Notiziario: 11 dicembre 1941, guerra agli Stati Uniti

11 dicembre 1941, guerra agli Stati Uniti

Combattenti di terra, di mare e dell’aria.

Camicie nere della rivoluzione e delle legioni.

Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania.

Ascoltate!

E’ questa un’altra giornata di decisioni solenni nella storia d’Italia e di memorabili eventi destinati ad imprimere un nuovo corso nella storia dei continenti.

Le potenze del Patto di acciaio, l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista, sempre più strettamente unite, scendono oggi a lato dell’eroico Giappone contro gli Stati Uniti d’America. Il tripartito diventa un’alleanza militare che schiera attorno alle sue bandiere 250 milioni di uomini risoluti a tutto pur di vincere!

Nè l’Asse, nè il Giappone volevano l’estensione del conflitto. Un uomo, un uomo solo, un autentico e democratico despota, attraverso a una serie infinita di provocazioni, ingannando con una frode suprema le stesse popolazioni del suo paese, ha voluto la guerra e l’ha preparata giorno per giorno con diabolica pertinacia.

I formidabili colpi che sulle immense distese del Pacifico sono già stati inferti alle forze americane mostrano di quale tempra siano i soldati del Sole Levante. Io dico, e voi lo sentite, che è un privilegio combattere con loro. Oggi il tripartito, nella pienezza dei suoi mezzi morali e materiali, è uno strumento poderoso per la guerra e il garante sicuro della vittoria; sarà domani l’artefice e l’organizzatore della giusta pace tra i popoli.

Italiani e italiane, ancora una volta in piedi siate degni di questa grande ora.

Vinceremo!

Con questo discorso pronunciato dal bancone di piazza Venezia, l’11 dicembre del 1941 il Duce annunciava l’entrata in guerra dell’Italia contro gli Stati Uniti. Nello stesso, Mussolini ricorda che né l’Asse né l’Impero Giapponese avrebbero desiderato l’estensione del conflitto, e accusa direttamente il presidente americano Roosevelt di aver perseguito la guerra mediante una serie di provocazioni.

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Erano passati quattro giorni dall’attacco di Pearl Harbour, quando alle 07.50 del 7 dicembre 1941, l’impero del Sol Levante attaccava  la flotta e le installazioni militari statunitensi stanziate nelle isole Hawaii. L’attacco concepito e guidato dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto, aveva lo scopo di distruggere la flotta statunitense del Pacifico. 

Lo sato maggiore della Marina giapponese aveva iniziato a pianificare un possibile attacco alle Hawaii fin dalla primavera del 1940, allorché il vice-ammiraglio Yamamoto era stato promosso ammiraglio e nominato comandante in capo della “Flotta combinata”. All’inizio del 1941 l’ammiraglio,  presentò un primo progetto dettagliato per la cosiddetta “operazione Hawaii”: l’attacco a sorpresa alla base statunitense di Pearl Harbor.

Yamamoto, cosciente della superiorità di risorse materiali e industriali degli Stati Uniti nel caso di conflitto prolungato, riteneva indispensabile sferrare un colpo decisivo alla flotta principale statunitense per “decidere l’esito della guerra fin dal primo giorno”. L’ammiraglio prevedeva di attaccare con l’intera flotta delle portaerei pesanti giapponesi.

In un primo momento Yamamoto considerò anche la possibilità di effettuare un attacco quasi suicida di “sola andata” con decollo degli aerei a grande distanza, ma questi progetti vennero poi abbandonati a favore del piano del comandante Minoru Genda e del contrammiraglio Ōnishi, che proposero di sferrare l’attacco dopo essersi avvicinati con le portaerei il più possibile alla base di Pearl Harbor, per attaccare con bombardieri e aerosiluranti, cercando soprattutto di affondare le portaerei nemiche.

Dopo il successo riportato dai britannici a Taranto nella notte fra l’11 ed il 12 novembre 1940, nel corso del quale la Regia Marina subì gravi perdite ad opera degli aerosiluranti britannici, gli ufficiali dell’aviazione navale giapponese decisero di pianificare un attacco con velivoli decollati da portaerei. Il piano giapponese prevedeva un attacco concentrato con l’impiego di bombardieri in picchiata, d’alta quota e aerosiluranti che furono dotati di siluri modificati in grado di colpire bersagli anche in acque poco profonde, come quelle del porto di Pearl Harbor.

