23 febbraio 1945, LA STORIA DELLA BANDIERA SUL MONTE SURIBACHI
Una delle foto di guerra più famose di sempre fu scattata il 23 febbraio 1945 da Joe Rosenthal, un fotografo di Associated Press che quel giorno si trovava sul monte Suribachi, sull’isola giapponese di Iwo Jima. Rosenthal fotografò sei soldati dell’esercito americano issare una bandiera degli Stati Uniti sulla cima della montagna, e la foto diventò rapidamente un simbolo della Seconda guerra mondiale, e successivamente una delle immagini più iconiche di tutto il Novecento.
Arrivato sulla cima, Rosenthal scoprì che in effetti una bandiera era già stata issata poco dopo le dieci di mattina, ma si stava pensando di sostituirla con una più grande. Rosenthal si mise senza successo alla ricerca dei Marines che avevano issato la prima bandiera con l’idea di fotografarli in posa: nessuno apparentemente sapeva chi fossero. Mentre li stava cercando, si accorse che altri sei soldati stavano per issare la nuova bandiera, così scattò la fotografia che sarebbe diventata celebre.
Il 25 febbraio, meno di 48 ore dal momento in cui era stata scattata, finì sulle prime pagine di moltissimi giornali, in un tempo incredibilmente breve per l’epoca. Rosenthal ricevette un messaggio di congratulazioni dalla redazione di Associated Press, ma subito non capì neanche a quale foto si stessero riferendo i suoi colleghi. L’immagine divenne rapidamente un simbolo dello sforzo dei soldati statunitensi nel Pacifico, e fu utilizzata dalla propaganda dell’amministrazione del presidente Franklin D. Roosevelt (che morì un mese e mezzo dopo) e da quella di Harry Truman. La foto vinse nel 1945 il premio Pulitzer, e fu riprodotta in vari formati: dai francobolli al memoriale dei Marines ad Arlington, in Virginia.§Il presidente Roosevelt ordinò che i sei soldati fossero identificati, e non era solo un’esigenza storica: Roosevelt voleva usare i soldati della foto per pubblicizzare la raccolta fondi per il finanziamento della guerra del Pacifico. Non era però una cosa facile: perfino i soldati che quel giorno erano stati sul monte Suribachi non erano sicuri dei nomi delle sei persone che avevano alzato la bandiera, senza contare la confusione tra quelli che lo avevano fatto la prima volta e quelli della seconda, quelli saliti dopo e quelli scesi nel frattempo.
Rene Gagnon, che si sapeva con certezza fosse uno dei sei, diede i nomi degli altri: Ira Hayes, John Bradley, rimasto ferito nei giorni seguenti, Franklin Sousley, Michael Strank e Henry “Hank” Hansen, tutti e tre morti a Iwo Jima.
Gagnon però aveva sbagliato un nome, senza volerlo: l’uomo tutto a destra non era Hansen, ma il Marine Harlon Block. La famiglia di Block, morto in battaglia, rese nota la cosa nel 1946, e un’indagine del Corpo dei Marines confermò.
Ma questo non fu l'unico errore. Nel 2014 l’Omaha World-Herald pubblicò un lungo articolo nel quale raccontò che due storici amatoriali, Eric Krelle e Stephen Foley, avevano scoperto che per settant’anni ci si era sbagliati sull’identità del soldato al centro della foto: non era John Bradley ma Harold H. Schultz.
Bradley comunque non si appropriò di un merito non suo, per cinquant’anni ha creduto che Rosenthal avesse fotografato il primo alzabandiera, e che fosse quello ad essere ritratto nella foto. Gli uomini che issarono la prima bandiera infatti furono Bradley, il primo luogotenente Harold G. Schrier, il sergente Ernest I. Thomas Jr., il sergente Henry O. Hansen, il caporale Charles W. Lindberg e il soldato semplice Philip L. Ward, ma poi ci si fidò della testimonianza di Gagnon che confuse Schultz con Bradley. A differenza della seconda bandiera, non esistono foto del momento in cui venne issata la prima. Ma per i Marines che stavano combattendo sotto la cima del monte, quello fu un momento molto più significativo: fu il primo segnale della conquista del territorio più importante dell’isola e che un giorno la sanguinosa battaglia sarebbe potuta finire.
[RM]
Fonti web:
- https://www.ilpost.it/2016/05/04/foto-iwo-jima/
- https://www.ilpost.it/…/la-storia-della-prima-bandiera-di-…/
Fonte fotografica: Associated Press/Joe Rosenthal