Notiziario: 15 ottobre 1872, nascono gli Alpini

15 ottobre 1872, nascono gli Alpini

Nel 1870 la Prussia sconfigge la Francia. Si trattò, certo, di un conflitto fra nazioni che, come tutte le guerre, aveva le sue origini in fattori complessi, ma fu anche il confronto fra due modi di concepire l’esercito. La Francia riteneva più proficuo avvalersi di un esercito di volontari professionisti, militari di carriera a ferma prolungata; la Prussia aveva invece optato per un esercito di massa, con leva obbligatoria e ferma di breve durata.

Cesare Francesco Ricotti-Magnani

Nel frattempo, il completamento dell’Unità d’Italia, imponeva una serie di importanti modifiche nell’assetto del nostro Stato. Fra queste, ovviamente, una riforma dell’esercito era importante e urgente. Venne quindi varata la “riforma Ricotti”, voluta dal generale e ministro della Guerra Cesare Francesco Ricotti-Magnani, che prevedeva una ristrutturazione delle Forze Armate ispirata dal modello prussiano, basata sull’obbligo generale a un servizio militare di breve durata, tale da sottoporre all’addestramento tutti gli iscritti alle liste di leva fisicamente idonei, abolire la surrogazione e trasformare l’esercito italiano in un esercito-numerico, espressione delle potenzialità umane della nazione.

Applichiamo quindi il sistema prussiano poiché questo comandano le necessità dei tempi […-] il nostro paese ha bisogno di militarizzarsi e disciplinarsi come il nostro esercito di coltivarsi, e il servizio militare obbligatorio […] recherà bene all’uno e all’altro. [Nicola Marelli, in “Avvenimenti del 1870-1871”]

Nel fervore innovativo in seno alla gestione Ricotti venne affrontato anche il problema della difesa dei valichi alpini. Fino ad allora, la dottrina militare riteneva impossibile una reale difesa dei valichi. Un eventuale invasore avrebbe dovuto essere ostacolato dagli sbarramenti fortificati situati nelle vallate, ma avrebbe potuto essere fermato solo nella Pianura Padana. Questa visione strategica avrebbe lasciato completamente sguarniti tutti i passi alpini dal Sempione allo Stelvio, concedendo all’Impero austro-ungarico una potente e diretta linea di invasione.

Giuseppe Domenico Perrucchetti

Nell’autunno 1871 il capitano di Stato Maggiore ed ex insegnante di geografia Giuseppe Perrucchetti iniziò a elaborare uno studio, che verrà pubblicato in forma sintetica sulla Rivista Militare nel marzo 1872 con il titolo Considerazioni su la difesa di alcuni valichi alpini e proposta di un ordinamento militare territoriale nella zona alpina. In esso sosteneva il principio che la difesa delle Alpi dovesse essere affidata alla gente di montagna. Perrucchetti era nato a Cassano d’Adda, in pianura dunque e non in montagna, Perrucchetti non divenne mai un Alpino, ma arrivò alle sue considerazioni poiché era un appassionato studioso delle operazioni militari condotte nei secoli precedenti nei territori alpini e fin dall’inizio colse le contraddizioni che il sistema di reclutamento italiano comportava. In anni recenti, è stata messa in discussione l’attribuzione della “paternità” delle Truppe Alpine a Perrucchetti, con autorevoli studiosi che sostengono che qualche anno prima un analogo progetto fosse stato elaborato dal colonnello Agostino Ricci. Non è questa l’occasione per approfondire questo dibattito, ma l’argomento e sicuramente interessante e presto dovremo affrontarlo.

Il sistema di reclutamento in atto prima della riforma prevedeva che all’atto della mobilitazione gli uomini avrebbero dovuto affluire dalle vallate alpine ai centri abitati della pianura per essere equipaggiati e inquadrati, indi ritornare nelle vallate per sostenere l’urto di un nemico che, nel frattempo, avrebbe potuto organizzare e disporre al meglio le proprie forza. La concentrazione – ovviamente caotica – di uomini presso i distretti militari adibiti a rifornire il personale sceso a valle contemporaneamente a quello di stanza in pianura, avrebbe inevitabilmente creato ritardi. Inoltre, sempre secondo Perrucchetti, il sistema vigente avrebbe comportato un altro grave problema operativo: la creazione di battaglioni eterogenei composti da provinciali della pianura poco atti alla guerra di montagna e non pratici dei luoghi.

I primi Alpini in azione

Nell’articolo per la Rivista Militare, Perrucchetti suggeriva alcune innovazioni per l’ordinamento militare nelle zone di frontiera. Sui confini sarebbero stati arruolati i montanari locali, conformemente a quello che era l’ordinamento territoriale alla prussiana. La zona alpina sarebbe stata divisa per vallate in tante unità difensive, ognuna delle quali avrebbe costituito un piccolo distretto militare. In ciascuna unità difensiva le forze reclutate sarebbero state formate su un determinato numero di compagnie raggruppate attorno a un centro di amministrazione e di comando, in modo tale da avere tante unità quanti erano i valichi alpini da difendere. Sempre secondo Perrucchetti, i soldati destinati a queste unità dovevano avere specifiche caratteristiche: essere abituati al clima rigido, alla fatica dello spostamento in montagna, alle insidie di un terreno accidentato e pericoloso e ai disagi delle intemperie. Dal canto loro, gli ufficiali dovevano essere conoscitori diretti e profondi del territorio, alpinisti prima ancora che militari. Inoltre, i rapporti con la popolazione civile dovevano essere stretti e spontanei, in modo tale da giovarsi della funzione di informatori e di guide che i montanari potevano svolgere a beneficio delle truppe. Infine, il reclutamento locale, oltre a fornire uomini già usi alla dura vita in montagna, era un forte elemento di coesione tra le truppe: riunendo nelle compagnie giovani provenienti dalla stessa vallata e stanziandoli nella loro terra d’origine si ottenevano sensibili vantaggi senza esporsi a rischi.

