Era il 21 ottobre 1944 quando il Giappone sferrò il primo attacco kamikaze (letteralmente significa “vento divino”), che avrebbe dovuto portare alla sconfitta del nemico proprio come nel 1281 un tifone annientò la flotta d’invasione mongola inviata da Kublai Khan. La potenza asiatica era in evidente difficoltà e gli Alleati stavano avanzando pericolosamente verso le isole nipponiche, anche grazie all’aiuto degli Stati Uniti, che chiaramente erano schierati contro il Giappone.
Quel 21 ottobre un aereo giapponese guidato da un pilota mai identificato e carico di 200 kg di esplosivo attaccò la HMAS Australia che navigava al largo dell’Isola di Leyte (gli scontri combattuti in quell’area sono quelli della Battaglia del Golfo di Leyte) e colpì le sovrastrutture situate sul ponte. Si sparsero carburante e detriti, ma la bomba non fu innescata e di fatto la nave non andò distrutta. Ma in quel primo attacco kamikaze giapponese morirono circa 30 persone dell’equipaggio, tra questi anche Emile Dechaineux, il capitano, e John Collins, il comandante della forza australiana.
Nell’ottobre del ’44 arrivarono i primi sacrifici dei giovani patrioti pronti a dare la vita colpendo gli obiettivi militari dei nemici che minacciavano la propria nazione. I primi di una lunga serie dato che ancora oggi vengono messi in atto
I primi successi, come l'affondamento della St. Lo portarono a uno sviluppo immediato del programma e nel giro dei mesi successivi vennero lanciati oltre 2000 attacchi suicidi. Nel computo vanno compresi le azioni di guerra eseguite con le bombe razzo Yokosuka MXY7 Ohka ("Bocciolo di ciliegio", ribattezzate Baka: "folle" dagli statunitensi), pensate come una sorta di missili a guida umana e costruite appositamente per questo scopo, e gli assalti condotti con piccole barche imbottite d'esplosivo, o torpedini guidate dette kaiten.
Gli aerei kamikaze espressamente costruiti come tali, a differenza dei caccia o bombardieri in picchiata convertiti allo scopo, non possedevano meccanismi di atterraggio. Un aeroplano progettato specificamente, il Nakajima Ki-115 Tsurugi, era realizzato con una struttura in legno, semplice da costruire e pensato per utilizzare le scorte di motori rimanenti. Il carrello non era retrattile e veniva sganciato poco dopo il decollo per consentire il riutilizzo con altri aeroplani.
Un giovane pilota kamikaze riceve l'hachimaki prima di partire per la missione suicida.
Il picco dell'attività venne toccato il 6 aprile 1945 durante la battaglia di Okinawa, quando varie ondate di aeroplani condussero centinaia di attacchi durante l'Operazione Kikusui (Crisantemi galleggianti). A Okinawa gli attacchi dei kamikaze si focalizzarono all'inizio sui cacciatorpediniere in servizio di protezione e quindi sulle portaerei al centro della flotta. L'offensiva, per cui vennero utilizzati 1465 aeroplani, seminò distruzione: i resoconti delle perdite variano, ma per la fine della battaglia almeno 21 navi americane erano state affondate dai kamikaze, insieme a navi alleate di altra nazionalità e dozzine di altre erano state danneggiate.
Quel 21 ottobre un aereo giapponese guidato da un pilota mai identificato e carico di 200 kg di esplosivo attaccò la HMAS Australia che navigava al largo dell’Isola di Leyte (gli scontri combattuti in quell’area sono quelli della Battaglia del Golfo di Leyte) e colpì le sovrastrutture situate sul ponte. Si sparsero carburante e detriti, ma la bomba non fu innescata e di fatto la nave non andò distrutta. Ma in quel primo attacco kamikaze giapponese morirono circa 30 persone dell’equipaggio, tra questi anche Emile Dechaineux, il capitano, e John Collins, il comandante della forza australiana.
Nell’ottobre del ’44 arrivarono i primi sacrifici dei giovani patrioti pronti a dare la vita colpendo gli obiettivi militari dei nemici che minacciavano la propria nazione. I primi di una lunga serie dato che ancora oggi vengono messi in atto
I primi successi, come l'affondamento della St. Lo portarono a uno sviluppo immediato del programma e nel giro dei mesi successivi vennero lanciati oltre 2000 attacchi suicidi. Nel computo vanno compresi le azioni di guerra eseguite con le bombe razzo Yokosuka MXY7 Ohka ("Bocciolo di ciliegio", ribattezzate Baka: "folle" dagli statunitensi), pensate come una sorta di missili a guida umana e costruite appositamente per questo scopo, e gli assalti condotti con piccole barche imbottite d'esplosivo, o torpedini guidate dette kaiten.
Gli aerei kamikaze espressamente costruiti come tali, a differenza dei caccia o bombardieri in picchiata convertiti allo scopo, non possedevano meccanismi di atterraggio. Un aeroplano progettato specificamente, il Nakajima Ki-115 Tsurugi, era realizzato con una struttura in legno, semplice da costruire e pensato per utilizzare le scorte di motori rimanenti. Il carrello non era retrattile e veniva sganciato poco dopo il decollo per consentire il riutilizzo con altri aeroplani.
Un giovane pilota kamikaze riceve l'hachimaki prima di partire per la missione suicida.
Il picco dell'attività venne toccato il 6 aprile 1945 durante la battaglia di Okinawa, quando varie ondate di aeroplani condussero centinaia di attacchi durante l'Operazione Kikusui (Crisantemi galleggianti). A Okinawa gli attacchi dei kamikaze si focalizzarono all'inizio sui cacciatorpediniere in servizio di protezione e quindi sulle portaerei al centro della flotta. L'offensiva, per cui vennero utilizzati 1465 aeroplani, seminò distruzione: i resoconti delle perdite variano, ma per la fine della battaglia almeno 21 navi americane erano state affondate dai kamikaze, insieme a navi alleate di altra nazionalità e dozzine di altre erano state danneggiate.