalla Germania. La sua famiglia viveva in piazza Ippolito Nievo, a Trastevere, e riuscì a scampare ai raid delle SS, vivendo in clandestinità dal 12 ottobre del 1943 fino a quando fu deportata. "Io e i miei fratelli andavamo in cantina dove avevamo sistemato alcune tavole per dormire, ma di giorno dovevamo uscire per poter trovare i denari per sopravvivere", raccontava Terracina con voce ferma in una intervista del 1992, come sempre quando rimetteva insieme i pezzi della sua vita da sfollato, deportato, sopravvissuto. Senza mai dimenticare l'umanità: "All'inizio pensavamo che avrebbero risparmiato anziani e donne". Ma non fu così.
Piero ebbe modo di raccontare i fatti tante volte, in pubblico, ai giovani, fino ai giorni nostri. Fu questo il suo più grande regalo da sopravvissuto. E le sue testimonianze erano sempre pacate, ragionate, dall'inizio alla fine. Un album di ricordi che non ha mai smesso di condividere. La sera del 7 aprile 1944, tutti riuniti per festeggiare la Pasqua ebraica, Piero Terracina, allora 15enne, viene portato da quattro persone in borghese a Regina Coeli con la sua famiglia, quindi nel campo di Fossoli a Carpi, vicino Modena. A Roma "ci fecero salire su un'ambulanza con due tedeschi a bordo. 'Non vi preoccupate,' - ci dissero i fascisti che avevano seguito mia sorella per stanarci - 'basta che ci diciate dove avete nascosto i gioielli'. Ma noi non avevamo più nulla". "Ragazzi, qualsiasi cosa succeda, siate uomini - ci disse mio padre faccia al muro, nel carcere - Dignità soprattutto".
Del trasferimento in camion - una lunga fila - da Prima Porta verso i campi di concentramento ("Quando vedemmo che c'erano anche le donne, lì per lì, la cosa ci sollevò il morale") Terracina rammentava la tappa obbligata per "costringerci in massa a fare i bisogni prima del viaggio, con i mitra spianati contro di noi e le urla in tedesco che non capivamo". Fu la prima immagine cruda e realistica della morte cui si andava incontro. A Carpi la prigionia durò un mese: "Il fango di Fossoli non si staccava dalle scarpe e non si riusciva a camminare, un ricordo che sarebbe tornato spesso nei miei incubi anche dopo il ritorno".
"I prigionieri non lavoravano, ma imparai come dovevo morire: vidi un ufficiale sparare un colpo in testa a un deportato che conoscevo. Fu la prima morte che vidi nella mia vita". Comincia così il viaggio che li porterà ad Auschwitz. Sul percorso, a Siena, ci fu un bombardamento e uno dei deportati riuscì a fuggire. Una volta ripartiti da Fossoli, dopo giorni di fame e di fatica, "ci ricordarono che se qualcuno avesse provato a fuggire, i familiari sarebbero stati tutti uccisi, così come altre dieci persone del carro". "Non era tanto la fame, ma la sete a sfiancarci: si sentivano i lamenti dai carri, soprattutto dei bambini. Sul nostro eravamo in 64, e non venivano mai aperti: facevamo tutti i bisogni a bordo".
Separato dai fratelli, ad Auschwitz non vide più i genitori e il nonno di 85 anni. "Svestiti, depilati, tatuati. Senza scarpe. Stipati a rispondere alle domande incalzanti di persone vestite che ci dicevano che i fumi del camino erano già i nostri cari", questo l'arrivo al campo di concentramento dove le punizioni cominciarono subito. "Ho pianto in una sola occasione: quanto i miei fratelli mi raggiunsero la sera dopo il lavoro e mi dissero che mio zio, entrato con noi al campo, era stato selezionato per andare a morire nelle camere a gas. Mi riferirono che aveva detto di non essere tristi per lui, perché le sue sofferenze sarebbero finite presto", ricordava.
"I ragazzi del blocco 29"
Terracina finì in una baracca dove a Birkenau venivano stipati i minori di 18 anni. Debilitato dal lavoro ("Era sfiancante, lavorammo tutta l'estate con i picconi: per bere solo fanghiglia dal terreno a smorzare la sete, ma c'era chi non resisteva"), fu ricoverato nell'ospedale del campo. Il 19 gennaio 1945 venne evacuato insieme ai pochi prigionieri rimasti. Durante la marcia le sentinelle SS si diedero alla fuga per sfuggire alle truppe russe che avanzavano. Piero cercò un riparo dal freddo e raggiunse il campo di Auschwitz, ormai abbandonato: "Il freddo era terribile e la misera coperta che avevamo noi pochi rimasti gelava all'altezza della bocca, diventando un blocco di ghiaccio". Qui venne liberato il 27 gennaio 1945 dalle truppe sovietiche.
Il cordoglio e i messaggi di addio
"Testimone instancabile della memoria della Shoah", così lo ricorda il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella esprimendo "Ai suoi familiari e alla comunità ebraica di Roma sentimenti di vicinanza e di cordoglio". "Un faro in tempi odio e negazionismo" per la Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni che scrive: "Caro Piero, prendere commiato da te, dalla tua vita, dal tuo sorriso e dalla tua voce è straziante. Sei stato un gigante, un uomo formidabile capace di gettare il cuore oltre ogni ostacolo. (...) Continueremo in
questo tuo cammino ad esigere verità e dignità per ogni essere che tu abbracciavi con la tua fede".
"La Comunità Ebraica di Roma piange la scomparsa di un baluardo della Memoria - scrive Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma - Piero Terracina ha rappresentato il coraggio di voler ricordare, superando il dolore della sua famiglia sterminata e di quanto visto e subito nell'inferno di Auschwitz, affinché tutti conoscessero l'orrore dei campi di sterminio nazisti. Oggi piangiamo un grande uomo e il nostro dolore dovrà trasformarsi in forza di volontà per non permettere ai negazionisti di far risorgere l'odio antisemita". Lo ricorda su Twitter, citando Primo Levi, anche il presidente del Consiglio Guiseppe Conte.
Tanti i messaggi di cordoglio dal mondo della politica, e non solo, sui social. "Le sue parole continueranno a vivere negli occhi dei tanti ragazzi che ha incontrato in questi anni - scrive su Facebook il segretario del Pd Nicola Zingaretti -. Piero era una persona libera anche nel denunciare omissioni e silenzi di questi anni. Il suo rigore, il suo dolore, la sua inquietudine nel vedere il ritorno di segnali pericolosi devono essere per noi spinta all'impegno".
"Il mio cuore è pieno anche di riconoscenza per il privilegio di avere ascoltato le sue parole e la sua testimonianza. - sono le parole di Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia - Nonostante il male subito, Piero Terracina ha dedicato gran parte della sua vita a combattere per il bene dell'umanità e perché l'orrore non tornasse mai più. Che il suo ricordo sia di benedizione".