Definito offensivamente dai ferrovieri “treno dei fascisti”, definizione emblematica di tutta la disinformazione e la strumentalizzazione politica che circondò la vicenda, figlio del clima di odio e di violenza che si respirava in tutta Italia dopo la fine della guerra civile.
L’Unità, già nell’edizione del 30 novembre 1946, aveva scritto in modo ostile verso coloro che abbandonavano le terre divenute parte della nazione jugoslava governata dal dittatore comunista Josip Broz Tito:
«Ancora si parla di ‘profughi’: altre le persone, altri i termini del dramma. Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi.»
Il giorno seguente, di sera, partirono di nuovo stipati in un treno merci già carico di paglia. Il convoglio arrivò alla stazione di Bologna solo alle 12:00 del giorno seguente, martedì 18 febbraio. La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Ma quando gli esuli erano quasi giunti nella città emiliana, i sindacalisti dei ferrovieri CGIL e iscritti al PCI, diramarono un avviso ai microfoni, incitando i compagni a bloccare la stazione se il treno si fosse fermato.
Se i profughi si fermano per mangiare, lo sciopero bloccherà la stazione.
Allo stop del convoglio ci furono persino alcuni giovani che, sventolando la bandiera con falce e martello, iniziarono a prendere a sassate i profughi, senza distinzione tra uomini, donne e bambini. Altri lanciarono pomodori e addirittura il latte che era destinato ai bambini, viene versato sulle rotaie e le vettovaglie nella spazzatura. Il treno è quindi costretto a ripartire per Parma, dove finalmente si riuscì ad andare in aiuto dei profughi ormai allo stremo delle forze. Da lì, ripartirono per La Spezia, dove furono temporaneamente sistemati in una caserma.
In quei giorni persino i giornali mostrarono disprezzo nei confronti degli esuli. Il giornalista de l’Unità Tommaso Giglio, in seguito divenuto direttore de L’Espresso, scrisse un articolo il cui titolo recitava “Chissà dove finirà il treno dei fascisti?”. Lo storico Guido Rumici scrisse: «Si trattò di un episodio nel quale la solidarietà nazionale venne meno per l’ignoranza dei veri motivi che avevano causato l’esodo di un intero popolo.
Partirono tutte le classi sociali, dagli operai ai contadini, dai commercianti agli artigiani, dagli impiegati ai dirigenti. Un’intera popolazione lasciò le proprie case e i propri paesi, indipendentemente dal ceto e dalla colorazione politica dei singoli, per questo dico che è del tutto sbagliata e fuori luogo l’accusa indiscriminata fatta agli esuli di essere fuggiti dall’Istria e da Fiume perché troppo coinvolti con il fascismo. Pola era, comunque, una città operaia, la cui popolazione, compattamente italiana, vide la presenza di tremila partigiani impegnati contro i tedeschi. La maggioranza di loro prese parte all’esodo».
«1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
2. Nella giornata […] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.»
(legge 30 marzo 2004 n. 92)
Tornando alla lapide che scatenò accesissime polemiche venne affissa con il seguente testo:
«Nel corso del 1947 da questa stazione passarono i convogli che portavano in Italia esuli istriani, fiumani e dalmati: italiani costretti ad abbandonare i loro luoghi dalla violenza del regime nazional-comunista jugoslavo e a pagare, vittime innocenti, il peso e la conseguenza della guerra di aggressione intrapresa dal fascismo. Bologna seppe passare rapidamente da un atteggiamento di iniziale incomprensione a un’accoglienza che è nelle sue tradizioni, molti di quegli esuli facendo suoi cittadini. Oggi vuole ricordare quei momenti drammatici della storia nazionale. Bologna 1947-2007.
