Vigilia elettorale negli Stati Uniti - Il repubblicano Hughes e il democratico Presidente in carica Wilson sono punto a punto
Possono i campi di battaglia passare in secondo piano? Sì, possono. La notizia del giorno è senza dubbio l’indipendenza concessa alla Polonia. E questo nonostante la stampa dell’Intesa ne sminuisca il significato: “Quello austro-tedesco è soltanto un bluff liberale, una trovata per impressionare i neutri, una trappola in cui veri polacchi non cascheranno”. I giornali britannici negano l’indifferenza per la questione: “Il problema polacco è di primaria importanza e tutti gli Alleati sono interessati alla sua soluzione”. Viene rispolverato e appoggiato in toto il vecchio progetto del Granduca Nicola: “E’ più completo, affidabile e serio di quello austro-tedesco”. Bene, ma quel progetto rimase una semplice idea buttata lì, peraltro non apprezzatissima a Pietrogrado. Meglio aggrapparsi a qualcosa di più concreto: “Berlino e Vienna non possono disporre di quei territori solo perché li hanno occupati, bisognerà aspettare la fine della guerra per capire chi avrà il compito e la possibilità di stringere accordi. Il loro è un atto nullo. E il chiamare a combattere quei cittadini polacchi contro la Russia, di fatto il proprio paese, è l’ennesima, spregevole, violazione dei trattati internazionali”. Tanta carne al fuoco. Ma il 6 novembre è soprattutto vigilia elettorale negli Stati Uniti e mai come a questo giro l’esito è stato tanto incerto e i pronostici così impossibili. Lo sfidante repubblicano Charles Evans Hughes e il democratico Presidente in carica Woodrow Wilson sono punto a punto. Teddy Roosevelt lancia l’ultimo, infiammato e bellicoso endorsement per Hughes e attacca Wilson: “Avremmo bisogno di un Washington, di un Lincoln, ma abbiamo solo un Buchanan. […] Accuso Wilson di aver imposto alla nazione una maschera di vergogna. Lui rivendica il merito di aver conservato la neutralità quando, nel caso del Belgio e del Lusitania, la neutralità avrebbe rivoltato persino Ponzio Pilato. Wilson è incapace di far pagare il conto alla Germania. Se lo rieleggessimo il mondo ci prenderebbe per una nazione sordida, pronta ad accettare tutti gli insulti, compreso l’assassinio, purché si guadagnino dollari”. Teddy, bene la grinta, ma forse sarebbe il caso di ascoltare i discorsi di Hughes: “Sono per la pace, odio la guerra. Il voto per me non è un voto per la guerra, ma per il mantenimento dei diritti americani su terra e per mare, dinnanzi alle nazioni del mondo intero”. Già, il candidato repubblicano deve fare i conti con la maggioranza dell’elettorato americano, gente normale, semplice, senza la minima intenzione di farsi trascinare in un conflitto lontano. Gli Stati Uniti vivono un periodo di prosperità, perché andare a caccia di guai? Da questo punto di vista Hughes e Wilson la pensano più o meno allo stesso modo: neutrali finché si può. Gli esteri hanno sempre interessato poco gli americani. Il vero scontro è sul piano economico: Hughes protezionista, Wilson liberista. Stoccata dello sfidante: “La prosperità attuale non è dovuta al Governo, ma è artificiosa ed effimera. E’ una fortuita conseguenza della guerra e con la sua fine cesserà. Il partito democratico è incompetente ad affrontare i problemi che sorgeranno allora”. Parata e risposta del Presidente: “Solo il partito democratico può garantire pace, prosperità e riforme al paese. I repubblicani rappresentano le peggiori tendenze reazionarie e plutocratiche”.
Davide Sartori
Davide Sartori