Cartolina italiana del 1941 dedicata all'attacco giapponese alla flotta americana a Pearl Harbor
Cartolina italiana del 1941 dedicata all’attacco giapponese a Pearl Harbor

Su 96 navi statunitensi, tre corazzate furono distrutte o capovolte in maniera irrimediabile (Arizona e Oklahoma, Utah), 6 navi furono affondate, rovesciate o arenate seppur recuperabili (le corazzate California, West Virginia e Nevada, il posamine Oglala, i cacciatorpediniere Cassin e Shaw), 7 navi furono gravemente danneggiate (la corazzata Pennsylvania, la nave officina Vestal, la nave appoggio idrovolanti Curtiss, gli incrociatori Raleigh, Helena e Honolulu e il cacciatorpediniere Downes), 2 mediamente danneggiate (le corazzate Tennessee e Maryland) e 4 danneggiate lievemente (3 incrociatori e il cacciatorpediniere Helm).

Sui campi d’aviazione di Oahu furono distrutti 151 aerei; in volo gli statunitensi persero dieci aerei (sei SBD Dauntless, due P-40, un P-36 e un B-17) abbattuti dai caccia giapponesi. Le perdite umane ammontarono a 2.403 morti statunitensi (2.008 della marina, 109 dei Marines, 218 dell’esercito, 68 civili) e 1.178 feriti.

L’operazione fu un successo, limitato solo dal mancato affondamento delle portaerei che al momento dell’attacco non erano in porto; i danni inflitti alla flotta statunitense permisero al Giappone di ottenere momentaneamente il controllo del Pacifico ed aprirono la strada alle successive vittorie nipponiche, prima che gli Stati Uniti riuscissero ad allestire una flotta in grado di tenere testa a quella giapponese.

L’8 dicembre del 1941 il Congresso degli Stati Uniti dichiarò guerra al Giappone, il presidente Roosevelt comunicò la decisione di entrare in guerra, pronunciando un famoso discorso che iniziò con la frase:

«Ieri, 7 dicembre 1941, una data che entrerà nella storia come il giorno dell’infamia, gli Stati Uniti d’America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati dalle forze aeree e navali dell’impero del Giappone.»

Nello stesso 11 dicembre  Hitler fece consegnare all’ambasciatore americano a Berlino una sobria lettera del ministro degli esteri del Reich, Von Ribbentrop che annunciava la guerra. In questa lettera si ricorda agli Stati Uniti che essi hanno violato più volte lo stato di non belligeranza e che la marina militare americana ha più volte sequestrato mercantili tedeschi nonché avere l’ordine di sparare su navi militari tedesche.

La dichiarazione di guerra era la conseguenza del patto tripartito, detto anche “Asse Roma-Berlino-Tokyo,  sottoscritto a Berlino il 27 settembre del 1940, dai governi del Terzo Reich tedesco, dal Regno d’Italia e dall’Impero giapponese al fine di riconoscere le aree di influenza in Europa e Asia. In Italia esso fu subito battezzato “Roberto”, acronimo di Roma-Berlino-Tokyo. Ufficiosamente, secondo il trattato, queste tre potenze si legittimavano il diritto di potenza “guida”, ciascuna in una propria area: L’Europa per la Germania, il Mediterraneo per l’Italia, l’Estremo Oriente per il Giappone.

Tornando all’attacco giapponese di Pearl Harbour, occorre ricordare che da mesi in Birmania e in tutto il sudest asiatico gli Stati Uniti facevano volare aerei senza insegna con piloti militari in borghese che attaccavano a tradimento mezzi giapponesi nella regione. Questa storia dell’attacco a sorpresa giapponese su Pearl Harbor è in parte una delle tante favolette raccontata dai vincitori del secondo conflitto mondiale

Da mesi si svolgevano senza giungere a nessuna conclusione tangibile trattative fra i due governi e il 26 novembre gli Stati Uniti presentarono la Hull note, in cui veniva richiesto al Giappone, in cambio della ripresa delle relazioni commerciali, non solo l’evacuazione dell’Indocina, ma anche della Cina, l’abbandono dei governi satelliti  di Mukden e Nanchino e un accordo nippo-americano che neutralizzasse le clausole del patto tripartito.

I dirigenti statunitensi erano consapevoli della difficile situazione diplomatica e dei rischi di guerra: il 27 novembre il segretario alla Marina Knox diramò un “preavviso di guerra” ai capi della U.S. Navy, mettendo in guardia sulla possibilità di un imminente attacco giapponese.