Comune di Bologna e ANVGD»
Dura la reazione dell’Unione degli istriani e del CO.ES.I (Comitato di Coordinamento delle
Associazioni degli Esuli Istriani), il cui presidente Massimiliano Lacota ha diffidato formalmente il Comune di Bologna, in persona del Sindaco Cofferati, nel commettere un simile gesto provocatorio, scoprendo nella città che impedì ai convogli carichi di esuli sfiniti di fermarsi per rifornirsi d’acqua. L’Unione diramò il 29 gennaio 2007 il seguente comunicato:
“E’ assolutamente inaccettabile che dopo sessant’anni esatti da quei fatti precisi e documentati nei particolari, contenuti in ogni libro che tratta della nostra tragedia, si abbia l’azzardo di apporre nella stazione di Bologna una targa con un simile testo che mistifica la verità in modo talmente sfrontato e non ricorda praticamente nulla di quello che accadde” incalza un inbufalito Lacota.
“Quello che invece ha dell’incredibile e va denunciato per quello che è, e cioè un tradimento doppiogiochista, è l’atteggiamento di quei responsabili dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia che hanno concordato ed accettato questo testo, commettendo un imperdonabile gesto di derisione e dileggio nei confronti di chi ha vissuto queste vicende, che indignano tutti”.
In particolare, l’Unione degli Istriani chiede che il testo venga modificato, aggiungendo
obbligatoriamente il riferimento al fatto che “ai convogli degli esuli – tra i quali molti bambini e vecchi – accolti in un clima di assoluto disprezzo e denigrazione, venne impedito di fermarsi per l’assistenza e distribuzione di latte e vivande, che invece furono invece gettate sui binari”.
“Senza queste minime condizioni” conclude Lacota “sulle quali non possiamo speculare, saremo costretti a manifestare assieme agli esuli anziani che hanno vissuto personalmente questo vergognoso trattamento e ci hanno contattati la nostra indignazione durante l’inaugurazione”.
UNIONE DEGLI ISTRIANI
Il deputato Roberto Menia promotore della giornata del ricordo presento all’allora Presiedente del Consiglio Romanio Prodi un interrogazione parlamentare:
A poco meno di due settimane dalla Giornata del Ricordo scoppia la polemica con il
Comune di Bologna che unitamente ai vertici dell’Anvgd ha concordato il testo di una lapide da affiggere nella stazione di Bologna Centrale in occasione del 10 febbraio, a perenne memoria dell’atteggiamento ostile del personale ferroviario che impedì ai treni zeppi di esuli istriani stremati in transito di fermarsi per il rifocillamento.
Nei primi giorni di febbraio furono infatti alcune decine i treni che provenienti da Venezia, punto di arrivo del piroscafo Toscana che faceva la spola con Pola, trasportavano in varie parti d’Italia gli esuli costretti all’abbandono di case e campagne: migliaia di persone, tra cui vecchi e bambini costretti ad un viaggio massacrante, senza la ben che minima assistenza e gettati sui treni per destinazioni incerte.
Prima di iniziare il viaggio su questi treni, vennero individuate alcune tappe in alcune città per consentire ai profughi di ottenere almeno un pasto ed ai bambini il latte con cui nutrirsi. Tra queste fu scelta Bologna, nella cui stazione però all’arrivo dei treni il personale ferroviario, incalzato da attivisti di primo piano del partito comunista che aveva minacciato uno sciopero ad oltranza, insorsero accogliendo i convogli al loro passaggio al grido di “sporchi fascisti”, accompagnati da sputi sui finestrini e da urla, bestemmie, ed imprecazioni di ogni genere. Le vivande destinate ai profughi vennero gettate nella spazzatura ed il latte caldo versato sui binari, in totale spregio degli esuli.
Il testo della lapide, dopo alcuni inconsistenti aggiustamenti, è stato reso noto nei giorni
scorsi grazie ad alcune indiscrezioni, è stato confermato dal Comune di Bologna e dell’Anvgd, che lo hanno così concordato.
Nonostante tutto la lapide che “nasconde la storia” è tuttora affissa al primo binario della stazione di Bologna.