L’idea, per quanto semplice e geniale allo stesso tempo, non bastava però a far sì che il progetto venisse realizzato. Il governo era afflitto da gravi problemi di bilancio e, quindi, per paura di un voto contrario del Parlamento non venne presentato un progetto organico per la creazione del nuovo Corpo, ma lo inserì in una generale ristrutturazione dei distretti militari che, da cinquantaquattro, dovevano diventare sessantadue. Insieme a questo riordino, veniva sancita la creazione di un certo numero di compagnie alpine, limitatamente a quindici. La proposta venne approvata dal ministro della Guerra del Gabinetto di Quintino Sella, Cesare Francesco Ricotti-Magnani, che condivideva la necessità della difesa dei valichi alpini e predispose il decreto nel quale si istutiva il nuovo Corpo, praticamente di nascosto, mascherandolo con compiti di fureria. Il decreto venne firmato da re Vittorio Emanuele II a Napoli il 15 ottobre 1872 (regio decreto n. 1056). Nella relazione ministeriale che lo accompagnava si parlava della istituzione delle prime truppe alpine. Subito dopo, in occasione della chiamata alle armi della classe 1852, iniziò la formazione delle prime quindici compagnie alpine, che si sarebbero costituite nel giro di un anno.

Vetterli-Vitali modello 1870/87

La rapidità con la quale venne decisa la costituizione degli Alpini fu straordinaria, ma ebbe come contropartita gravi riflessi negativi nel numero e soprattutto nell’equipaggiamento. La divisa era la stessa della fanteria, assolutamente inadatta alle esigenze della vita, dello spostamento e del combattimento in montagna: chepì di feltro, cappotto di panno indossato direttamente sulla camicia, ghette di tela e scarpe basse. L’armamento era costituito da un fucile di modello recente, il “Vetterli 1870”, in linea con i fucili impiegati dagli eserciti europei, ma dal peso e dalla lunghezza eccessivi per gli spostamenti su terreni impervi. Gli ufficiali erano dotati della obsoleta pistola a rotazione “Lefaucheaux”. Per il trasporto dei materiali ogni compagnia aveva a disposizione un solo mulo e una carretta da bagaglio e ciò comportava che gli zaini dei soldati venissero riempiti non solo degli effetti personali, ma di tutto ciò che era necessario per la vita della compagnia, dai generi alimentari alle munizioni, alla legna da ardere.

Il revolver belga Lefaucheux M.le 1858

Queste insufficienze organizzative non pregiudicarono l’affermazione del Corpo, che crebbe a tal punto che nel 1873 le compagnie vennero portate a ventiquattro ripartite in sette battaglioni. Nel 1875, avendo constatato che la zona assegnata a ciascuna compagnia era troppo vasta, le compagnie vennero portate a trentasei (composte da un capitano, quattro ufficiali subalterni e 250 uomini di truppa) inquadrate in dieci battaglioni. Nel 1882, l’allora ministro della Guerra, Emilio Ferrero, decise una ristrutturazione dei reparti e, con il Regio Decreto del 5 ottobre i dieci battaglioni e le trentasei compagnie furono sdoppiati e raggruppati nei primi sei reggimenti composti da tre battaglioni, secondo lo schema ternario adottato dall’esercito nel nostro paese. I reggimenti divennero sette nel 1887 e, nel 1910, otto.

All’evoluzione organica si accompagnò un progressivo adeguamento delle uniformi e dell’armamento. Il cappotto a falde tipico della fanteria venne sostituito nell’ottobre 1874 con una giubba di colore grigio-azzurro. Su di essa veniva indossata una mantella alla bersagliera di colore turchino e le scarpe basse vennero sostituite con scarponi alti. Nell’estate 1883 l’uniforme venne caratterizzata dal colore distintivo rispetto a tutti gli altri corpi – il verde -, colore che due anni più tardi venne esteso a tutte le mostreggiature e le rifiniture della divisa. Elemento caratterizzante del Corpo era però, fin dal 1873, il cappello “alla calabrese” con la penna nera, ornato con un fregio rappresentante un’aquila sormontata da una corona reale.

Pistola Bodeo Mod. 1889

Il fucile Vetterli 1870, nel 1887 fu trasformato in un’arma a ripetizione ordinaria, grazie al progetto del capitano d’artiglieria Giuseppe Vitali. La nuova arma venne ribattezzata “Vetterli-Vitali Mod. 1870/87”. Nonostante l’impegno di Vitali, però, la necessità di un munizionamento più leggere portò la Commissione delle armi portatili ad adottare il calibro 6,5 mm. e, nel settembre 1890, ad affidare alle fabbriche d’armi del Regno lo studio di un nuovo fucile. Tra i vari modelli presentati venne scelto quella della fabbrica d’armi di Torino, il “Carcano Mod. 91”, più corto e maneggevole del Vetterli-Vitali. Parallelamente venne anche rinnovato l’armamento degli ufficiali alpini con la pistola Bodeo Mod. 1889 a ripetizione ordinaria con tamburo girevole.

Ancora pochi anni e gli Alpini avrebbero avuto il loro battesimo del fuoco, ma questa è un’altra puntata della lunga storia del nostro Corpo e presto la racconteremo.