di Fiorenzo Caterini
Era una banda di partigiani, conosciuta per le sue spavalde imprese commesse contro gli invasori tedeschi. Composta principalmente da quattro partigiani, era conosciuta come la “Banda di Ariano”. Quattro partigiani che operarono con successo nel 1944, anno della confusione e dell’Armistizio. Numerose furono le azioni di rappresaglia compiute dalla banda contro i convogli tedeschi, causando notevoli ritardi e impedimenti.
Catturati dai tedeschi dopo l’ennesimo attentato, furono orribilmente torturati nella prigione di Volterra, nella vana speranza che potessero rivelare i nomi dei partigiani delle altre brigate; infine uccisi mediante fucilazione, ed abbandonati all’aperto insieme ai 77 minatori di Niccioleta giustiziati per aver contraddetto l’ordine di presentarsi dato dai fascisti e dai nazisti. A quanto pare, i cadaveri furono straziati per impedirne il riconoscimento.
Per anni le loro tombe riportavano la scritta “partigiano sconosciuto”. Poi lentamente la loro storia è emersa.
La Banda di Ariano metteva insieme quattro amici in realtà agli antipodi: due giovani, aitanti e ricchissimi nobili, proprietari di grandi distese di terra in Toscana, il Marchese Gianluca Spinelli e suo cugino Franco Stucchi Spinetti, e due soldati sardi, l’attendente Vittorio Vargiu di Ulassai e il sottufficiale Francesco Piredda di Nuoro, semplici ma arguti e valorosi contadini arruolati nella carneficina della seconda guerra mondiale. Fu durante il servizio militare che conobbero sotto la veste di ufficiale il Marchese Spinola.
Quattro giovani che, a prima vista, potevano fregarsene più di tutti gli altri del valore universale della libertà, che difendevano a costo della vita. Gli uni ricchissimi, avrebbero potuto aspettare la fine delle ostilità per dedicarsi completamente alla bella vita e agli affari, gli altri con le loro mogli e i parenti nella bella e lontana isola ad attenderli, avrebbero potuto rifugiarsi nelle verdi montagne della loro terra in attesa che finisse il caos. Invece no, i quattro avevano deciso che, più di ogni altra cosa, l’uomo dovesse combattere per la libertà, quella vera.
Quel giorno l’attacco alla colonna motorizzata tedesca, nelle campagne di Volterra, causò grande scompiglio nelle file nemiche, ma qualcosa andò storto, perché i quattro furono intercettati, torturati e infine fucilati.
La storia della Banda di Ariano è raccontata nel libro di Carlo Groppi “La piccola banda di Ariano, Storie di guerra e di resistenza”.
Oggi suona un po’ estraneo, alla nostra coscienza, che della gente potesse, solo poche generazioni fa, a costo della propria vita, lottare per la libertà, per scacciare il fascismo e l’invasione nemica. Ora, che tutto è edulcorato da una vita consueta, pensare che un valore universale potesse guidare il senso del proprio destino, appare straniante.
Catturati dai tedeschi dopo l’ennesimo attentato, furono orribilmente torturati nella prigione di Volterra, nella vana speranza che potessero rivelare i nomi dei partigiani delle altre brigate; infine uccisi mediante fucilazione, ed abbandonati all’aperto insieme ai 77 minatori di Niccioleta giustiziati per aver contraddetto l’ordine di presentarsi dato dai fascisti e dai nazisti. A quanto pare, i cadaveri furono straziati per impedirne il riconoscimento.
Per anni le loro tombe riportavano la scritta “partigiano sconosciuto”. Poi lentamente la loro storia è emersa.
La Banda di Ariano metteva insieme quattro amici in realtà agli antipodi: due giovani, aitanti e ricchissimi nobili, proprietari di grandi distese di terra in Toscana, il Marchese Gianluca Spinelli e suo cugino Franco Stucchi Spinetti, e due soldati sardi, l’attendente Vittorio Vargiu di Ulassai e il sottufficiale Francesco Piredda di Nuoro, semplici ma arguti e valorosi contadini arruolati nella carneficina della seconda guerra mondiale. Fu durante il servizio militare che conobbero sotto la veste di ufficiale il Marchese Spinola.
Quattro giovani che, a prima vista, potevano fregarsene più di tutti gli altri del valore universale della libertà, che difendevano a costo della vita. Gli uni ricchissimi, avrebbero potuto aspettare la fine delle ostilità per dedicarsi completamente alla bella vita e agli affari, gli altri con le loro mogli e i parenti nella bella e lontana isola ad attenderli, avrebbero potuto rifugiarsi nelle verdi montagne della loro terra in attesa che finisse il caos. Invece no, i quattro avevano deciso che, più di ogni altra cosa, l’uomo dovesse combattere per la libertà, quella vera.
Quel giorno l’attacco alla colonna motorizzata tedesca, nelle campagne di Volterra, causò grande scompiglio nelle file nemiche, ma qualcosa andò storto, perché i quattro furono intercettati, torturati e infine fucilati.
La storia della Banda di Ariano è raccontata nel libro di Carlo Groppi “La piccola banda di Ariano, Storie di guerra e di resistenza”.
Oggi suona un po’ estraneo, alla nostra coscienza, che della gente potesse, solo poche generazioni fa, a costo della propria vita, lottare per la libertà, per scacciare il fascismo e l’invasione nemica. Ora, che tutto è edulcorato da una vita consueta, pensare che un valore universale potesse guidare il senso del proprio destino, appare straniante.