Emilia Romagna 1943. Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore Cervi avevano all’epoca tra i 22 ed i 42 anni e furono, loro malgrado, protagonisti di uno degli episodi più drammatici rimasto scolpito nella storia dell’antifascismo.
Famiglia di estrazione contadina, la loro casa divenne un centro nevralgico, un rifugio per i prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia. Alcide, il padre, insieme a due dei suoi figli, andò oltre creando una banda partigiana che prenderà parte attiva alla Resistenza. La Guardia Nazionale repubblicana non tardò però a stroncare l’intensa attività antifascista della famiglia.
Nella notte tra il 24 e il 25 novembre 1943 un plotone di militi circondò l’edificio, in parte incendiandolo. Al termine della sparatoria i sette fratelli, dopo essersi arresi, vennero catturati e condotti al carcere politico dei Servi a Reggio Emilia. Stessa sorte toccò al padre Alcide che non volle abbandonarli. Alla fine la casa della famiglia venne completamente bruciata.
Papà Cervi era ancora in cella e non fu informato subito quando i suoi figli, insieme al loro amico Quarto Camurri, vennero condannati a morte e fucilati al poligono di tiro di Reggio, alle ore 6,30 del 28 dicembre 1943. Ufficialmente si parlò di una rappresaglia per la morte violenta del segretario del Comune di Bagnolo in Piano ed attribuita ai partigiani.
Tutti e 7 i fratelli Cervi sono stati decorati con Medaglia d'argento al valor militare.
Antonio A.