Il territorio fermano e la sua popolazione conobbe, come le altre provincie marchigiane, fenomeni di violenza da parte delle forze nazifasciste che spesso seguivano una vera e propria strategia del terrore, volta a minare il rapporto di sostegno tra i civili e i ribelli.
A Montegiorgio, venti chilometri verso l’interno, la notte tra il 3 il 4 marzo 1944 fu aperto, con l’aiuto dei partigiani, un silos di grano da cui la popolazione approvvigionò. La mattina seguente i carabinieri intervennero sedando la situazione ma dato che la notizia si era già sparsa nel circondario, molta gente continuò ad arrivare da tutte le località vicine. Alla fine il silos venne di nuovo forzato. A quel punto le forze dell’ordine richiesero l’aiuto di reparti tedeschi, che si presentarono insieme una banda di fascisti guidati dal noto e temuto ispettore Vinicio Vannozzi, di Porto San Giorgio. Non appena arrivarono a Montegiorgio cominciarono a sparare contro la folla. Furono colpite a morte cinque persone e una decina ferite più o meno gravemente (Giacomini, 2008, p.233).
Nel corso del ripiegamento nazifascista verso Nord, la zona di Caldarette Ete divenne dal 13 giugno 1944 punto di passaggio per le truppe tedesche. Il 19 giugno si verificò un tragico episodio di violenza, che la memoria popolare ricorda come “l’eccidio dei fratelli Fortuna”. Mentre un reparto di tedeschi stava minando il ponte che collega Fermo con i paesi oltre la collina, i partigiani della zona spararono contro di loro qualche colpo di mitragliatrice, scatenando di lì a poco un inferno. Messisi alla ricerca dei partigiani, i soldati si diressero verso le case lì vicino. In una di queste abitava la famiglia Fortuna, in quel momento intenta nel far colazione. Senza troppe spiegazioni prelevarono i due uomini presenti: i fratelli Giuseppe e Luigi Fortuna, erroneamente ritenuti partigiani. Costretti a uscire fuori, furono crivellati di colpi a pochi metri dall’abitazione. I corpi rimasero per tutta la giornata sul ciglio della strada perché nessuno ebbe il coraggio di spostarli. Il funerale venne celebrato solo dopo qualche giorno (Corvaro, 2001, p.93).
Quel 19 giugno morirono anche il signor Santino Serafini, bruciato vivo per aver tentato di riappropriarsi delle proprie bestie, confiscategli dai tedeschi; e Giovanni Protasi, all'epoca di soli sei anni che, colpito da una scheggia di cannonata allo stomaco, non ricevette le cure necessarie visto che il chirurgo era troppo terrorizzato per uscire di casa.
Il 20 giugno vennero uccisi nella frazione di Cascinare di Sant’Elpidio a Mare due giovani, l’elpidiense Vincenzo Borraccetti e il civitanovese Silvano Mecozzi, da un reparto di tedeschi, di stanza a Civitanova Marche.