16 dicembre 1942, scatta l’operazione Piccolo Saturno
16 dicembre 1942, scatta l’operazione Piccolo Saturno
Il 16 dicembre del 1942, dopo una serie di attacchi preliminari iniziati l’11 dicembre scattava l’Operazione Piccolo Saturno, nome in codice assegnato dai sovietici alla seconda grande offensiva della campagna invernale nel settore meridionale del fronte orientale nel quadro della lunga battaglia di Stalingrado, durante la seconda guerra mondiale.
L’operazione, in realtà, era una variante ridotta dell’originale e molto più ambiziosa operazione Saturno; decisa dallo Stavka sovietico il 2 dicembre 1942 che prevedeva un’ambiziosa offensiva in due tempi con obiettivo finale Rostov per schiacciare le forze italiane dell’ARMIR e le residue truppe rumene, e quindi tagliare fuori e distruggere i due raggruppamenti tedeschi del Don, il Gruppo d’armate Don che tentava di soccorrere la 6ª Armata accerchiata a Stalingrado e il gruppo d’Armate A del Caucaso.
Il 13 dicembre, Stalin, in accordo con il generale Vasilevskij, modificò radicalmente l’originale piano Saturno riducendo la portata e gli obiettivi dell’offensiva, l’obiettivo Rostov, ormai troppo ambizioso e forse irraggiungibile per le possibilità logistiche sovietiche, venne abbandonato nonostante le accese proteste dell’energico e ottimista generale Vatutin.
Erano infatti falliti, prima gli attacchi sovietici lanciati dal Fronte del Don del generale Rokossovskij e successivmanete quelli sferrati dal fronte di Stalingrado dal generale Erëmenko, sferrati dal 2 al 7 dicembre contro la sacca della 6ª Armata tedesca accerchiata. Pochi giorni dopo il 12 il feldmaresciallo tedesco Von Mainsten aveva lanciato la controffensiva con l’operazione Tempesta invernale nel settore di Kotelnikovo.
Cosi si arrivo per forza di cose a un ridimensionamento dell’operazione, soprattutto a causo dello spostamento di forze destinate al piano originale e principalmente della potente 2ª Armata delle Guardie e nacque così l’operazione Piccolo Saturno che aveva come obbiettivo principale l’annientamento delle armate satelliti del Terzo Reich, italiane e romene schierate sul medio Don.
Sul corso del Don risultavano schierate l’8ª Armata italiana, agli ordini del generale Italo Gariboldi, composta da quattro corpi d’armata e dipendente dal Gruppo d’armate B del generale Maximilian von Weichs.
Per quanto riguarda le truppe italiane, il Corpo d’armata Alpino del generale Gabriele Nasci era schierato con tre divisioni (“Tridentina”, “Julia” e “Cuneense”) sull’ala sinistra a contatto della 2ª Armata ungherese. Il 2º Corpo d’armata del generale Giovanni Zanghieri difendeva con le divisioni “Cosseria” e “Ravenna” il settore più pericoloso tra Novaja Kalitva e l’ansa del Don di Verčne Mamon.
Seguivano sulla destra lungo il corso del Don, il 35º Corpo d’armata del generale Francesco Zingales con la 298ª Divisione fanteria tedesca e la divisione “Pasubio”, ed infine il 29º Corpo d’armata tedesco al comando del generale Hans Obstfelder che schierava tre divisioni italiane (“Torino”, 3ª Celere e “Sforzesca”) e manteneva il contatto con il precario fronte del “Distaccamento Hollidt”, costituito prevalentemente da resti di formazioni rumene già sconfitte in precedenza rafforzate da alcuni reparti tedeschi.
Nel complesso le forze contrapposte, almeno per il numero di uomini si equivalevano, 459.000 uomini per l’Asse e circa 425.000 per i sovietivi. Vedremo poi che i sovietici attaccarono in un tratto di fronte difeso da circa 210.000 uominim inoltre notevole era la differenza fra il numero dei carri armati a disposizione, circa 150 carri, saliti a 350 con i rinforzi, contro il 1.170 a disposizione dell’Armata Rossa. Infine l’Asse poteva schierare circa 500 aerei,contro i circa 590 aerei dei sovietici.
Del complesso delle forze dell’Asse oltre metà degli uomini era costituito da truppe italiane per la precisione, l’8ª Armata contava circa 229.000 soldati dotati di 25.000 quadrupedi, 16.700 automezzi e 1130 trattori; l’armamento di queste truppe consisteva di 1.800 mitragliatrici, 860 mortai, 387 cannoni controcarro da 47 mm, 54 cannoni controcarro da 75 mm/39 forniti dai tedeschi, 220 cannoni da 20 mm e 960 pezzi di artiglieria, tra cui i modelli più moderni disponibili nell’arsenale del Regio Esercito.
Le carenze principali dell’Armata italiana consistevano nell’equipaggiamento invernale non adeguato, nel morale non altissimo, nella scarsa percezione da parte di comandi e truppe del pericolo che li sovrastava, nella limitata profondità del sistema difensivo e soprattutto nella mancanza di riserve meccanizzate moderne. L’ARMIR disponeva solo di 55 carri leggeri L6/40 e di 19 cannoni semoventi L40; gravi anche le carenze di mezzi di trasporto.